L’appello dell’Associazione nazionale costruttori edili al governo nazionale: “Restituiteci le tasse sui profitti realizzati nell’Isola”. Statuto ignorato: tra Iva e Irpef si stima che il mancato introito superi i dieci miliardi di euro l’anno
PALERMO – “Perché il governo centrale pretende che Google e gli altri “giganti” del Web paghino allo Stato italiano le tasse sui profitti generati sul territorio nazionale, se, al contrario, continua a rifiutarsi di applicare lo Statuto speciale, cioè una legge costituzionale, che gli impone di restituire alla Sicilia le tasse su ciò che viene prodotto sull’Isola? Tra Iva e Irpef si stima che il mancato introito superi i 10 miliardi di euro l’anno”.
Se lo chiede il Comitato direttivo di Ance Sicilia, che sollecita il governo nazionale a concludere immediatamente la revisione dei rapporti finanziari tra Stato e Regione, riconoscendo alla Sicilia ciò che le spetta, almeno in una misura tale da evitarne nell’immediato il default, che colpirebbe solo cittadini e imprese. L’Ance, in sostanza, chiede al governo nazionale di porre fine a quei comportamenti anticostituzionali e in violazione dello Statuto speciale che da vari anni sono anche alla base del disavanzo strutturale della Regione, elemento che ostacola la chiusura dei bilanci, blocca la spesa pubblica e impedisce la ripresa della nostra Isola.
“Ricordiamo – si legge nella nota dell’Associazione nazionale costruttori edili – che nel 2015, in una incomprensibile serie di errori istituzionali, la Regione eliminò dal proprio bilancio crediti (i residui attivi) per un importo superiore a cinque miliardi di euro. La Commissione di indagine nominata quest’anno dall’Assessore all’Economia ha rilevato che, accanto ad una moltitudine di piccoli crediti verso singoli cittadini, furono cancellati oltre cinque miliardi di crediti senza comunicare all’Ars chi fossero i beneficiari di tale colpo di spugna; fra questi è da immaginare che probabilmente vi fossero anche istituzioni pubbliche, compreso lo Stato”.
“Inoltre, – si legge ancora nella nota – sempre quello stesso governo regionale accettò una altrettanto inspiegabile transazione col governo nazionale rinunciando ad altri miliardi di euro di crediti vantati nei confronti dello Stato e oggetto di contenzioso, malgrado poco dopo la Corte costituzionale riconobbe il diritto della Regione ad esigerli.
L’Ance Sicilia, alla luce di questi fatti, ne ricava l’immagine di uno Stato che, pur di chiudere i propri bilanci, sembra scavalcare qualunque legge e negare ai siciliani asili nido, scuole, ospedali, assistenza a disabili e anziani, infrastrutture di collegamento, opportunità di sviluppo imprenditoriale e di lavoro per i giovani. In pratica, tutto ciò che la Regione negli ultimi anni non può pagare perché strozzata da debiti provocati da altri”.
Non a caso, fa giustamente notare l’Ance Sicilia, la regione più grande d’Italia e la seconda più popolata del Mezzogiorno è la terz’ultima regione del Sud per crescita di Pil nel 2018, con un modestissimo +0,5% “che tarpa le ali a tutte le nostre medie, piccole e micro imprese, alle startup, e ai nostri giovani che continuano a emigrare sempre di più”.
“Forse, prima di parlare della nuova autonomia differenziata, bisognerebbe rispettare la più antica e speciale Autonomia costituzionale d’Italia”, conclude l’Ance.