Inchiesta

Abusi edilizi, condoni fallimento di Stato. Al Sud oltre 60mila immobili da abbattere

ROMA – Sessantamila, più o meno. È il numero esorbitante di immobili abusivi (e da abbattere) che si concentra in appena cinque regioni, tutte del Centro-Sud: Lazio, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. Una spianata di cemento illegale che non conosce crisi e che si fa fatica a demolire, nonostante cresce il numero di ordinanze di demolizione. A fare il punto della situazione è stata ancora una volta Legambiente che lo scorso 17 ottobre, a Roma, ha presentato il nuovo report sull’abusivismo edilizio.

Nelle cinque regioni del Sud in esame è stato abbattuto solo il 15,3%

Un dato emerge su tutti: negli ultimi 19 anni, tra il 2004 e dicembre 2022, nelle cinque regioni del Sud in esame è stato abbattuto solo il 15,3% di quei 70.751 immobili per i quali è stato stabilito l’abbattimento. Scendendo nel dettaglio, l’incidenza del mattone selvaggio è maggiore nei comuni costieri, dove si arriva ad una media di quasi 400 ordinanze di demolizione a Comune, cinque volte superiore a quella relativa ai Comuni dell’entroterra. Nelle isole minori si registra un abuso ogni 12 abitanti, ma la risposta al problema attraverso le demolizioni è maggiore e si attesta intorno al 20,5%%. Sono sotto la media nazionale gli abbattimenti eseguiti nei sette Municipi di Roma che, sulla base dei dati forniti relativamente all’abusivismo edilizio nei loro territori, contano 2.676 ordinanze di demolizione emesse di cui solo 323, pari al 12,2%, sono state eseguite.

Sono quattro gli indicatori presi in considerazione da Legambiente

Sono quattro gli indicatori presi in considerazione da Legambiente per il monitoraggio: trasparenza, ordinanze di demolizione e abbattimenti eseguiti, trascrizioni immobiliari nel patrimonio comunale, trasmissione alle prefetture delle ordinanze di demolizione non eseguite. In termini di trasparenza la regione più virtuosa, relativamente al tasso di risposta, è la Sicilia con 154 comuni su 391 che hanno risposto in modo esaustivo, sfiora il 40% del totale. Rapportato alla popolazione residente, la percentuale più virtuosa è del Lazio, con il 41,9%. Al secondo posto, la Puglia che “risponde” con il 26,8% dei Comuni, al terzo il Lazio con il 25,9%, al quarto la Campania con il 20% e all’ultimo la Calabria con il 13,4%. La provincia più “trasparente” è quella di Trapani, con il 52% dei Comuni che hanno risposto. La peggiore quella di Crotone, con nessuna risposta.

La regione con il maggior numero di ordinanze di demolizioni emesse risulta essere la Campania

Relativamente, invece, alle ordinanze di demolizione e abbattimenti eseguiti, dai comuni lungo la costa sono state emesse 43.278 ordinanze e ne sono state eseguite 6.731. Nei Comuni dell’entroterra, invece, quelle emesse sono state 27.473 e quelle eseguite 4.077. La regione con il maggior numero di ordinanze emesse risulta essere la Campania, 23.635, quella con il migliore rapporto tra ordinanze emesse e quelle eseguite è la Sicilia, con il 19,2%, seguita da Lazio 17,2%, Campania 13,1% e Puglia 10,2%. Fanalino di coda della classifica è la Calabria, con il 9,6%.

La provincia con il migliore rapporto tra ordinanze emesse ed eseguite dai Comuni del suo territorio è quella di Rieti, con un dato che si attesta al 41,8%, la peggiore è quella di Catanzaro, con appena il 2,7% di abbattimenti eseguiti. Tra i comuni capoluogo, spicca Avellino, con il 39,4%, quelli peggiori sono di nuovo Catanzaro con lo 0,7%, Brindisi con lo 0,2% e Benevento il cui dato è pasi a 0. Nelle isole minori, il Comune di Lipari (Me) ha il maggior numero di abusi, 1.793, e di demolizioni, 538, seguono quello di Capri, con 681 ordinanze e 198 abbattimenti, e quello di Ischia, con 1.274 ordinanze di demolizione e 175 esecuzioni.

