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Alessio Boni in teatro con l’Iliade dei giorni nostri. “È lo specchio di noi stessi, l’uguale che ritorna”

Alessio Boni in teatro con l’Iliade dei giorni nostri. “È lo specchio di noi stessi, l’uguale che ritorna”
Alessio Boni

L’attore vestirà i duplici panni di Zeus e Achille nello spettacolo in scena all’Abc di Catania dal 15 febbraio al 2 marzo

CATANIA – Nella sua “meglio gioventù” guardava in alto, alle mete da raggiungere. Irresistibilmente attratto dalle nuove sfide, tra produzioni cinematografiche di ampio respiro e fiction che raccontano le gesta delle eccellenze della nostra nazione, Alessio Boni torna al suo primo amore. A quella bellissima, fantastica follia che è il teatro.

Alessio Boni protagonista di “Iliade. Il gioco degli dei”

Sorprendente nel duplice ruolo di Zeus e di Achille, è protagonista di “Iliade. Il gioco degli dei”. A firmare drammaturgia, testo e regia è il Quadrivio, gruppo formato da Roberto Aldorasi, Francesco Niccolini, Marcello Prayer e dallo stesso Alessio Boni. La produzione, imponente, è a cura di Nuovo Teatro con Fondazione Teatro Donizetti di Bergamo, Fondazione Teatro della Toscana e Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia. Lo spettacolo andrà in scena all’Abc di Catania dal 15 febbraio al 2 marzo 2025.

“Saremo a Catania ma non solo. Gireremo un po’ tutta la Trinacria, una delle regioni che da sempre mi attrae maggiormente. Per il fascino di quella dicotomia che si vive di continuo, esercitando un’attrazione irresistibile con gli scorci suggestivi del Teatro Antico di Taormina, di Ragusa Ibla, Siracusa e della stessa Catania con il suo ‘liotru’. Per non parlare dell’arancino con la ‘o’, o dell’arancina con la ‘a’ come si dice a Palermo”.

La Sicilia ha tutta una sua regola e bisogna entrarci dentro. Altrimenti si viene sputati fuori…
“È cultura millenaria: Selinunte, Segesta, la Valle dei Templi di Agrigento, la casa di Pirandello, la Scala dei Turchi… tutta la costa e l’entroterra che ho girato anche in moto in lungo e in largo, visitando le isole, Favignana, Marettimo, Vulcano e poi l’Etna, maestoso. Accompagnato dalla guardia forestale, sono andato a vedere i suoi crateri e, sporgendomi dentro la bocca, ho sentito i rigurgiti del magma della terra. Un’esperienza che ricorderò per tutta la vita. Tornare in Sicilia è un abbraccio, culturale e naturalistico”.

Una spiaggia su cui spiccano un braciere, un cerchio rosso sul fondale e due aperture dalle quali irrompono gli attori, catapultandoci in una sorta di opera dei pupi. Cosa accade quando si accendono le luci sul palcoscenico?
“Prende vita la nostra rivisitazione dell’Iliade, riletto con la modernità di oggi. Viene indetta una riunione degli dei, nel 2025, perché sono scesi dal piedistallo e hanno perso quel potere di cui godevano un tempo. Allora rivangano il passato, quando erano in auge e si divertivano a giocare con le povere esistenze degli umani, come accadde nella guerra di Troia. Epos che mettiamo in scena con l’ausilio di gigantesche marotte, inventate da Alberto Favretto, poiché indossando gonnellina e sandali avremmo fatto ridere”.

Un’opera che, a distanza di quasi tremila anni, racconta ancora tragicamente la nostra attualità…
“Pensavamo di esserci affrancati da quei trogloditi feroci di allora, ma non è cambiato niente. Perché anche oggi ci sono oligarchi potenti che, sentendosi degli dei, tramano, fanno partire soldati e li fanno ammazzare tra di loro. Ucraina, Palestina, Sudan, è l’eterno uguale che ritorna. E ancora i misfatti della cronaca nera, i femminicidi…”.

Qual è il messaggio da lanciare?
“Che non sia una pace politica e di interessi ma veritiera e profondamente umana. Pace che, purtroppo, non è spesso quella desiderata, quanto invece un fatto di mere coincidenze economiche che si devono verificare. Altrimenti scoppia la guerra. Oggi come allora”.

Un caposaldo della letteratura occidentale, che non è solo il poema della forza del fragore delle armi. In quel mondo arcaico dominato dal fato ineluttabile e da dei capricciosi non è difficile riconoscere il nostro: l’Iliade è lo specchio di noi stessi…
“Tutta questa ferocia che viene fuori, quando ci si ammazza per il parcheggio di un motorino o per delle scarpe sporche, è solo sedata dalla comodità delle nostre vite. Per la maggior parte degli occidentali sei la professione che eserciti. E, se il tuo lavoro ti fa conquistare più soldi, diventi una persona arrivata e di potere. Ma il vero progresso credo sia piuttosto crescere in umanità. Solo così potremo finalmente tornare ad essere ricchi di valori interiori”.

Lei, in quello specchio, cosa vede riflesso?
“Un’infinità di possibilità un po’ fragili e rese sole. Perché, chi parla di umanità, viene sbeffeggiato; chi parla di poesia, ridicolizzato. Non si tratta di patetismo né di buonismo che detesto. Avverto sempre più forte l’urgenza di riuscire a far capire l’importanza dell’essere umano”.

Se è vero che Tiziano Terzani diceva che l’uomo felice è chi si accontenta, che cosa sogna per Lorenzo, Riccardo e l’ultimo arrivato Francesco che rappresentano il futuro?
“Spero di poter insegnare loro, assieme a Nina (Verdelli, la moglie, ndr), la verità e la sincerità della libertà interiore. Non voglio che i miei figli abbiano la percezione perenne di quella spada di Damocle che pende per un raggiungimento economico o di potere, castrando di fatto qualsiasi fantasia, hobby e passione. Mi auguro che, in futuro, riescano a godere di quel ‘lusso’ che li rende felici, come mangiare un panino al prosciutto crudo seduti su uno scoglio”.