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Airbnb, la faccia miliardaria del turismo in Italia e il caso Sicilia col boom degli affitti brevi

Airbnb, la faccia miliardaria del turismo in Italia e il caso Sicilia col boom degli affitti brevi

I numeri del report realizzato da Full del Politecnico di Torino aiutano a capire il fenomeno a livello nazionale: dal 2017 al 2024 gli alloggi sulla piattaforma sono passati da quasi mezzo milione a oltre 754mila. Nell’Isola, e nello stesso periodo, le locazioni brevi sono cresciute del 90% a Catania, 51% a Palermo e 49% a Messina

Circa 8,8 miliardi di euro. Tanto vale il mercato italiano di Airbnb, la piattaforma online di affitti brevi che in Italia fa registrare cifre da capogiro. Dietro gli affitti brevi c’è un mercato che negli ultimi anni è cresciuto in maniera esponenziali, soprattutto nel periodo post Covid.

I numeri aiutano a capirlo sia per l’aumento degli alloggi che per il peso economico. Basti pensare che nel 2017 gli alloggi attivi su Airbnb in Italia erano 494.129; nel 2024, ultimo riferimento disponibile, sono saliti a 754.018. I numeri provengono dal report “Chi gestisce davvero il mercato Airbnb? Gli affitti brevi in Italia dal 2017 al 2024”, realizzato dal FULL – Future Urban Legacy Lab del Politecnico di Torino.

Il boom silenzioso di un mercato che vale miliardi

Airbnb non è più soltanto una piattaforma per viaggiatori. È diventato un vero e proprio settore economico strutturato, capace di muovere in Italia 8,82 miliardi di euro di ricavi nel 2024, più del triplo rispetto ai 2,5 miliardi del 2017.

In sette anni la crescita è stata del 242%: una trasformazione che ha attraversato anche la pandemia e che oggi incide stabilmente sull’economia urbana, sul mercato immobiliare, sul lavoro ma anche sul fenomeno della gentrification, di cui abbiamo raccontato nelle inchieste passate del Quotidiano di Sicilia.

Gli alloggi attivi sulla piattaforma sono passati da 494.129 nel 2017 a 754.018 nel 2024, con un aumento del 52%. È la fotografia di un mercato che cresce in estensione, intensità e redditività. Ogni alloggio, in media, rende oggi 11.700 euro l’anno, contro i 5.200 euro del 2017.

Anche qui la crescita è netta: +124%. Airbnb non è più un’attività accessoria o marginale, ma una componente centrale del sistema turistico e immobiliare italiano. Ed è proprio questo salto di scala a rendere il fenomeno politicamente e socialmente rilevante, soprattutto nei territori più fragili come la Sicilia.

Dalla condivisione all’impresa: chi controlla davvero il mercato

Dietro la retorica dell’“economia collaborativa” si nasconde una trasformazione profonda. Nel 2024 gli host attivi in tutta Italia sono stati 349.944, il 36% in più rispetto al 2017. Ma il dato più significativo riguarda la dimensione media di ciascun host: oggi ognuno gestisce in media 2,15 alloggi, contro 1,92 di sette anni fa.

La maggioranza resta composta da piccoli proprietari: gli small host, che gestiscono una o due unità, sono 293.464, pari all’83,9% del totale. Ma il peso economico del mercato non è più nelle loro mani. I large host, appena l’1,3% degli operatori, controllano 185.216 alloggi, cioè quasi un quarto dell’offerta nazionale, e incassano 3,30 miliardi di euro, il 37% dei ricavi complessivi.

La concentrazione emerge ancora più chiaramente osservando la redditività. Un alloggio gestito da uno small host rende in media 8.500 euro l’anno. Per i medium host si sale a 11.500 euro. Per i large host si arriva a 17.900 euro. È la dimostrazione che il mercato degli affitti brevi, pur restando frammentato, tende a premiare chi opera con logiche imprenditoriali.

Questo modello non è neutrale. Incide sui prezzi delle case, sull’accesso all’abitazione e sulla struttura del lavoro, soprattutto nelle aree a forte vocazione turistica. Ed è qui che arriviamo al caso Sicilia.

Il caso Sicilia: è boom di affitti brevi

Nell’Isola si registra un business degli “affitti brevi” che sfrutta l’importante presenza di case vuote nelle città o in provincia. I dati sono raccontati in questo caso dal Report 2025 del Forum dell’abitare (costituito da Cgil, Sunia, Arci, Auser, Comunita’ Sant’Egidio, Legambiente, Udu, Federconsumatori). A proposito di grandi host, proprietari di più di dieci abitazioni, la città che più beneficia di questo sistema è Messina, con una crescita di addirittura il +274%.

