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L’analisi del concetto di “tossicità finanziaria” in un Servizio sanitario in stato di “degenza”

L’analisi del concetto di “tossicità finanziaria” in un Servizio sanitario in stato di “degenza”
sanità chirurgia

Le conseguenze economiche che la malattia oncologica e i trattamenti da essa derivanti determinano sul paziente. Le notevoli differenze tra le varie regioni italiane producono una grave disparità tra i cittadini

Negli ultimi anni si è fatto ricorso al concetto di “tossicità finanziaria” per definire le conseguenze economiche che la malattia oncologica e i trattamenti da essa derivanti determinano sul paziente, sia in termini oggettivi che soggettivi. Il concetto, in realtà, si potrebbe allargare ai pazienti di tutte le malattie gravi e croniche al fine di valutare il grado di “tossicità finanziaria” e l’incidenza economica delle cure sul loro reddito. Una “tossicità” finanziaria che si unisce alle altre tossicità conseguenti alla malattia e ai trattamenti. L’alto costo dei farmaci antitumorali e delle indagini diagnostiche, infatti, comporta un onere finanziario non solo per il sistema sanitario ma anche per i pazienti e le loro famiglie. E, data la ristrettezza del finanziamento destinato ai sistemi sanitari, è cresciuta la richiesta di compartecipazione alla spesa da parte dei pazienti, che devono attingere non solo alle finanze personali ma anche a quelle dei loro familiari.

Gli alti costi delle cure oncologiche

I pazienti oncologici e i soggetti fragili, per ovvi motivi, sono quelli più sottoposti alla “tossicità finanziaria” a causa sia degli alti costi delle cure (come farmaci, visite mediche, esami diagnostici, riabilitazione fisica e psicologica), ma anche per i costi accessori come viaggi, parcheggio, alloggio e le spese derivanti dalle ricadute sociali della patologia, come assistenza domiciliare, assistenza all’infanzia, perdita del lavoro e delle ore lavorative. Spesso, anche i familiari del paziente oncologico si ritrovano costretti, a causa della malattia, a dover lasciare l’attività lavorativa o ridurre le ore, con conseguente riduzione del salario. Tutto questo ha una ricaduta sulla qualità della vita laddove i pazienti sono obbligati a ridurre le spese dedicate al tempo libero come benessere, sport, viaggi e cultura.

Per i pazienti una spesa annua di circa 5 miliardi di euro

Comprovate indagini statistiche dimostrano che negli Stati Uniti, che non hanno un sistema sanitario pubblico universalistico, le persone con diagnosi di cancro hanno una probabilità di quasi tre volte maggiore di dichiarare bancarotta; i pazienti oncologici guariti, in particolare, hanno riferito di spendere più del 20% del loro reddito annuo in cure mediche. In Italia un recente sondaggio, condotto sui malati oncologici, ha rilevato che questi sono costretti a sopperire a una serie di esigenze mediche e assistenziali non completamente coperte dal Sistema sanitario nazionale. In particolare, è stata stimata una spesa complessiva annua sostenuta direttamente dai malati di circa 5 miliardi di euro: 2 miliardi e 635 milioni per spese mediche, 2 miliardi e 365 milioni per altre voci. Anche in un Sistema sanitario pubblico come il nostro, diverso dal sistema statunitensi, i pazienti spesso si trovano ad affrontare delle spese aggiuntive direttamente legate alla malattia e alla sua gestione.

L’età può influenzare la “tossicità finanziaria”

I pazienti che hanno un rischio maggiore di “tossicità finanziaria” sono quelli con una malattia in stadio avanzato, con associate altre malattie croniche (cardiaca o diabetica) e quelli che vengono sottoposti a trattamenti più invasivi come chemioterapia e radioterapia; malattie più avanzate e trattamenti più aggressivi, infatti, possono limitare la capacità di lavorare con conseguente riduzione del salario. Anche l’età al momento della diagnosi può influenzare la “tossicità finanziaria”, poiché i pazienti più giovani in genere hanno meno risparmi, devono crescere figli piccoli, hanno lavori precari e corrono un maggior rischio di riduzione dello stipendio. Quali sono le conseguenze per chi soffre di questa tossicità? Non si tratta soltanto di un problema riguardante la sfera economica, ma con ripercussioni anche su altri ambiti molto importanti ai fini della cura e della guarigione dalla malattia tumorale. Diversi studi, anche in Italia, hanno dimostrato che la “tossicità finanziaria” determina una peggiore qualità della vita, più disagio fisico, emotivo, sociale e familiare, maggiore percezione di dolore e ripercussioni notevoli anche sull’aderenza alle terapie e di conseguenza sulla sopravvivenza dei pazienti sottoposti a trattamenti oncologici.

La “tossicità finanziaria” colpisce il 26% delle persone con neoplasia

Per rilevare la presenza di questa “tossicità finanziaria” sono stati validati dei questionari che, attraverso la risposta soggettiva del paziente a specifiche domande espressa in scale numeriche, determina un punteggio complessivo che rivela la presenza o meno di “tossicità finanziaria” e anche la sua gravità. Dai risultati delle indagini emerge che essa colpisce il 26% delle persone con neoplasia ed è legata a diversi fattori, tra cui i costi che i malati devono sostenere per recarsi nei luoghi di cura. Il ricorso alla sanità privata, le spese per farmaci supplementari, integratori o trattamenti aggiuntivi e i costi per raggiungere i centri specialistici impoveriscono i cittadini. Basti pensare che, nel 2022, in Italia quasi 28 mila pazienti oncologici hanno cambiato regione per curarsi, in particolare per un intervento chirurgico.

