Giampilieri, Scaletta, Altolia, Molino e Briga: il ricordo della tragedia del 2009 e la situazione dopo 14 anni.
Giampilieri, Scaletta, Altolia, Molino e Briga: sono trascorsi 14 anni dal primo ottobre del 2009, il giorno in cui la tragica alluvione di Messina ha riscritto vita, futuro e speranze dell’estrema periferia sud della città. Trentasei le vite spazzate via da detriti, acqua e fango che dai costoni rocciosi hanno trascinato via tutto. Due i corpi mai ritrovati. Poi il silenzio: ciò che oggi è rimasto a queste latitudini.
Quel che resta dei due villaggi che hanno maggiormente contribuito in termini di vittime lo raccontano i volti dei loro abitanti. E le parole dei sindaci di Scaletta e Messina, che tentano di porsi come argini a una emorragia demografica in atto e dai contorni che paiono inarrestabili. Circa 550 gli abitanti che dal 2009 a oggi hanno lasciato Scaletta (1870 abitanti); poco meno di 500 quelli che nello stesso arco temporale sono andati via da Giampilieri (1300 abitanti). Eppure gli investimenti pensati per quest’area, nelle intenzioni della politica, prevedevano qualcosa di diverso.
L’alluvione di Messina del 2009: “Giampilieri si sta spopolando”, la situazione
“Le opere ingegneristiche realizzate a monte e a valle dell’abitato, per complessivi 60 milioni di euro, garantiscono la sicurezza – spiega il sindaco di Messina, Federico Basile. È vero che Giampilieri si sta spopolando, ma stiamo provando a intervenire”. Alcune delle abitazioni presenti nell’area devastata dall’alluvione sono state acquisite da Arisme grazie alla legge “Risana Messina” per essere inserite nel programma di sbaraccamento che sta coinvolgendo i tremila messinesi che ancora vivono nel degrado.
“Ma di fronte alla possibilità di una casa qui, nell’estrema periferia sud della città, chi vive nelle baracche in zone centrali preferisce restare a vivere nelle baracche – spiega il primo cittadino -. Vorremmo utilizzare fondi comunitari per concedere sgravi fiscali a chi sceglie di tornare a vivere qui, ad Altolia o Molino. Bisogna far comprendere l’importanza di questi luoghi a livello culturale”.
Giampilieri ha potuto contare su comitati e associazioni che hanno incentivato i più giovani a restare; Scaletta vorrebbe seguire l’esempio, come racconta il sindaco Gianfranco Moschella. “Ripartire dai giovani, in un comune che si sta spopolando, è essenziale. Svolgiamo iniziative di sensibilizzazione del territorio nelle scuole e, con le associazioni, in luoghi storici da valorizzare come il Castello Ruffo”.
Dodici i milioni di euro spesi per i torrenti di Scaletta, sessanta quelli per gli alvei e i costoni rocciosi di Giampilieri e dei villaggi collinari. Se il tempo passa, la paura però resta. “Ogni volta che piove, il primo pensiero è alla montagna: solo chi lo ha vissuto può comprenderlo”, racconta Mirela, lavoratrice della zona. Quel che resta nelle strade in riva al mare o a ridosso delle montagne, proviamo a raccontarlo.
Il “torrente killer” di Scaletta, il ricordo della tragedia
Una statua di Giovanni Paolo II posta sull’argine del torrente Racinazzi – quello che in paese è stato ribattezzato “il torrente killer” – ci dà il benvenuto arrivando da Messina. Qui sono morte 16 persone; un’altra non è mai stata ritrovata. Dove un tempo c’erano case singole e condomini, oggi ci sono palazzine di nuova costruzione: tra queste, anche l’auditorium comunale. Sul muro dell’argine, le mani colorate dei bambini per stigmatizzare un luogo tragico. “Qui sorgerà presto un parchetto con tanto verde, i lavori sono appena cominciati”, dice il sindaco.
Di pescatori che un tempo rendevano noto questo villaggio, non è rimasto quasi più nessuno. Le attività commerciali hanno chiuso. E chi nasce qui, appena può scappa. “Per oltre due anni e mezzo dopo l’alluvione, da Scaletta non passavano più neppure i mezzi pubblici: l’isolamento non ha aiutato a ripopolare e investire nel paese”.
Nei pressi del letto del torrente, che è stato completamente ricostruito e messo in sicurezza, sono ancora visibili le fondamenta di una delle palazzine travolte il giorno dell’alluvione in provincia di Messina del 2009. Qui la paura è tornata a ripresentarsi il 13 novembre del 2021: “Sono scesi a valle due metri di fango a causa di un cedimento strutturale del costone e gli abitanti sono tornati a vivere un incubo. Perché, anche se non siamo più il territorio impreparato del 2007, il rischio zero qui non esiste”, spiega Moschella.
L’1 ottobre 2009 ricordato a Giampilieri: “La paura ancora c’è”
La scuola “Simone Neri” e la via 1 ottobre sono solo due immagini simboliche utili a rievocare ciò che è stato e che qui ha letteralmente sventrato il cuore del paese. L’eroe di quella giornata è rimasto parte integrante della memoria collettiva e di quelle future: si è scelto di tramandarlo non a caso attraverso l’istituto della zona. Un cane osserva sornione dall’altra parte del torrente, lì dove gli argini sono stati ripristinati e qualcuno è rimasto a vivere nelle casette diroccate sotto la montagna verso la strada che conduce ad Altolia e Molino.
Una scritta ormai sbiadita su un palazzo ricorda la presenza di un cinema vissuto di certo negli anni migliori del secolo scorso. Nella piazzetta a valle, sprazzi di vita. C’è chi si reca al tabacchino, chi al bar e chi in farmacia. Chi sorseggia una birra e gli anziani che chiacchierano e giocano a tresette. Ma quello che un tempo era un paese ricco di agrumeti e dalla florida economica, non esiste più.
Via Puntale, dove hanno perso la vita 16 persone, oggi porta il nome di quella triste data. Nella zona del centro storico l’ultimo baluardo è rappresentato da don Andrea Di Paola, un uomo minuto dalle spalle larghe: dopo Bosnia, Kosovo e Afghanistan, non a caso è stato mandato a Giampilieri. Per la messa delle 18 ci sono una decina di persone, lui confida “in un futuro migliore per questo paese”.
“La paura c’è, è inutile prenderci in giro. Abitavamo nella zona del centro storico, dove oggi sono rimasti solo i gatti e qualche anziano. Ogni volta che piove forte, anche se i lavori hanno messo in sicurezza tutto, è innegabile che il trauma sia rimasto e che venga sempre rievocato”, racconta Michela Barnà.
Tra le case ormai abbandonate continua a farsi strada il Comitato “Salviamo Giampilieri”. Giovanni Fileti, vera memoria storica della zona e Cicerone della nostra visita, ha passato il timone ai ragazzi dell’associazione “Giampilieri 2.0”, che di idee ne hanno parecchie. Così come Antonino Bonfiglio, che nonostante abbia perso la propria casa oggi sostituita dal canale di scolo di via 1 ottobre, ha scelto di investire nella zona restando l’ultima azienda vitivinicola di Giampilieri.
Per Donatella Manganaro, membro dell’associazione, un’incompiuta è rimasta: “Il centro polifunzionale che sarebbe servito ad aggregare giovani e anziani. I soldi ci sono, ma non sono mai stati spesi. Ogni estate organizziamo notti bianche alle quali hanno partecipato oltre 4.000 persone, invitiamo artisti internazionali. Non vogliamo arrenderci alla paura”.