Il legale contesta la ricostruzione di fatti dell'accusa, affermando che tra le due donne c'era affetto e intesa, tanto che la prozia considerava la nipote "una figlia mancata".
Si è svolta davanti al Tribunale del riesame di Catania l’udienza sulla richiesta di annullamento della misura cautelare emessa dal gip nei confronti di Paola Pepe, la 58enne agli arresti domiciliari con l’accusa di circonvenzione di incapaci e di omicidio aggravato della prozia Maria Basso, di 80 anni.
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L’istanza è stata presentata e motivata in aula dal legale della donna, l’avvocato Carmelo Peluso. La Procura di Catania è rimasta sulle proprie posizioni, sollecitando la conferma della misura cautelare.
L’accusa dell’omicidio della prozia
Secondo l’accusa, basata su indagini dei carabinieri di Aci Castello, l’indagata avrebbe provocato la morte della donna per entrare in possesso della sua eredità. Lo avrebbe fatto facendole ingerire degli spaghetti e del dolce, che poteva mangiare solo spezzettati, per una grave patologia di cui soffriva e che la costringeva ad alimentarsi con prodotti omogeneizzati.
Le dichiarazioni della difesa
Una ricostruzione contestata dall’avvocato Peluso spiegando che tra le due donne c’era affetto e intesa, tanto che Maria Basso considerava Paola Pepe “una figlia mancata” e insieme “hanno fatto viaggi e vacanze”.
“Se la signora Basso è morta per l’ingestione di cibo solido bisogna tenere presente che non si può uccidere una persona disfagica facendole mangiare degli spaghetti perché non li può deglutire. Ha mangiato spaghetti triturati e fatti a poltiglia così come ha fatto altre decine di volte” conclude il legale.