Roma, 3 dic. (askanews) – “Il Rapporto Ismea-Qualivita dimostra che la Dop Economy continua a crescere e che, all’interno di questo percorso, l’olio certificato è un segmento in espansione. È un’occasione enorme per tutto il nostro settore. Tuttavia, non possiamo ignorare un dato fondamentale: solo il 3-4% dell’olio commercializzato oggi arriva al consumatore con una DOP o una IGP. Se vogliamo garantire qualità e tracciabilità a chi acquista e assicurare una giusta remunerazione agli olivicoltori e ai frantoiani, questa percentuale deve aumentare in modo deciso”. Così il presidente di Aifo, l’associazione italiana frantoiani, Alberto Amoroso, commenta l’evoluzione positiva del settore degli oli di oliva certificati evidenziata dal rapporto Ismea-Qualivita 2025 evidenzia come nel 2024 la produzione DOP e IGP abbia raggiunto 16.190 tonnellate, con un aumento del 31,1% rispetto all’anno precedente, mentre il valore alla produzione sia salito a 194 milioni di euro (+46,9%).
Crescono anche il valore al consumo, che raggiunge 258 milioni di euro (+47,8%), e il valore all’export, pari a 102 milioni di euro (+25,3%).
Amoroso evidenzia inoltre come l’attuale sistema delle denominazioni dell’olio non sia strutturato come quello dei formaggi o dei vini, che infatti risultano tra i settori più performanti della Dop Economy e godono di modelli organizzativi più solidi e di una governance più efficace. Secondo il presidente di Aifo, questo è il momento di avviare una riforma profonda e necessaria: modificare il decreto di riconoscimento delle DOP e delle IGP dell’olio, adottare modelli gestionali simili a quelli già collaudati nel vino e nei formaggi, e utilizzare realmente le denominazioni come strumenti di valore, e non come meri adempimenti burocratici.
“Se interveniamo su questi tre fronti prosegue Amoroso gli effetti sarebbero immediati: una tracciabilità più forte e trasparente, una tutela più efficace del territorio e delle produzioni, una redistribuzione più equa del reddito lungo la filiera, e una capacità molto maggiore di promuovere i nostri oli anche sui mercati esteri. Il settore non può più permettersi di utilizzare solo al minimo un potenziale così rilevante. Riformare le denominazioni significa liberare valore, rafforzare la competitività e dare finalmente all’olio italiano il ruolo che merita nella Dop Economy”.