“La ‘tossicità finanziaria’ – ha spiegato Francesco Perrone, presidente Aiom (Associazione italiana di oncologia medica) – interessa anche i pazienti di sistemi sanitari universalistici come il nostro”. È stato già dimostrato, attraverso uno studio su 3.760 cittadini con tumore, che al momento della diagnosi il 26% deve affrontare problemi di natura economica e il 22,5% peggiora questa condizione di disagio durante il trattamento. Questi ultimi, inoltre, hanno un rischio di morte nei mesi e anni successivi del 20% più alto.

“Alcune uscite – ha aggiunto Perrone – riguardano il ricorso più o meno frequente alla sanità privata. Altre toccano farmaci supplementari o integratori, oppure trattamenti aggiuntivi utili, ad esempio la fisioterapia che è difficile praticare nel sistema pubblico. Poi c’è la logistica: la distanza tra la casa e il luogo dove si ricevono le cure e le spese di trasporto da sostenere. E questo non solo nei casi estremi di migrazione sanitaria da Sud a Nord. I problemi possono nascere per raggiungere dalla provincia i centri specialistici nelle grandi città”.

Il boom dei malati indebitati

Un’analisi di Facile.it evidenzia che “il boom dei malati indebitati è un’emergenza perché ormai sempre più persone richiedono un prestito per garantire cure mediche, per rivolgersi al privato e per aggirare i tempi delle liste d’attesa per i servizi offerti dal sistema sanitario nazionale. Il valore dei prestiti per le visite supera il miliardo di euro ed il dato è destinato ad aumentare”.

“Superare le disuguaglianze nel diritto alla cura del cancro – ha sottolineato Adriana Bonifacino, presidente della Fondazione IncontraDonna – è di fondamentale importanza. Il miglior percorso di diagnosi e cura non può essere relazionabile alla regione, alla città, al territorio di appartenenza. L’offerta dei centri di eccellenza per la cura del cancro e l’innovazione farmacologica non devono trovare ostacoli. I diritti esigibili e l’equità all’accesso alle cure migliori devono essere garantiti, senza discriminazione alcuna”.

Anche Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, pur non occupandosi specificamente di “tossicità finanziaria”, sostiene che la grave crisi del Servizio sanitario nazionale (Ssn) condiziona negativamente la vita quotidiana delle persone, in particolare delle fasce socio-economiche più deboli: interminabili tempi di attesa per una prestazione sanitaria o una visita specialistica, necessità di ricorrere alla spesa privata sino all’impoverimento delle famiglie e alla rinuncia alle cure, pronto soccorso affollatissimi, diseguaglianze regionali e locali sino alla migrazione sanitaria.

Le carenze della sanità siciliana

Per quanto riguarda le diseguaglianze regionali, l’Istat ha rilevato nel 2022 che l’aspettativa di vita di un siciliano è di 2,8 anni in meno rispetto a un residente della provincia autonoma di Trento. Secondo i dati del ministero della Salute, a fronte di una media Ocse di 9,9 infermieri ogni mille abitanti, la Sicilia ne ha appena 3,7. La carenza di personale per la sanità siciliana ha inoltre raggiunto un deficit di 1.500 medici. In questo scenario, fatto di liste d’attesa anche di un anno per un esame specialistico, di aspettative di vita ridotte e di cittadini che rinunciano alle cure mediche per quella salute il cui diritto è sancito dalla Costituzione, si innesta la questione dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) e dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) che dovrebbero regolamentare l’autonomia che verrebbe concessa alle regioni che ne faranno richiesta. Ma anche qui, stando alle audizioni rese dagli esperti in Commissione Affari costituzionali e alle testimonianze raccolte dal Quotidiano di Sicilia, la situazione è poco chiara e ancor meno rassicurante.

Serve una riforma radicale del Sistema sanitario

Ernesto Melluso, portavoce del Forum sanità pubblica Palermo, ha sottolineato che “per una scintigrafia miocardica ad Agrigento esiste un anno di attesa. Serve una riforma radicale del Sistema sanitario. Così come è stato concepito finora, non può andare avanti anche se rifinanziato, perché è come mettere acqua in un recipiente sfondato… e se si non chiude il buco del recipiente è inutile mettere acqua”.

A Ragusa, a fine ottobre 2024, è stata sospesa la chemioterapia per carenza del personale nella farmacia dell’ospedale. Un altro caso eclatante in Sicilia è l’Asp di Trapani, che con i suoi ritardi sugli esami istologici, oltre 3.000, ha messo a rischio la salute dei cittadini del suo territorio. Centinaia di pazienti rimasti per mesi nell’incertezza e che solo dopo l’intervento del ministero della Salute sono venuti a conoscenza con grande ritardo di 206 patologie tumorali. La vicenda è venuta alla ribalta non per iniziative interne, o per le proteste sindacali, ma per la denuncia sui giornali di alcuni cittadini, che sono dovuti emigrare per avere le cure previste nei Lea nazionali. In Sicilia esiste un saldo negativo di 174 milioni di euro l’anno per la migrazione sanitaria, a fronte di un saldo lordo di 250 milioni. “L’Isola – ha affermato Cartabellotta – volendo usare un gioco di parole, ha un Servizio sanitario in degenza e sotto stretta osservazione. La sanità regionale è in piano di rientro e non riesce a staccarsi dalla soglia minima dei livelli Lea”.


Pina Travagliante
Professore ordinario di Storia del pensiero economico presso l’Università degli Studi di Catania