I dati raccolti dal Forum mostrano una crescita molto marcata delle locazioni brevi tra il 2017 e il 2024: +90% a Catania, +51% a Palermo, +49% a Messina. Ma il dato più significativo riguarda i grandi host, cioè coloro che gestiscono più di dieci abitazioni – in alcuni casi fino a 35 unità. In questo segmento l’aumento è stato esponenziale: +171% a Catania, +274% a Messina, +162% a Palermo. A questa espansione corrisponde un’impennata dei ricavi: +235% nel capoluogo regionale, +171% a Messina, +150% a Catania.

Il report analizza anche il cosiddetto “tasso di sforzo”, ovvero la quota di reddito familiare assorbita dall’affitto. Le percentuali restano elevate in tutte le principali città siciliane: 28% a Catania, 26% a Palermo, che sale al 27% se si considera l’intera provincia; 26% a Siracusa, 25% a Ragusa, 22% a Messina.

Valori che diventano ancora più critici se rapportati ai redditi disponibili: nel settore privato il reddito medio annuo da lavoro si ferma a 17.735 euro, mentre sul fronte pensionistico si contano 470 mila assegni inferiori ai 1.000 euro lordi e oltre 656 mila sotto i 1.300 euro, secondo i dati Inps 2025. Il tutto in una regione dove il 41,4% della popolazione è a rischio povertà ed esclusione sociale, come certificato dal Defr 2025-2027 della Regione Siciliana.

Quando gli affitti brevi rendono impossibile la ricerca di una casa

In Sicilia il costo dell’abitare è diventato una linea di frattura sociale. In una regione dove oltre quattro famiglie su dieci vivono a rischio di povertà o esclusione, l’aumento dei canoni di locazione pesa in modo sproporzionato su redditi già fragili. Il quadro che emerge dal Report 2025 del Forum dell’Abitare è quello di un mercato immobiliare sbilanciato.

Molte abitazioni restano vuote, l’edilizia popolare è insufficiente, i posti letto pubblici per studenti fuori sede non coprono la domanda, mentre cresce con continuità il settore degli affitti brevi, insieme ai profitti che genera, soprattutto per i grandi operatori.

“La situazione delle famiglie è grave e il tema della casa meriterebbe un’attenzione istituzionale che oggi manca”, ha dichiarato Angela Biondi, segretaria confederale della Cgil Sicilia. Il sindacato richiama anche un altro effetto collaterale della crescita degli affitti brevi: lo svuotamento dei centri storici e la concentrazione degli immobili nelle mani di grandi host, con pratiche che finiscono per penalizzare anche il settore alberghiero tradizionale.

Sul mercato, intanto, i canoni continuano a salire. A Catania il costo medio è di 8,7 euro al metro quadro, che significa sfiorare i 900 euro mensili per un’abitazione di 100 metri quadrati. A Palermo si attesta a 8,6 euro, a Messina a 7,9. L’unica realtà con prezzi più contenuti è Caltanissetta, dove il valore medio scende a 5,3 euro al metro quadro.

Di fronte a questo scenario, il fabbisogno di case popolari resta ampiamente insoddisfatto. Le domande giacenti per l’assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica sono 23.938, secondo i dati Sunia 2023. “L’edilizia residenziale pubblica e sociale va rafforzata – ha sottolineato Giusy Milazzo, segretaria regionale del Sunia – per dare risposte concrete alle famiglie, alle lavoratrici e ai lavoratori con redditi medio-bassi, ai pensionati”.

Più case, più notti, più prezzi: la pressione che cambia le città

Ma tornando al report “Chi gestisce davvero il mercato Airbnb? Gli affitti brevi in Italia dal 2017 al 2024”, realizzato dal FULL – Future Urban Legacy Lab del Politecnico di Torino, qual è l’impatto del colosso degli affitti nelle grandi città italiane? L’assioma è chiaro: la crescita dell’offerta è sostenuta da una domanda in continua espansione.

Le grandi città mostrano dinamiche differenziate. Milano cresce in numero di alloggi, ma registra rendimenti medi più bassi rispetto a città come Venezia, dove un alloggio Airbnb genera oltre 31 mila euro l’anno, o Roma e Firenze, che superano i 24 mila. Non conta solo quante case ci sono, ma quanto riescono a rendere, in funzione della pressione turistica e della capacità di attrarre pernottamenti ad alto valore.

