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L’aggressione all’arbitro a Riposto, Tar riduce il Daspo per un calciatore minorenne: ecco perché

L’aggressione all’arbitro a Riposto, Tar riduce il Daspo per un calciatore minorenne: ecco perché
Campo di calcio – immagine di repertorio da Pixabay

La risposta del Tar al ricorso presentato dal genitore di uno dei quattro minorenni accusati del grave gesto di violenza.

Carenza di motivazioni. È questo il rilievo che i giudici della prima sezione del Tar di Catania hanno fatto esaminando il ricorso presentato dal genitore di uno dei quattro calciatori minorenni che, ad aprile scorso, si sarebbero resi protagonisti dell’aggressione ai danni di un giovane arbitro nel corso della partita tra Rsc Riposto e Ads Pedara.

Sul tavolo del tribunale amministrativo è arrivata la richiesta di annullamento del Daspo che, pochi giorni dopo i fatti, è stato disposto dal questore etneo. Con una sentenza emessa nei giorni scorsi, il Tar ha ridotto da tre a un anno la durata della misura che vieta al calciatore di accedere, in qualsiasi veste, negli stadi. La decisione, tuttavia, potrebbe essere ulteriormente modificata nel caso in cui la questura decidesse di tornare sul provvedimento.

Daspo per l’aggressione all’arbitro durante Riposto-Pedara, la decisione

Al vaglio dei giudici c’era la legge 401 del 1989, norma che descrive le misure interdittive nei confronti di chi è coinvolto in azioni violente nel corso di manifestazioni sportive. “Il comma 5 dell’articolo 6 stabilisce un intervallo di applicazione della sanzione da uno a cinque anni”, si legge nella sentenza del Tar.

Per il tribunale, tuttavia, “appare evidente che siffatta graduazione, ove superi il minimo, deve trovare un riscontro motivazionale”. Fatto questo che però non sarebbe avvenuto nel caso del provvedimento disposto dal questore di Catania. “Ritiene il Collegio di dover precisare che la misura debba essere motivata e relazionata agli episodi che hanno determinato l’esercizio discrezionale preventivo tipico del provvedimento – prosegue la sentenza –. Consegue l’accoglimento della censura per difetto di motivazione, con riforma parziale del provvedimento nella misura in cui irroga l’interdizione per un periodo ulteriore a un anno (ferma restando la detta prescrizione minima)”.
Gli stessi giudici sottolineano che resta “salva l’adozione di un diverso motivato provvedimento”.

Il referto e il video

L’aggressione all’arbitro era avvenuta durante la partita di play off del campionato under 17 svoltasi nella località ionica il 5 aprile. Il caso aveva attirato l’attenzione della stampa nazionale. Pochi giorni dopo la questura aveva dato notizia dei provvedimenti presi nei confronti dei responsabili: Daspo triennale per due calciatori, biennali per altri due. “Le misure, notificate ai genitori in quanto minorenni, puntano a riaffermare il principio che lo sport deve essere sempre un luogo di legalità, rispetto e sicurezza”, commentò il questore in una nota.
Per il genitore del calciatore, tuttavia, l’intero provvedimento sarebbe dovuto cadere a fronte di una serie di elementi la cui rilevanza non è stata condivisa dai giudici amministrativi.

Tra questi c’è stata la contestazione riguardante il peso dato al referto arbitrale dalla Questura per emettere il Daspo. “Non conterebbe una identificazione attendibile degli autori della condotta – scrivono i giudici ricostruendo la versione del legale del calciatore –. In particolare, malgrado si affermi che il minore ricorrente indossasse la maglia numero 44, in realtà lo stesso avrebbe indossato una tuta anonima, come si evincerebbe da un filmato versato in atti, che, peraltro, dimostrerebbe come questi non abbia posto in essere alcuna condotta violenta ai danni dell’arbitro, adoperandosi, al contrario, per trattenere gli altri giocatori. In ogni caso – continua il ricorso – il referto arbitrale non assumerebbe alcuna rilevanza al di fuori dell’ordinamento calcistico, potendo supportare una sanzione sportiva, ma non un provvedimento amministrativo avente carattere limitativo della libertà personale”.

La valutazione dei giudici

Entrambe le critiche sono state rigettate dal Tar. “L’autore della condotta è stato individuato all’interno di un gruppo (e la sua presenza non è smentita), autore di un episodio estremamente grave, che nulla ha a che vedere con le manifestazioni sportive, caratterizzato da condotta gravemente lesiva dell’ordine pubblico – si legge nella sentenza –. Il Collegio ritiene di non poter trarre elementi utili alle ragioni dei ricorrenti dal filmato dagli stessi versato in atti (dal quale si dovrebbe evincere che il minore ricorrente non solo non ha usato comportamenti violenti, ma si sarebbe adoperato per evitarli), dal momento che lo stesso, intanto, non appare estremamente chiaro nella sua dinamica e, inoltre, riprende verosimilmente soltanto la fase finale dell’aggressione (l’allontanamento dell’arbitro dal gruppo di assalitori, agevolato dall’intervento presumibilmente dei dirigenti delle due squadre coinvolte), ossia allorquando le condotte lesive (non oggetto di ripresa nel filmato in questione) erano state già perpetrate ai danni dell’arbitro”.

Sul presunto errore di persona, i giudici scrivono: “Il filmato non consente di escludere che il minore, durante tutto il (precedente) corso dell’aggressione, vi abbia preso parte. Inoltre, il Collegio ritiene non sufficientemente argomentata la presunta confusione in cui sarebbe incorso l’arbitro nell’identificare l’autore dell’aggressione, non potendosi al riguardo ritenere rilevante la circostanza che, nel video, il minore (identificato soltanto dalla parte ricorrente) indossi una tuta anonima, ossia non riportante il numero 44, come invece indicato nel referto arbitrale posto a fondamento del provvedimento impugnato”.

Il Tar fa poi riferimento alla versione fornita dalla vittima dell’aggressione: “Dalla lettura delle dichiarazioni arbitrali emerge piuttosto una identificazione univoca, concordante e consapevole del minore, di cui si riporta non soltanto il nome e il cognome e il numero di maglia, ma anche la condotta tenuta durante il corso della gara, ossia l’ulteriore circostanza (non contestata in ricorso) che lo stesso minore era stato già espulso durante il corso della partita – prosegue la sentenza –. Non è da escludere, anzi appare verosimile, che, in seguito all’espulsione, il minore abbia indossato una differente tuta o, comunque, una giacca idonea a coprire la maglia recante il numero, come è d’uso nei casi in cui i calciatori sono in panchina”.

In merito all’utilizzabilità del referto, i giudici, richiamando precedenti sentenze, affermano che anche se il “valore probatorio privilegiato del referto arbitrale è limitato all’ordinamento sportivo” è altrettanto vero che “la parte ricorrente, nel caso in esame, non ha introdotto elementi idonei a contrastare la descrizione in fatto racchiusa nel referto arbitrale, quale testimonianza qualificata”.