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Agripesca: piano triennale rimetta pesca al centro della scena

Agripesca: piano triennale rimetta pesca al centro della scena

Convegno a Roma con il presidente Mario Serpillo

Roma, 17 dic. (askanews) – Il Piano Triennale della Pesca e dell’Acquacoltura deve diventare “uno strumento concreto di rilancio del comparto, capace di mettere al centro il pescatore, la qualità del cibo e la tutela del mare. Servono politiche integrate, investimenti mirati e una visione di lungo periodo che riconosca nella pesca un presidio economico, sociale e ambientale. Senza il sostegno alle imprese e senza un’assunzione di responsabilità condivisa da parte delle istituzioni, non può esserci futuro né per il settore né per le nuove generazioni”. E’ quanto emerso oggi a Roma nel corso del convegno “Il mare come Risorsa, la Pesca come Responsabilità”, con cui Agripesca ha avviato ufficialmente la propria partecipazione al Programma Nazionale Triennale della Pesca 2025-2027, aprendo un confronto sulle sfide della sostenibilità, del cambiamento climatico e della gestione responsabile delle risorse marine.

Secondo Mario Serpillo, presidente nazionale di Agripesca, il comparto oggi è fortemente condizionato da fattori globali come le tensioni geopolitiche, l’aumento dei costi energetici e le trasformazioni dei mercati, che incidono direttamente sui consumi e sulla qualità del cibo. “Non possiamo ignorare – ha sottolineato Serpillo – che circa l’80% degli alimenti che arrivano sulle tavole sia ultra-processato, con effetti diretti sulla salute e sull’aumento dell’antibiotico-resistenza, soprattutto tra i più giovani”.

Al centro della riflessione anche il ruolo delle piccole marinerie, spesso penalizzate da normative complesse, carenza di investimenti e mancanza di ricambio generazionale delle flotte. Nel corso dell’incontro è stato presentato uno studio sulla sostenibilità e sulla competitività etica della pesca italiana, sottolineando come non possa esistere una reale sostenibilità senza il contributo strutturale della pesca e dell’acquacoltura. A fronte di consumi di prodotti ittici in costante crescita, l’Italia mostra una forte dipendenza dall’estero: l’85% del pesce consumato proviene dalle importazioni in termini di valore e l’82% in termini di volume. Una dinamica che si riflette in una bilancia commerciale fortemente sbilanciata, con importazioni pari a 6,5 miliardi di euro a fronte di esportazioni che non raggiungono il miliardo, fermandosi a 999 milioni di euro.

Sul tema è intervenuta anche Annamaria Mele, presidente nazionale di Anapi Pesca, che ha posto l’attenzione sulle cause strutturali della crisi del comparto: “il problema non è la pesca, ma l’eccessiva antropizzazione dell’uomo e l’impatto che questa ha avuto sul mare, aggravati da un sistema burocratico che, attraverso il meccanismo delle quote, spesso non tiene conto della realtà dei territori e delle specificità del settore. È necessario superare un approccio meramente amministrativo e costruire regole più aderenti alle reali dinamiche ambientali ed economiche”.

Le analisi hanno inoltre evidenziato criticità legate al rinnovo della flotta, con un’età media delle imbarcazioni di circa 30 anni, alla carenza di investimenti tecnologici e alla scarsa valorizzazione del prodotto, sia a bordo che a terra. Analoghe difficoltà emergono nell’acquacoltura, dove i costi dei mangimi incidono fino al 70% sul costo finale, limitando la competitività del settore.