Il numero di trascrizione degli immobili abusivi nel patrimonio del Comune è basso, se non addirittura inesistente. La media nelle cinque regioni è del 5,6% e solo la Sicilia fa un po’ meglio, con il 12,5%. Su scala provinciale, la percentuale maggiore d’immobili trascritti è quella dei comuni della provincia di Siracusa, il cui dato è pari al 56,5%, e segue, con notevole distacco, quella di Ragusa con il 25,3% e quella di Trapani con il 18,8%. Per quanto riguarda le città capoluogo, il primo posto spetta a Catanzaro, con il 9,7%, il secondo a Ragusa, con il 7,2%, e al terzo posto figura Benevento, con il 6,7%. Roma supera di poco il 5%, mentre tutte le altre sono a zero.

Il numero delle pratiche di demolizione, non eseguite da parte dei Comuni e trasmesse ai prefetti competenti per territorio, è basso. Solo il 2,1% delle ordinanze emesse è stato inviato ai prefetti sulla base all’art.10bis della legge 120/2020. Nel Lazio e in Sicilia il dato supera di poco il 3%, mentre la Campania ha il record negativo con lo 0,5%. Se si limita l’analisi ai soli Comuni costieri, le 617 ordinanze trasmesse formalizzano un dato percentuale che scende all’1,4%.

Spesso c’è un cortocircuito istituzionale che non permette di arrivare al risultato, l’abbattimento dell’abuso, ma non mancano le esperienze positive di chi ci riesce nonostante tutto. Tra queste va ricordato il comune di Carini, dove sono stati emessi 1280 provvedimenti repressivi. Il sindaco Giovì Monteleone, intervenuto nel corso della presentazione del report di Legambiente, ha ricordato che la costituzione di un mini-pool dedicato al contrasto all’abusivismo ha permesso di ottenere questi risultati positivi. Gli stanziamenti del Comune per le demolizioni sono stati pari a 1.600.000 euro. “Una delle nostre grandi difficoltà – ha detto Monteleone – è stata quella dell’esecuzione degli sgomberi anche perché, spesso, gli immobili soggetti a demolizione e abbandonati dai proprietari sono occupati abusivamente”. “Sul nostro territorio – ha continuato Monteleone – sono stati acquisiti al patrimonio comunale ben 5 immobili di grandi dimensione originariamente proprietà della consorteria mafiosa che oggi sono destinati a scopi sociali e istituzionali” e ha lamentato l’inadeguatezza della legge 120/2020 che non ha fornito i mezzi adeguati necessari. Ha inoltre dichiarato che “l’inadeguatezza dei mezzi l’abbiamo colmata con la volontà politica di metterci del proprio e con tanta buona volontà”.

È un modo anche per mandare un messaggio preciso a chi crede che tanto la farà franca. Lo ha spiegato Maria Antonietta Troncone, procuratore della repubblica presso il Tribunale di Napoli Nord, che in tutte le ordinanze di demolizione da lei emesse scrive senza possibilità di fraintendimenti: “Le demolizioni trasmettono il segnale inequivocabile che l’abusivismo viene combattuto fino in fondo e, soprattutto, che non è conveniente”.

