Lavoro produttivo, lavoro improduttivo - QdS

Lavoro produttivo, lavoro improduttivo

Carlo Alberto Tregua

Lavoro produttivo, lavoro improduttivo

mercoledì 21 Agosto 2019

Ho riletto in questi giorni il testo che il famoso filosofo morale Adam Smith, più noto come economista (ma non lo era) ha pubblicato a Londra nel 1776: “La ricchezza delle nazioni”.
Nello stesso anno vi fu la Dichiarazione d’indipendenza dei tredici Stati d’America, che poi trovarono concretezza nella Carta costituzionale del 1789 e l’elezione del primo presidente George Washington.
Prima di scrivere il testo, Smith ha trascorso due anni in Francia e ha potuto discutere con Voltaire (François-Marie Arouet), D’Alemberte e Quesnay dell’assetto dello Stato e del suo funzionamento per l’economia.
Smith ripartiva la società in lavoratori, capitalisti e proprietari terrieri, lanciando anatemi contro le concentrazioni di poteri di ogni tipo, seguendo il suo pensiero libero, che non vuol dire liberista. Infatti, ricordava che la libertà individuale trova un preciso limite nella libertà collettiva: l’interesse generale soverchia quello particolare.

Smith fece una classificazione fondamentale, valida ancora oggi a distanza di 243 anni, fra lavoro produttivo e lavoro improduttivo. Il primo riguarda tutti coloro che producono valore o ricchezza, con i quali vengono sostenuti lo Stato e il suo impianto delle spese mediante la riscossione di imposte e tasse.
Ma poi, sosteneva Smith, il sovrano o l’istituzione devono essere parchi e prudenti nell’effettuare le uscite mediante tutto l’impianto pubblico, i cui dipendenti non fanno un lavoro produttivo, in quanto spendono ciò che perviene, appunto, attraverso imposte e tasse.
Avere definito improduttivo il lavoro della Pubblica amministrazione non aveva lo scopo di sminuirne l’importanza, ma sottolineava la necessità di avere una efficiente organizzazione e quindi di produrre i migliori servizi per i cittadini.
Solo se funziona bene la Pubblica amministrazione, il sistema di mercato funziona anch’esso bene, in quanto vi è una interfaccia fra mercato e burocrazia ineludibile e inevitabile, perché tutte le attività produttive abbisognano a vario titolo di provvedimenti amministrativi. Non comprendere l’importanza della burocrazia in un sistema economico libero significa sminuirne la capacità economica o addirittura annullarla.
Le tre grandi categorie di redditi sono salari, profitti e rendite. Vi deve essere un equilibrio tra esse, in modo che nessuno prevarichi l’altra.
La tripartizione smithiana di una società capitalistica venne fatta propria persino da Carl Marx, seppure con valutazioni politiche diverse. Nell’attività economica contano elementi come l’arte, la destrezza e l’intelligenza con cui si esercita un lavoro. Non solo, ma occorrono anche inventiva, selettività e voglia di raggiungere gli obiettivi attraverso una organizzazione sistematica ed efficiente.
In quei tempi l’attività economica più importante era quella agricola, seguita dallo sfruttamento delle miniere, dalla pesca e dalle attività di commercio e di servizi. Ancora non vi era una attività manifatturiera o industriale e quasi tutti i prodotti finiti erano fatti a mano, ad uno ad uno.
Smith sottolineava l’importanza dell’aumento dello scambio perché chiudersi a riccio nel proprio territorio fa aumentare la povertà e non la ricchezza.

Fautore del metodo e buon ordine del sistema pubblico fu il famoso ministro delle finanze di Luigi XIV, Jean-Baptiste Colbert. Sosteneva che occorre ordine sia per quanto concerne la riscossione che per la spesa pubblica, evitando di dare o mantenere privilegi che inevitabilmente danneggiano il sistema economico.
Un proverbio recita: “Se la canna è piegata da un lato, per raddrizzarla bisogna piegarla dall’altro”. Il che significa che bisogna essere sempre pronti a mantenere un sistema virtuoso evitando di far pendere la bilancia da un lato piuttosto che dall’altro.
Smith approfondì molto la natura e le cause della Ricchezza delle Nazioni, ma anche di ogni altro ramo del sistema di governo civile. Con ciò concordando con il già citato Quesnay.
La sua opera fu chiara, lampante e ancora oggi viene richiamata da economisti di ogni posizione, spesso anche impropriamente. Essa è preziosa, andrebbe letta da tutti i cittadini e divulgata nelle scuole di ogni livello. Purtroppo così non è, e l’ignoranza dilaga.

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