Abusivismo edilizio in Sicilia, il fallimento delle istituzioni - QdS

Abusivismo edilizio in Sicilia, il fallimento delle istituzioni

Abusivismo edilizio in Sicilia, il fallimento delle istituzioni

sabato 03 Aprile 2021

Legislazione permissiva, diffusa arretratezza degli strumenti urbanistici, inefficienza amministrativa e burocratica, carenza di risorse e omissione di controlli tra le criticità che hanno contribuito al dilagare di una delle piaghe più gravi della Sicilia

L’inchiesta di giovedì di questo Giornale documenta che in Sicilia “ci sono quasi 7 milioni e mezzo di metri cubi di costruzioni illegali (leggi qui). Più di 1,5 metri cubi a cittadino (compresi i neonati)… 31.981 abusi edilizi e in un indice di abusivismo (numero di costruzioni abusive ogni cento autorizzate, Ispra) pari al 58,2% (ampiamente sopra la media italiana che è del 17,7 per cento)”. A fronte di questa allarmante situazione sono soltanto 10.363 le pratiche di abusivismo edilizio portate a termine dalle amministrazioni.

I dati del Sistema informativo abusivismo del dipartimento Urbanistica dell’assessorato regionale Territorio e ambiente, aggiornati al 30 marzo 2021, forniti da questo Giornale confermano l’analisi e le conclusioni di un recente rapporto dell’Istituto nazionale di urbanistica sul territorio siciliano, che documenta il crescente consumo di suolo, la cronica inadeguatezza delle infrastrutture dei trasporti, la cura insufficiente delle parti più pregiate del territorio come quelle costiere, il dilagare dell’abusivismo, la difficoltà di pianificazione dei territori comunali e dell’area vasta, le rilevanti lacune delle politiche di gestione dei rischi (sismico e idrogeologico innanzitutto) e di tutela del paesaggio, la sostanziale inefficacia del sistema di pianificazione urbanistica.

Il report dell’Istituto di urbanistica rileva che la Sicilia è seconda in Italia per consumo di suolo (dopo la Lombardia, che ha il doppio degli abitanti della Sicilia e un Pil non paragonabile), è l’unica grande regione priva di una disciplina organica di governo del territorio, non riesce a sfruttare le potenzialità di un invidiabile patrimonio culturale e di un territorio rurale che conserva ambienti incontaminati e una notevole biodiversità.

Da anni ormai si è ricostruita la mappa dell’abusivismo sull’intero territorio nazionale e su quelli regionali, sono state indicate le principali criticità che alimentano il fenomeno ed annunciate le prime concrete iniziative: riordino della normativa urbanistica, controlli accurati, pugno di ferro con cittadini ed amministrazioni inadempienti, istituzione di un fondo di rotazione per finanziare gli oneri dell’abbattimento degli immobili abusivi.

Eppure non sembra concreta la prospettiva di definitiva soluzione di un problema che affligge il territorio e la società nazionale e regionale da decenni, alimentato da fattori di ordine sociale, economico, politico, amministrativo profondamente radicati: diffuso fabbisogno abitativo, presunzione di impunità, reazione alla assenza di regole certe e alla lentezza ed inefficienza burocratica, copertura politica, macroscopiche criticità nella ripartizione di poteri e risorse tra i diversi livelli istituzionali e nelle politiche pubbliche di governo del territorio ecc.

La dilagante diffusione dell’abusivismo edilizio evidenzia il fallimento delle politiche urbanistiche ed ambientali nazionali, regionali e locali, e la crisi della specialità siciliana e del modello di federalismo consolidatosi dopo la riforma costituzionale del 2001. Questa situazione di illegalità estremamente diffusa, infatti, origina da un concorso di cause e di responsabilità riconducibili alla qualità della legislazione, al deficit di collaborazione istituzionale, all’inefficienza amministrativa, alla carenza di risorse.

La Sicilia dispone di un’ampia competenza legislativa ed amministrativa in materia, che le consentirebbe di adattare la disciplina normativa e l’assetto urbanistico alle specifiche esigenze territoriali. Ed infatti da anni i disegni di legge e i documenti di programmazione in materia proclamano obiettivi impegnativi ed ambiziosi: riqualificazione delle aree metropolitane, strutturazione di un sistema urbano equilibrato e policentrico, gestione oculata e sviluppo del patrimonio naturale e culturale, attuazione di politiche territoriali integrate e trasversali in grado di coniugare competitività, sostenibilità ambientale e qualità della vita, valorizzazione delle risorse socio-economiche, culturali e identitarie delle aree interne, riduzione degli squilibri territoriali e incremento della capacità attrattiva del territorio regionale, integrazione tra zone urbane e peri-urbane e rurali in un’ottica metropolitana.

Ciò nonostante la legislazione regionale risulta per lo più incentrata su misure di sanatoria e condono e interventi contingenti, spesso occasionati da eventi calamitosi, trascurando invece rilevanti profili quali l’aggiornamento degli strumenti urbanistici comunali, l’identificazione di strategie e programmi a lungo termine, la razionalizzazione del consumo di suolo, la salvaguardia della sicurezza degli ambienti urbani da fattori di rischio idrogeologico e sismico, l’introduzione di strumenti di flessibilità in grado di adeguare tempestivamente la pianificazione ai mutamenti socio-economici del territorio.

All’insuccesso della politica urbanistica regionale hanno contribuito anche la separazione in compartimenti stagni delle competenze in materia urbanistica e ambientale e le difficoltà di coordinamento tra la pianificazione paesistica e quella territoriale, la divaricazione tra le prescrizioni normative e le pratiche di trasformazione urbana, la lentezza e farraginosità delle procedure, l’inefficienza delle attività di controllo sulla pianificazione comunale e sugli adempimenti rimessi ad altri enti, organismi ed amministrazioni.

