Il Prefetto di Agrigento, "Clima disteso sul territorio. Sappiamo che gli sfoghi avvengono soprattutto sui social e non hanno poi seguito nella vita reale"
Secondo i dati diffusi da Avviso pubblico, negli ultimi dieci anni (2011-2020) la Sicilia è la regione con il maggior numero di casi di minacce e intimidazione nei confronti degli amministratori locali (726). Abbiamo analizzato e discusso il fenomeno, sempre più diffuso nell’Isola, insieme al Prefetto di Agrigento, Maria Rita Cocciufa.
Palermo e Agrigento sono tra le province più colpite sia a livello regionale che nazionale. Lei conosce bene il territorio, come si opera in un contesto simile?
“Già quest’anno abbiamo constatato un aumento dei casi rispetto al 2020, ma non si tratta di episodi particolarmente significativi e spesso ci troviamo davanti a eventi non del tutto chiari.
Delle volte si ha persino l’impressione che si tratti di episodi del tutto scollegati dal reale, perché non si riesce a comprendere la natura della minaccia o dell’atto intimidatorio e la matrice resta oscura. A parte quei casi in cui appare evidente che la motivazione sia di carattere privato e quegli episodi legati alla criminalità comune, come il classico atto di teppismo, il resto rimane oscuro e difficilmente decifrabile. Le minacce vere e proprio legate alla funzione pubblica non sono molte e la maggior parte delle volte non hanno seguito. Ho notato anche grande opacità sull’intera questione, forse è anche una caratteristica della provincia, ma spesso le vere motivazioni non emergono.
Non abbiamo individuato, almeno dai dati che abbiamo a disposizione, situazioni particolarmente allarmanti. Chiaramente continuiamo a monitorare con attenzione e laddove è necessario attiviamo misure di vigilanza.
Sì, abbiamo un paio di episodi durante la campagna elettorale, come il danneggiamento del comitato elettorale, ma è finita lì, non c’è stato seguito. Poi, sa, se esiste un sommerso o qualcosa che non viene riferito: è difficile andarlo a trovare. O il fatto è eclatante oppure è necessaria la denuncia”.
Oltre un caso su tre non ha matrice criminale e il Sud traina la manifestazione del malcontento contro le istituzioni locali. Come si fa a modulare un fenomeno così esteso e radicato?
“Sì, c’è un disagio diffuso e i tempi sono particolarmente complessi. Gli atti che si sono verificati qui non hanno praticamente mai avuto seguito e non escludo che, quando la motivazione viene definita privata o oscura, si tratti di sfoghi da parte dei cittadini comuni. Difficile poi dare una chiave di lettura in merito a episodi isolati, che non hanno grande rilevanza o seguito. Allo stato attuale e con i dati che abbiamo, non credo si tratti di un fenomeno allarmante. È chiaro che continuiamo a essere attenti, anche perché c’è un’attenzione molto forte da parte del ministro e la consapevolezza di un malcontento piuttosto diffuso”.
La pandemia ha probabilmente inasprito questi atteggiamenti. Il vostro lavoro ne ha risentito? È cambiato in tal senso?
“Agrigento è una provincia complessa, però devo dire che non ho riscontrato dei comportamenti che hanno indotto l’intervento delle Forze dell’ordine. Oltre l’85% della popolazione è vaccinata. Sì, abbiamo avuto dei momenti di difficoltà dovuti al prolungarsi delle restrizioni, ma non ci sono stati episodi di particolare rilievo o di particolare gravità e c’è una grande disponibilità anche da parte delle associazioni di categoria. Il clima, fortunatamente, è disteso. Sappiamo che gli sfoghi avvengono soprattutto sui social e non hanno poi seguito nella vita reale”.