Ma per ripristinare la legalità e tutelare l’ambiente, serve la cooperazione degli Enti locali. A partire da una fotografia puntuale del territorio. “Sui 1980 comuni interessati dall’indagine di Legambiente – ha spiegato Federico Cafiero De Raho, vice presidente della Commissione parlamentare Antimafia e già pocuratore nazionale antimafia – solo 485 hanno risposto e questo vuol dire ostacolare la ricostruzione di un quadro che riguarda il nostro paese. L’aumento del dato relativo alle costruzione abusiva rappresenta una gravità assoluta perché ciò che sembrava una educazione alla legalità non ha fatto presa sul paese. Se l’abusivismo cresce significa che c’è un’impresa di costruzione illegale che è molto sviluppata sul territorio, dato particolarmente grave perché si accompagna alle problematiche di sicurezza nel lavoro e a tutte le evasioni di tutte le normative che regolamentano alla costruzione, comprese le forniture e l’indotto del settore. Dalla vostra analisi emerge il dato che là dove albergano cosa nostra, ndrangheta, camorra e le organizzazioni pugliesi l’illegalità è maggiore e si riversa su tutto ciò che, sul territorio, è realizzato, compreso il lavoro delle imprese di costruzione”.

“Il problema principale – ha continuato De Raho – è che se non si riesce a scardinare il controllo da parte delle organizzazioni mafiose anche la costruzione edilizia contro le regole rientra nelle attività illegali. È necessario controllare seriamente i territori anche aumentando i controlli sin dal nascere delle costruzioni. Spesso non c’è solo una omissione di controllo ma molto spesso corruzione, reato molto più grave di quanto non venga percepito”.

“Anche il basso numero delle Forze dell’Ordine disponibili sul territorio – ha proseguito De Raho – dovuto sia alla mancanza di risorse economiche sia dell’invecchiamento del personale, permette all’illegalità di moltiplicarsi”. Dalle parole di De Raho emerge anche l’inadeguatezza della normativa perché “le leggi sono fondamentali ma è necessaria la trasformazione in delitto del reato contravvenzionale e degli altri interventi necessari oltre alla modifica della legge 120/2020, resa inapplicabile per il passato da una circolare”. “Credo – ha concluso De Raho – che la migliore medicina sia l’esempio, che in questo caso è l’abbattimento, perché quando non si abbatte si fa intendere che in realtà lo Stato non si oppone al fenomeno”.

Occorre migliorare la legislazione

Alcune indiciazioni su come migliorare la legislazione le ha fornite Aldo De Chiara, già Avvocato generale dello Stato di Salerno: “In presenza delle difficoltà che incontrano i pubblici ministeri nel dare esecuzione agli ordini di demolizione – ha detto De Chiara nel suo intervento – perché non si modifica l’art. 32 comma 12 della legge 326/2003, il c.d. terzo condono edilizio che attribuisce solo ai Comuni la possibilità di accedere alla Cassa Depositi e Prestiti per acquisire i finanziamenti necessari all’attuazione degli ordini di demolizione e quelli di ripristino? Questo consentirebbe l’accesso diretto del pm alla CDP e peraltro lo stesso Dpr 115/2002 all’art. 5 comma 1 lettera G prevede tra le spese di giustizia ripetibili proprio le spese per le demolizioni e i successivi ripristini”. “La legge 120/2020 – ha continuato De Chiara – che prevede la chiamata in causa del prefetto purtroppo è scritta male. I Comuni, il più delle volte, deliberano l’ingiunzione ma rimane nel cassetto e il termine dei 180 giorni cui fa riferimento la norma è relativo all’attivazione della procedura e non alla sua esecuzione”.

“Continua a essere necessaria – ha dichiarato nelle sue conclusioni il presidente di Legambiente Stefano Ciafani dopo aver ripercorso il lavoro fatto dal 1994 a oggi – una grande operazione di transizione culturale necessaria affinché quella ecologica trovi il suo compimento. Si parla spesso con grande enfasi del tema della sicurezza e noi riteniamo che l’abuso edilizio sia un problema di sicurezza nazionale perché gli edifici abusivi sono pericolosi per chi ci lavora, per chi ci abita e per la tenuta del tessuto produttivo sano”.

LEGGI LE INTERVISTE

Enrico Fontana, responsabile dell’Osservatorio Ambiente e Legalità di Legambiente

Intervista a Giovanni Vacante e Domenico Galvano di Arpa Sicilia