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Accordo per la coesione: una timida stretta di mano. In Sicilia la spesa pattuita con lo Stato ferma al 2%

Accordo per la coesione: una timida stretta di mano. In Sicilia la spesa pattuita con lo Stato ferma al 2%
Giorgia Meloni e Renato Schifani

Pagamenti per soli 102 milioni: un trend con cui, alla fine della programmazione, si rischia di perdere 4 miliardi di euro

ROMA – Mentre la Regione siciliana, con la riunione del Comitato di sorveglianza tenutasi nei giorni scorsi, è tornata ad accendere i riflettori sullo stato d’avanzamento dei programmi economici europei, i ritardi di spesa dei fondi extraregionali non hanno comunque smesso di accumularsi. Una lentezza finanziaria che, però, non affligge soltanto le risorse dell’Ue. Chiuse nei cassetti, infatti, ci sono pure le somme messe a disposizione da Roma. Si tratta del Fondo di sviluppo e coesione (Fsc), contributi nazionali che si accompagnano agli strumenti europei come Fesr o Fse+. A distribuirli è il Governo centrale in virtù dei cosiddetti Accordi per la coesione stipulati con le singole Regioni.

La spesa del Fondo di sviluppo e coesione ferma al palo

Al momento, però, pare che nessuno stia tenendo fede a questi patti. La spesa è ancora ferma al palo praticamente ovunque, come emerge dal monitoraggio della Ragioneria generale dello Stato: al 31 agosto di quest’anno l’avanzamento dell’Fsc per il ciclo 2021-2027 si attesta, a livello nazionale, al 4,5%, con un fondo complessivo di quasi 30 miliardi di euro e una spesa che però non si spinge oltre il miliardo e mezzo. In questo quadro i ritardi di spesa più preoccupanti sono quelli del Mezzogiorno, nonostante la legge di bilancio del 2021 abbia confermato le quote di riparto dell’Fsc, destinando alle regioni del Sud l’80% del budget e a quelle del Centro-Nord il restante 20%. Insomma, l’Italia meridionale è la maggiore beneficiaria dei finanziamenti, ma le sue strutture amministrative sono anche le più lente a spendere i fondi.

La Sicilia è terzultima in Italia per spesa dell’Fsc 2021-2027

La Sicilia, il cui Accordo per la coesione è il terzo più generoso del Paese con quasi 5 miliardi di euro disponibili (che salgono a oltre 5,2 miliardi se si considerano anche le anticipazioni assegnate con delibera Cipess), ha speso, secondo i dati del Mef, soltanto 102,6 milioni di euro, con un avanzamento del programma che non si schioda dall’1,98%. L’Isola è così terzultima in Italia per spesa dell’Fsc 21-27. Allo stato attuale, infatti, situazioni peggiori di quella siciliana si registrano, in termini di completamento dei rispettivi Accordi per la coesione, solo in Sardegna (1,27%) e in Puglia (0,46%). Nel contesto meridionale si distingue invece la Campania, che con un plafond superiore a quello della Sicilia (oltre 5,7 miliardi), dimostra performance migliori, anche se nel complesso a loro volta deludenti, spendendo 313,5 milioni (oltre 200 milioni di euro in più rispetto all’Isola), con un avanzamento al 5,45%.

