Agricoltura, crisi profonda per l’uva da tavola - QdS

Agricoltura, crisi profonda per l’uva da tavola

Agricoltura, crisi profonda per l’uva da tavola

Biagio Tinghino  |
giovedì 03 Novembre 2022

Pochi i ricavi per gli imprenditori agricoli, con un invenduto che arriva all’80%, mentre si registra un vertiginoso aumento delle spese di produzione. Da Mazzarrone e Canicattì parte la protesta

Un unico filo conduttore lega i due distretti dell’uva da tavola siciliana, quello di Mazzarrone (CT) e di Canicattì (AG): la crisi. La categoria cerca di reagire con momenti di confronto che si svolgono, negli areali di maggiore produzione in Italia, Puglia e Sicilia in testa. L’ultimo incontro è avvenuto congiuntamente a Mazzarrone e a Canicattì grazie a un collegamento in diretta. Infatti, si è svolta in contemporanea una seduta straordinaria e urgente del Consiglio Comunale di Mazzarrone, a cui hanno partecipato alcuni sindaci dei comuni del comprensorio, le associazioni di categoria, gli operatori del settore d gli esponenti sindacali, con un’adesione piuttosto massiccia e sentita.

Sulle piante è rimasto invenduto l’80% del prodotto, circa 2,5 milioni di quintali di uva da tavola, ed inoltre bisogna fare i conti con il clima perché si rischia la totale perdita del prodotto. Un settore ormai al collasso a causa dei rincari dell’energia e delle materie prime. Non per ultime, le politiche della Grande Distribuzione Organizzata che carica sui produttori le poche promozioni ai consumatori finali. Un kg di uva da tavola viene venduto alla pianta a 0,50 euro, contro 1,20 euro del prezzo reale, praticamente sottocosto. L’assemblea ha formalizzato una richiesta di riconoscimento dello stato di crisi, che adesso sarà presentata agli organi competenti. Attraverso il documento, la categoria chiede una serie di misure in soccorso del comparto. Ad assistere alla manifestazione c’era anche Vincenzo Di Piazza, agronomo, nonché presidente dell’Associazione Uva da Tavola Siciliana.

“Presentare la richiesta dello stato di crisi è stato un atto improcrastinabile – ha detto Di Piazza -. Tuttavia, i problemi che attanagliano il comparto non si riducono al momento emergenziale, ma vengono da lontano e sono strutturali, a partire dalla scarsa competitività del nostro prodotto rispetto a quello estero e a una promozione delle nostre pregiate uve che è ancora molto deficitaria. Andando più al nocciolo del problema vi è, poi, il divario tra il prezzo alla produzione e quello al consumo, che talora non è giustificato e che non riconosce la corretta remunerazione ai produttori. Questi operano, va ricordato, con standard europei sia sul piano della sostenibilità lavorativa e ambientale sia su quello della salubrità dell’uva messa in commercio”.

“Serve, dunque, rafforzare l’appeal delle varietà storiche e identitarie del territorio – ha aggiunto il presidente – ma serve ancor di più un tavolo di concertazione, con la distribuzione da una parte e le istituzioni dall’altra, che includa i maggiori soggetti e attori della filiera, con l’inserimento strategico negli organi consultivi di Regione e Stato delle aziende produttive e commerciali e delle associazioni impegnate a vario titolo nel comparto. Il settore, con circa 22mila ettari di produzioni, ha bisogno non solo degli organi sindacali, pur indispensabili, che li sostengano, ma anche di un apporto più ampio che sappia interpretare un comparto agricolo storico, tenendo conto della sua specificità. Ridurre le uve da mensa siciliane di pregio e a marchio a mero prodotto commerciale è riduttivo e non ne esprime il patrimonio valoriale, legato al territorio, al cibo sano e sicuro e alla sua ricaduta socioeconomica”.

Presenti anche i presidenti dei due consorzi dell’uva Igp di Mazzarrone, Giovanni Raniolo e di Canicattì, Salvatore Lodico. “È necessario ricevere un immediato aiuto anche dalle banche, per dilazionare i prestiti agrari in corso – ha detto dal canto suo Raniolo -, oltre che l’esigenza delle aziende di ottenere liquidità per affrontare la prossima campagna. Altra richiesta è quella di ottenere agevolazioni per le tariffe energetiche”.

“Se non ci fosse il conflitto in atto, molti mercati esteri, i cui governi hanno ben altro a cui pensare che non all’uva, non ci troveremmo in questa situazione – ha stigmatizzato Lodico -. Il caro energia non risparmia aziende e popolazioni, le famiglie hanno perso il loro potere d’acquisto e riducono i consumi dei prodotti di fine pasto come l’uva, preferendo i beni di primissima necessità. Tra le altre misure urgenti di cui il comparto ha bisogno, servono sostegni sugli scarti di merce, per ridurre la quantità e migliorare la qualità. Ora stiamo affrontando la difficile gestione delle uve rimaste sulle piante che sono soggette alle intemperie, aggiungendo il rischio di ulteriori perdite”.

Intanto all’orizzonte l’incubo diventa quello di vendere a 7 centesimi al kg l’uva italiana rimasta invenduta sulle piante, per la trasformazione (vino, mosto, confetture etc.). Questa evenienza comporterebbe un altro disastro per l’economia siciliana.

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