A questi fattori di crisi della politica urbanistica regionale si sono, peraltro, aggiunte gravi patologie del sistema istituzionale: l’incerta distribuzione delle competenze nelle materie strategiche (ambiente, lavori pubblici, urbanistica) e la proliferazione di enti, agenzie ed organismi tecnici hanno frammentato ed annacquato le responsabilità, moltiplicato i centri decisionali gli strumenti di pianificazione e le procedure, prodotto duplicazioni e sovrapposizioni di competenze, alimentato il contenzioso; la tendenza dello Stato a scaricare sugli altri livelli di governo una quota sempre maggiore dei costi di risanamento della finanza pubblica attraverso vincoli alla spesa, riduzione delle entrate e tagli di personale ha privato gli enti locali, soprattutto quelli più piccoli, delle risorse umane e finanziarie necessarie per le attività di contrasto dell’abusivismo e di manutenzione del territorio; la complessità delle regole sugli appalti pubblici ha ostacolato la tempestiva esecuzione delle opere necessarie a prevenire il rischio idrogeologico; l’inefficienza degli enti locali nella gestione delle politiche urbanistiche ha alimentato la presunzione di impunità, che ha fornito un contributo decisivo al dilagare dell’abusivismo.

Legislazione permissiva, netta separazione tra competenze in materia urbanistica e ambientale e tra pianificazione paesistica e territoriale, frammentarietà dell’attività di pianificazione e diffusa arretratezza degli strumenti urbanistici, inefficienza amministrativa, carenza di risorse, di programmazione e di coordinamento tra le istituzioni, omissione dei controlli, diffuso fabbisogno abitativo, percezione di impunità, reazione all’assenza di regole certe e alla lentezza ed inefficienza burocratica e sottovalutazione del pericolo hanno contribuito ad orientare una consistente quota di attività edilizia verso la realizzazione di immobili abusivi.

In alcuni contesti, come quello siciliano, l’insieme di questi fattori ha creato una situazione di illegalità talmente diffusa da indurre la politica, e talvolta persino la Corte costituzionale, a ritenere che l’imposizione di regole restrittive e la severa repressione degli abusi avrebbe potuto generare problemi di ordine pubblico, e di conseguenza ad optare per la creazione di una forma di legalità più permissiva, finalizzata a disciplinare e contenere il fenomeno piuttosto che contrastarlo duramente. Questo da allora è diventato il principio ispiratore delle politiche pubbliche, che ha legittimato l’ammorbidimento dei vincoli urbanistici, condoni e sanatorie ricorrenti, lentezza e inefficienza delle procedure di ricognizione degli abusi ed esame delle pratiche di sanatoria, omissione di controlli e sanzioni.
Pochi comuni hanno realizzato il censimento degli immobili abusivi, nonostante gli elenchi delle cosiddette case fantasma siano stati diffusi dall’agenzia del Territorio tra il 2007 e il 2009; circa il 70% delle ordinanze di demolizione rimane inattuato; negli uffici comunali giacciono da anni circa centinaia di migliaia di domande di sanatoria edilizia, che spesso riguardano richieste prive dei requisiti, che gli uffici comunali, non potendo accogliere, lasciano in sospeso; i controlli sulla pianificazione comunale e sul rispetto degli adempimenti di legge si sono rivelati inefficaci e raramente le Regioni esercitano i poteri sostitutivi previsti dalla legge e sanzionano gli enti inadempienti.

Le amministrazioni pubbliche indicano la carenza di risorse come principale causa della scarsa manutenzione del territorio e della sopravvivenza di manufatti abusivi, ma la maggior parte degli enti locali non irroga agli autori degli abusi la sanzione fino a 20 mila euro prevista dalla legge, e consente loro di continuare a beneficiare degli immobili senza corrispondere alcuna indennità né i tributi previsti dall’ordinamento, rinunciando di fatto a risorse preziose per finanziare le demolizioni, mentre sono rimasti sostanzialmente inattuati gli interventi previsti dal Patto per il Sud e dagli analoghi strumenti di concertazione finanziati con diversi miliardi di euro per contrastare il dissesto idrogeologico.

L’inchiesta di questo Giornale rivela che nella legge di stabilità regionale sono state inserite due norme anti abusivismo che prevedono l’attribuzione di risorse ai Comuni per le demolizioni degli immobili illegali e l’accelerazione delle pratiche di condono esistenti. Tuttavia, al di là di simili, opportune, iniziative da una situazione così complessa si può uscire solo attraverso una strategia condivisa da tutte le amministrazioni: cooperazione e coordinamento tra le istituzioni coinvolte nella pianificazione territoriale, incentivi alla aggregazione di enti locali e forme di condivisione di figure professionali necessarie per incrementarne l’efficienza, razionalizzazione dell’attività amministrativa, dell’organizzazione burocratica e della ripartizione delle risorse tra le Istituzioni, individuazione di precisi e chiari obiettivi di performance per enti, amministratori e dipendenti pubblici riguardo alla manutenzione del territorio, alla repressione dell’abusivismo e alla efficienza nell’applicazione delle norme urbanistiche e nella gestione delle risorse, controlli efficienti, premi ed incentivi a favore delle amministrazioni virtuose, sanzioni a carico degli enti, amministratori e funzionari inadempienti.

Dario Immordino
Componente del gruppo di lavoro sulla riforma della contabilità regionale istituito presso la Regione siciliana

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