Il quadro nazionale

Le conseguenze critiche della lentezza di regioni come la Sicilia risaltano ancora di più se si contestualizzano nel quadro nazionale. È vero, come detto, che l’andamento della spesa arranca in tutto il Paese, ma le percentuali di avanzamento di alcune regioni del Nord hanno comunque un impatto limitato sul computo complessivo della spesa in Italia. Questo per via del metodo di distribuzione dei fondi che, come sottolineato, privilegia i territori meridionali. Ad esempio, in Liguria si registra un avanzamento dell’Fsc pari al 25,77% (risultato tra i più alti del Paese) ma con un Accordo per la coesione che, incluse le anticipazioni, assegna alla Regione appena 225,8 milioni di euro: una cifra insignificante se confrontata agli oltre 5 miliardi concessi rispettivamente a Sicilia, Campania e Puglia, così come al cospetto dei 2 miliardi della Calabria o dei quasi 3 miliardi della Sardegna. L’avanzamento ligure, dunque, più o meno soddisfacente in termini percentuali, equivale in concreto a una spesa di soli 58 milioni. Lo stesso “gioco matematico” si verifica in casi come quello del Piemonte (15,10% con risorse per soli 650 milioni e con 98 milioni spesi), e della Provincia autonoma di Bolzano (27,38% con un budget di appena di 82,4 milioni e una spesa di 22,5 milioni di euro). Queste proporzioni mostrano come la vera partita dell’Fsc non si giochi in tutta la Penisola, ma soltanto nel Mezzogiorno italiano, ossia dove “girano”, o almeno dovrebbero farlo, le cifre più importanti.

L’Fsc nasce per sostenere i territori meno sviluppati

Da questo punto di vista, gli scarsi risultati di una regione come la Sicilia implicano delle criticità non solo in quanto ad avanzamento della spesa, ma anche in termini di “finalità” del programma. Una finalità che, in qualche modo, al momento viene tradita. L’Fsc, come visto anche in base all’entità dei budget assegnati alle singole regioni, nasce infatti per sostenere i territori meno sviluppati, e quindi per spronare il superamento dei gap economici e di sviluppo rispetto alle aree più prospere del Paese. Che dopo anni di contributi extraregionali, invece, siano proprio le regioni a cui vengono assegnate più risorse a dimostrarsi ancora incapaci di sbloccare l’impasse della spesa, è un esito che porta su di sé, in un certo senso, il peso di un doppio fallimento.

Gli Accordi per la coesione

Ci sono poi da considerare i possibili esiti negativi dei ritardi di spesa non solo al termine del programma, ma anche in itinere. Gli Accordi per la coesione, infatti, non danno spazio a discrezionalità finanziaria da parte dell’Amministrazione nel gestire i tempi degli investimenti. Oltre a stabilire l’importo del finanziamento, infatti, i patti con Roma definiscono anche i target di spesa che la Regione deve raggiungere anno per anno. Per quanto riguarda l’intesa stipulata il 27 maggio 2024 dal Governo nazionale e dalla Regione siciliana, è stato previsto che il programma Fsc 21-27 venga concluso entro il 2032 (per quanto riguarda le sole risorse ordinarie, cioè al netto delle anticipazioni), raggiungendo annualmente un certo volume d’investimento concordato con lo Stato mediante un Piano finanziario, allegato allo stesso Accordo per la coesione.

Il Piano finanziario stabiliva per il 2024 una spesa di circa 24,1 milioni di euro

Nel caso della Sicilia, il Piano finanziario stabiliva per il 2024 una spesa di circa 24,1 milioni di euro, e di 491,3 milioni per l’anno in corso. L’Isola, secondo l’ultima rilevazione, ha invece effettuato, come visto, pagamenti per 102,6 milioni di euro, di cui circa 23 sostenuti mediante anticipazioni: di conseguenza, per quanto riguarda le sole risorse ordinarie, la spesa dell’Fsc siciliano ammonta a 79,47 milioni di euro. Cifra assai più bassa rispetto agli oltre 515 milioni complessivi che la Regione, Piano finanziario alla mano, avrebbe dovuto spendere durante il primo biennio della programmazione. Flop che non ammette tanto facilmente giustificazioni, visto che lo stesso Accordo per la coesione stabilisce che la modifica dei cronoprogrammi è ammessa solo a patto che l’Amministrazione dimostri l’impossibilità di rispettarli per cause non imputabili a sé o al soggetto attuatore degli interventi.