Le notti prenotate su Airbnb in Italia sono infatti passate da 23 milioni nel 2017 a 53 milioni nel 2024. Più del doppio. Non solo ci sono più alloggi, ma vengono utilizzati molto di più. Il tasso di occupazione medio è salito da 0,19 a 0,33, con un incremento del 72%. Questo utilizzo intensivo ha un effetto diretto sui prezzi. Nel 2017 il costo medio per notte era di 111 euro; nel 2024 è salito a 167 euro, con un aumento del 50%. Questa pressione, tuttavia, non resta confinata ai centri storici o alle grandi destinazioni. Si estende progressivamente anche ai contesti regionali e periferici, Sicilia compresa.

La Sicilia dentro il boom: crescita senza redistribuzione

Il contesto socioeconomico dell’Isola rende questo boom profondamente asimmetrico. La Sicilia è una delle regioni con il più alto tasso di lavoratori poveri in Italia. Migliaia di occupati, soprattutto nei settori del turismo, della ristorazione e dei servizi connessi, lavorano pur restando sotto la soglia di povertà. Il fenomeno dei working poor è in crescita e alimentato da contratti stagionali, part-time involontari, bassi salari e scarsa continuità occupazionale.

In questo scenario, l’espansione di Airbnb non produce automaticamente benessere diffuso. Al contrario, rischia di accentuare una frattura già esistente. Da un lato, proprietari e gestori che intercettano rendite crescenti grazie agli affitti brevi. Dall’altro, una forza lavoro impiegata nel turismo che vede aumentare il costo della vita – affitti, servizi, abitazioni – senza un corrispondente aumento dei redditi.

Il legame tra affitti brevi e lavoro povero non è immediato, ma è strutturale. Il turismo che cresce attraverso piattaforme come Airbnb genera occupazione, ma spesso si tratta di lavoro fragile, intermittente, poco tutelato. Camerieri, addetti alle pulizie, manutentori, personale stagionale: figure essenziali al funzionamento del sistema, ma raramente beneficiarie della ricchezza prodotta.

Unione Inquilini, Currò: “Problema è tasso di sforzo”

“Il problema fondamentale per le famiglie che sono in affitto è sul cosiddetto tasso di sforzo, che sarebbe appunto la parte di reddito impegnato per coprire le spese di locazione, quindi dall’affitto alle spese per utenze. Prendendo in considerazione la fascia più povera dei siciliani – di chi presenta redditi inferiori ai 10 mila euro – abbiamo un tasso di sforzo che supera abbondantemente il 50% e il 60% del proprio reddito, quindi una parte significativa del proprio reddito viene impegnata per questo aspetto”.

A raccontarlo ai microfoni del QdS è il dirigente dell’Unione Inquilini Messina e membro della segreteria nazionale del sindacato, Antonio Currò. Dati che raccontano di una emergenza abitativa chiara e a causa della quale “c’è bisogno urgentemente di locazioni a canone sociale, non regge più né il mercato libero e neppure quello a canone concordato, di cui noi siamo anche firmatari”.

Per superare la carenza abitativa conseguente anche a un utilizzo commerciale degli immobili, “oltre al canone di locazione sociale come quello determinato per le case popolari, si possono stringere accordi con il Comune”. Situazioni che, sottolinea il componente della segreteria nazionale, “si sono già realizzate in passato”.

Un esempio chiaro. “Il Comune prende in locazione 10 immobili di alloggi abbandonati e in disuso, come quelli delle ferrovie. Li prende a canone di mercato o a canone concordato e poi li affitta a canone sociale alle famiglie bisognose per abbattere il costo”, conclude Currò.

Concentrazione e imprenditorializzazione: la nuova geografia del potere

Un altro elemento critico riguarda la crescente concentrazione del mercato. I large host, pur essendo numericamente marginali, controllano una quota crescente di alloggi e ricavi. Anche in Sicilia si osserva una progressiva professionalizzazione della gestione degli affitti brevi, con operatori strutturati che gestiscono decine di unità, spesso attraverso società dedicate.

Questa evoluzione cambia la natura del mercato e toglie numerosi alloggi alle famiglie in cerca di abitazione. I numeri raccontano una trasformazione che chiama in causa la politica. Quando un mercato cresce del 242% in sette anni e arriva a valere quasi 9 miliardi di euro, non può essere lasciato senza governo.

In Sicilia, il rischio è che gli affitti brevi diventino un moltiplicatore di disuguaglianze: più rendita per pochi, più precarietà per molti. E le strette imposte dalla Regione, con l’introduzione di una regolamentazione più netta sul tema nel corso dell’estate 2025, non ha ancora restituito i frutti sperati nel mare della deregulation.

Il tema non è fermare il turismo, ma governarlo. Capire come redistribuire il valore generato, come proteggere il diritto all’abitare, come contrastare la crescita del lavoro povero. Senza interventi mirati, il boom di Airbnb rischia di accentuare la fragilità sociale dell’Isola, trasformando una risorsa economica in un fattore di esclusione.

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