PALERMO – Fare del silenzio-assenso l’anticamera di un condono, rimettendo ai Comuni la responsabilità del colpo di spugna che passerà sull’infinità di irregolarità che in giro per l’Italia, in misura variabile, incidono sui paesaggi e, più in generale, sull’urbanizzazione del Paese. Il piano del governo Meloni, al netto degli equilibrismi dialettici, sembra essere questo e potrebbe vedere luce nella prossima legge di bilancio. “Siccome ci sono milioni di pratiche arretrate, secondo me la soluzione non è fare nuovi condoni, è di dare sei mesi al massimo di tempo agli enti locali per rispondere alle migliaia di cittadini che hanno fatto domanda di condono cinque o quarant’anni fa, pagando. I Comuni devono dare una risposta e, se non lo fanno, vale il silenzio assenso, e vuol dire che quell’immobile ha tutti i diritti e tutti i permessi”, ha dichiarato il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini qualche giorno fa, descrivendo la proposta della Lega.
In ballo ci sono migliaia di procedimenti collegati alle tre sanatorie che sono state disciplinate negli anni 1985, 1994 e 2003. I primi due poggiavano su un’idea di regolarizzazione molto ampia, coinvolgendo anche immobili realizzati in territori tutelati, mentre quello di inizio anni Duemila ha ristretto i criteri per le opere edificate in zone sottoposte a vincoli di tipo paesaggistico o ambientale.
Secondo l’orientamento del governo nazionale, i Comuni dovrebbero entro il mese di marzo del prossimo anno esaminare le pratiche presentate e per quelle su cui non si riuscirà ad avere un esito scatterà comunque il via libera. Uno scenario che, considerate le criticità che caratterizzano gli enti locali, a partire dalle carenze di organico, è da ritenere altamente verosimile.
Per gli ambientalisti dalla politica messaggio diseducativo
Per il governo sarebbe comunque un male minore, considerato l’effetto che una regolarizzazione delle situazioni pendenti potrebbe rifocillare il mercato immobiliare sbloccando le compravendite, mentre per gli ambientalisti c’è tutto fuorché da gioire. Sarebbe infatti l’ennesimo caso in cui dai vertici della politica arriva un messaggio quantomeno diseducativo rispetto alle esigenze di rispetto delle regole e, soprattutto, di tutela dell’ambiente. Il tema è stato in discussione nei giorni scorsi anche a Carini, in provincia di Palermo, dove Legambiente ha organizzato un incontro.
“Una classe politica responsabile deve smettere di occuparsi di condoni edilizi e impegnare ogni sforzo per ripristinare legalità, sicurezza e bellezza nei luoghi martoriati dallo sfregio di decenni di anarchia urbanistica – si legge in una nota diffusa a margine del confronto – Strizzare l’occhio agli elettori abusivi con la promessa di nuove sanatorie ancora oggi, nel 2025, è semplicemente inaccettabile e anacronistico. Anche solo ipotizzare un futuro condono edilizio produce inesorabilmente l’insorgere di nuovo abusivismo. Serve un piano nazionale che coinvolga tutte le istituzioni, dai Comuni allo Stato, e servono le risorse economiche per affrontare un grande intervento di riqualificazione dei territori violati attraverso la demolizione degli immobili illegali”.
L’esempio virtuoso: il Comune di Carini in tre anni ha abbattuto oltre 300 case abusive
La scelta di Carini come luogo in cui organizzare l’incontro non è casuale: nel centro del palermitano il Comune in pochi anni ha abbattuto oltre trecento case abusive realizzate sul lungomare. Ed è appunto sul rafforzamento degli strumenti che consentano agli enti locali di dare corso alle ordinanze di demolizioni – laddove, va detto, ci sia la reale volontà della politica locale di eseguire azioni che di certo vanno in direzione contraria alla ricerca del facile consenso – che Legambiente ritiene il governo dovrebbe volgere l’attenzione.
