Una rete di imprese e un marchio per salvaguardare la filiera della piccola pesca siciliana e avviare un percorso di sostenibilità economica, ambientale e sociale
Una rete di imprese e un marchio per salvaguardare la filiera della piccola pesca siciliana e avviare un percorso di sostenibilità economica, ambientale e sociale. Una direzione nuova, che includa strategie di marketing più capaci di penetrare i mercati e procedure per garantire la sicurezza alimentare.
È l’oggetto dell’accordo sottoscritto con il Mipaaf (ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali) e la Regione Siciliana da una cordata pubblico-privata composta da società cooperative, organizzazioni di categoria e 5 enti locali, costieri e dell’immediato entroterra, della provincia orientale di Palermo.
Soggetto proponente del contratto, siglato durante Baarìa Fish, la manifestazione svoltasi lo scorso fine settimana al Palazzo Villarosa di Bagheria in cui imprese ittiche e associazioni si sono confrontate sulla necessità di innovare e valorizzare la produzione, è la Blu Ocean, cooperativa di lavorazione e trasformazione ittica con sede a Casteldaccia. Gli altri soggetti aderenti sono invece Confcommercio Palermo, Legacoop Sicilia e i comuni di Bagheria, Santa Flavia, Casteldaccia, Altavilla Milicia e Ventimiglia di Sicilia.
Idea ispiratrice dell’intesa è
istituzionalizzazione la filiera ittica siciliana attraverso specifiche norme
di legge. Con una prima finalità, intanto, in tempi stretti: aprire prospettive
di investimenti – dall’acquisto di nuove strutture, all’ammodernamento delle
imbarcazioni, passando per l’innovazione dei processi produttivi – per un
valore complessivo di circa 10 milioni di euro.
Partendo dalla logica di rete e dalla
realizzazione del marchio “Filiera Ittica Sostenibile – Sicilia” (realizzato da
Sevenapp), l’accordo prevede la partecipazione sia a iniziative di promozione
sia all’attività tecnica di consultazione presso il Mipaaf e al futuro bando
sui contratti di filiera.
Lo scopo è sostenere la filiera del pescato
siciliano con iniziative rispondenti alle attuali esigenze espresse dal mondo
della produzione e dai consumatori, senza però peggiorare le condizioni delle
risorse naturali, in conformità alle norme nazionali e comunitarie in materia
di tutela ambientale.
I settori in cui andranno a concentrarsi gli
investimenti saranno in particolare le strutture di stoccaggio e trasformazione
del pescato, la digitalizzazione dei processi di logistica e gli investimenti
nelle infrastrutture per il trasporto orientati a ridurre costi ambientali e
economici. A questi si aggiungono quelli per l’innovazione dei processi
produttivi, l’agricoltura di precisione e la tracciabilità in blockchain,
nonché le innovazioni informatiche e di intelligenza artificiale per lo
stoccaggio delle materie prime. Tra gli altri ambiti d’intervento, anche le
spese per software di gestione avanzata e i sistemi per l’automatizzazione dei
magazzini.
“Questo progetto è il risultato di un lungo
confronto con numerose realtà produttive della filiera – dice Antonio Lo Coco,
presidente della Blu Ocean – Il fatto che oggi molte imprese ittiche e di
lavorazione del pesce si riconoscano nella sua portata innovativa segna la
strada per creare la prima filiera ittica in Italia capace di garantire
sviluppo imprenditoriale, incrementi di qualità del prodotto e una sua più
efficiente ed efficace commercializzazione. Con questo bagaglio di idee,
entusiasmo e professionalità andremo a interloquire con il Ministero per
rilanciare il pescato siciliano”.
Al momento sono oltre 100 le imbarcazioni di
pescatori della costiera palermitana a avere sposato questo progetto che ruota
su prassi di qualità e sostenibilità. Strumenti ormai ineludibili, questi, per
valorizzare la piccola pesca siciliana e per fronteggiare una crisi che da
almeno un decennio vede l’intero settore ittico dell’isola, il più antico e,
grazie al know how più ricco dell’intero bacino Mediterraneo, quello che continua
a valere almeno un quarto della pesca a livello nazionale, come un mondo
rimpicciolito e in disarmo.