La Sicilia rischia di perdere circa 388 milioni di euro

I numeri compongono dunque la fotografia di una Sicilia segnata non solo da generici ritardi rispetto al plafond complessivo, ma anche da un enorme disallineamento tra il trend di spesa in corso d’opera concordato con lo Stato e l’attuale livello di avanzamento del programma Fsc per quanto riguarda i pagamenti. Uno scollamento che il Governo nazionale non trascura e che, anzi, viene punito abbastanza severamente con il ritiro del finanziamento. L’articolo 2 del decreto coesione del 2023 stabilisce infatti che il “mancato rispetto del cronoprogramma di spesa annuale, quale risultante del Piano finanziario dell’Accordo per la coesione” provoca il “definanziamento dell’Accordo medesimo per un importo corrispondente alla differenza tra la spesa annuale preventivata, come indicata nel cronoprogramma, e i pagamenti effettuati”. Tirando le somme, alla luce del livello di spesa rilevato in Sicilia al 31 agosto (anticipazioni incluse), per il solo anno 2025 l’Isola va incontro alla perdita di un finanziamento nazionale pari a circa 388,7 milioni di euro. A ciò si aggiunge anche il rischio di commissariamento, ulteriore spada di Damocle che pende sulla testa dell’Amministrazione regionale: un’opzione introdotta dall’articolo 4 dell’Accordo per la coesione in caso di “inerzia o di inadempimento delle Amministrazioni pubbliche responsabili degli interventi”. Norma che può trovare applicazione “anche in riferimento al mancato rispetto delle scadenze dei cronoprogrammi”.

Occorre una decisa accelerazione della spesa

In riferimento a queste clausole dell’Accordo, se la sanzione che pesa sulla Sicilia per il solo 2025 si aggira (per il momento) intorno ai 388 milioni di euro, il conto sul tavolo della Regione al termine del ciclo di programmazione potrebbe essere molto più salato, con un definanziamento che ammonterebbe a 4 miliardi di euro nel 2032. A meno che non venga impressa una decisa accelerazione all’andamento della spesa. Possibilità per cui attualmente non si vedono spiragli. Il precedente monitoraggio del Mef, aggiornato al 30 aprile di quest’anno, rilevava infatti una spesa siciliana pari a 52,2 milioni, con un avanzamento del programma all’1%. Di conseguenza, l’Isola (la cui spesa al 31 agosto ammonta a 102,6 milioni) ha effettuato pagamenti per appena 50,4 milioni in un quadrimestre, incrementando in questo frangente il livello di completamento di soli 0,98 punti percentuali. Di questo passo, la Regione potrebbe approdare al 2032 con una spesa di 1,2 miliardi su un budget che, anticipazioni incluse, ammonta a 5,2 miliardi, impiegando alla fine della corsa soltanto il 23% delle risorse disponibili.

Una sfida ardua da vincere

Più passa il tempo, dunque, più quella dell’Fsc si dimostra (al pari della partita sui fondi europei) una sfida ardua da vincere, viste le difficoltà della burocrazia siciliana nel rispettare la tabella di marcia. Una grande opportunità, l’ennesima, che rischia di essere sprecata. Le risorse in questione potrebbero fare da rampa di lancio per tutta una serie di settori strategici nell’ottica della riduzione dei divari di cittadinanza. Gli ambiti d’intervento individuati nell’Accordo per la coesione, infatti, vanno dalla digitalizzazione all’energia, passando per la riqualificazione urbana, i trasporti, la mobilità, fino alla stessa capacità amministrativa. Linee d’azione che vengono evocate anche in un dossier dell’Assemblea regionale siciliana datato giugno 2024, dove veniva stimato (in percentuale) il trend annuale della spesa assorbita dall’Fsc 21-27. Anche rispetto a questa previsione, emergono i ritardi delle casse regionali. In quel documento, infatti, il Parlamento siciliano prevedeva che al termine del 2025 la spesa avrebbe dovuto registrare un livello di avanzamento del 10%. Le cose stanno andando diversamente e, secondo i report al momento più aggiornati, il completamento del programma, ormai prossimi alla fine dell’anno, si aggira solo intorno al 2%.