Per questo motivo, l’associazione ha sostenuto la presentazione di due emendamenti alle finanziarie nazionale e regionale per rifinanziare i fondi per le demolizioni. Nel primo caso si chiede al governo e al parlamento nazionali di prevedere, per ogni annualità del prossimo triennio, cento milioni per il Fdoa, il fondo di rotazione per la demolizione delle opere abusive che è istituito alla Cassa depositi e prestiti, e rimpinguare con cinquanta milioni quello del ministero delle Infrastrutture.
A livello regionale, invece, viene chiesto al governo Schifani e all’Ars di stanziare cinque milioni per consentire che nel 2026 possano essere abbattuti nell’isola almeno 180 immobili abusivi.
Tra le altre cose che andrebbero fatte c’è però anche riuscire ad applicare una norma che esiste da cinque anni ma di fatto soltanto sulla carta. “Legambiente chiede da oltre quattro anni che il Parlamento risolva il cortocircuito che ha messo in stallo l’art.10bis della Legge 120/2020, se necessario, anche con un nuovo intervento legislativo. Approvata nel settembre del 2020 – si legge – la norma prevede l’intervento dello Stato, nella figura delle sue diramazioni territoriali, ossia gli uffici dei prefetti, laddove i Comuni non hanno saputo o potuto intervenire, in modo particolare sul vecchio abusivismo, oggetto di ordinanze di demolizione molto datate e mai eseguite. Purtroppo, una circolare interpretativa del ministero degli Interni ha finora fermato la sua applicazione, restringendola ai soli abusi accertati dopo il 2020”.
Legambiente: “Servono 100 milioni all’anno per il Fondo di rotazione e 50 per quello del Mit”
A sottolineare l’importanza di non cedere il passo alla tentazione di concedere ulteriore comprensione a chi non ha rispettato le regole è il presidente di Legambiente Sicilia Tommaso Castronovo. “È del tutto evidente come si sia di fronte a un fenomeno che si fatica a debellare e che necessita della massima collaborazione tra tutte le istituzioni. I Comuni devono procedere con maggiore rigore e senza alibi, a maggior ragione dopo la recente sentenza della Corte Costituzionale sulla legittimità dell’art.15 della Legge regionale 78/1976, con le demolizioni programmate, la Regione e lo Stato devono mettere a disposizione le risorse economiche”.
Che il fenomeno dell‘abusivismo edilizio sia una piaga, specialmente al Sud, lo dicono i numeri. Dati che raccontano di un Paese che per decenni è stato in parte costruito senza tenere conto delle previsioni normative sull’urbanizzazione. L’ultimo rapporto Benessere equo e sostenibile elaborato da Istat e riferito al 2022 ha confermato come in Italia siano state costruite più abitazioni di quelle autorizzate dal Comune. Secondo le stime del Centro ricerche economiche sociologiche e di mercato nell’edilizia (Cresme), il rapporto tra nuovi immobili abusivi rispetto a quelle con i documenti in regola è di 15,1 ogni cento.
“L’abusivismo edilizio resta un fenomeno marginale nelle regioni del Nord, ma conserva un peso rilevante nel resto del Paese e soprattutto nel Mezzogiorno, dove l’indice è molto più alto (42,1 abitazioni abusive ogni cento autorizzate nel Sud e 36,3 nelle Isole) – si legge nel rapporto –. Si stima, in particolare, un incremento netto delle abitazioni abusive in una misura che non si osservava dal 2004 (+9,1%), segnale di un possibile aggancio della componente illegale alla ripresa post-pandemica dell’edilizia residenziale”.
Lo studio si focalizza anche sull’effetto che le politiche hanno sui comportamenti dei cittadini. “Più che le variazioni congiunturali, tuttavia, a preoccupare è la lunga persistenza del fenomeno, in forza del quale, in gran parte del Paese, una quota significativa della produzione edilizia – si legge – continua a operare fuori dalla legalità, nell’aspettativa di futuri condoni. Nel frattempo, il mancato rispetto di piani urbanistici, vincoli di tutela e norme di sicurezza scarica costi altissimi sulla società in termini di degrado del paesaggio, rischio sismico e dissesto idrogeologico”.
Una tesi che trova conferma anche all’interno dell’ultimo rapporto Ecomafia di Legambiente: nel 2024, i reati contestati in materia di abusivismo edilizio sono aumentati del 4,7 per cento rispetto all’anno precedente.