“La ragioni sono diverse e complesse ma si possono
semplificare da una parte con la lentezza, se non riluttanza, fino ad oggi
manifestata dalle cooperative dei pescatori, di adattarsi ai cambiamenti, e
dall’altra con gli stessi cambiamenti imposti da normative europee sempre più
orientate alla diminuzione dello sforzo di pesca e delle quantità di prelievo
ittico”, spiega Giovanni Basciano, vice presidente nazionale dell’AGCI Agrital,
l’Associazione Generale delle Cooperative Italiane, Una situazione, questa, che
impatta soprattutto sulla pesca d’altura, quella dei grandi fatturati.
I numeri della marineria siciliana, riferiti a
conteggi orientativi fino a prima della pandemia indicano una flotta di 2.700
barche, di cui sono solo 300 le unità adibite alla pesca alturiera, quella specializzata
nello strascico di reti da strascico anche a più di 800 metri di profondità. Lo
dimostra del resto la flotta di Mazara del Vallo, faro della grande pesca
mediterranea: negli anni ’90 contava oltre 300 grandi barche, numero che
includeva sia vere e proprie navi da pesca, alcune attive anche in acque
oceaniche davanti alle coste occidentali dell’Africa, sia pescherecci di
lunghezza tra i 18 e i 24 metri abilitati a pescare oltre le 40 miglia con
campagne di pesca di almeno due settimane. Oggi quel numero si è ridotto a non
sono più di 60 unità.
“Oggi . continua Basciano – la linea ufficiale,
quella che vede insieme ambientalisti, mondo scientifico e commissione europea,
continua a favorire la diminuzione del prelievo per raggiungere quel
presupposto teorico denominato ‘massima cattura sostenibile’, favorendo di
fatto la piccola pesca. Ma tutto ciò si traduce in una offerta sempre più
limitata di prodotto locale sui banchi delle pescherie, in stridente
contraddizione con i messaggi che inducono a consumare i prodotti ittici
mediterranei in virtù della loro salubrità e con la conseguenza di aumentare le
importazioni da zone di pesca i cui prodotti, che vengono commercializzati a
prezzi molto più bassi, non sono però neanche lontanamente concorrenziali con
il pesce mediterraneo: sia in termini di qualità che di sicurezza alimentare.
Ecco allora che per fronteggiare la crisi della
pesca e salvaguadarne il prodotto, “la parola d’ordine è innovarsi,
intercettare il cambiamento, unire le forze imprenditoriali sane per seguire la
strada della sostenibilità non solo economica ma anche ambientale” -dice
Patrizia Di Dio, presidente di Confcommercio Palermo – . Questo contratto di
filiera è un’iniziativa coraggiosa perché attiva un potenziale volano di sviluppo, anche
occupazionale, basato su legalità e trasparenza: fattori che rappresentano una
garanzia di qualità per il consumatore”.
Quando si parla di pesce a tavola non si
prescinde dall’olio. Entra quindi in gioco un territorio come quello di
Ventimiglia di Sicilia, noto per la grande tradizione olivicola. “La sfida è
riuscire a rendere il locale, globale – dice il sindaco Antonio Rini. Ma non la
si potrà vincere se le aziende rimangono chiuse in logiche di appartenenza e di
confine che gli impediscono di guardare al fatto che se in un comune opera
un’azienda di successo, significa che possono trarne giovamento anche altre aziende
attive in territori vicini. È insomma indispensabile imparare a collegare i
territori con le loro produzioni, spesso esempi di vero e proprio artigianato
alimentare”.
La firma dell’accordo ha dato occasione di porre anche un altro importante accento: quello sul Pnrr, o Recovery Plan. Al momento attuale in Sicilia ci sono comuni destinatari di ingenti finanziamenti, ma all’interno dei quali non è ancora chiaro chi deve lavorare ai progetti, visto che le amministrazioni sono sempre più svuotate di professionalità e il calcolo dell’età pensionabile denominato ‘quota 100’ contribuisce al preoccupante esodo del personale amministrativo.
Una situazione alla quale non fa da contraltare il ricambio generazionale. “Nei comuni mancano di fatto architetti, ingegneri, ragionieri, avvocati e commercialisti e le strutture amministrative restano esigue e stressate- continua Rini. Urgono piani di reclutamento del personale per rigenerarne il personale che devono essere finanziati dallo stesso Pnrr”.
Ma serve rapidità per evitare che per gli imprenditori il tempo d’attuazione dei progetti diventi eccessivo e l’entusiasmo si tramuti in disillusione e infine in riluttanza. E scongiurare così che il Pnrr si trasformarsi nella più grande incompiuta dell’Unione Europea.
Antonio Schembri