L’Italia retrocede continuamente sia come Paese che in relazione all’andamento degli altri Paesi, soprattutto quelli europei.
è sempre sotto media europea per Pil, occupazione, tasso infrastrutturale, sanità, ambiente, energia e via enumerando. Quanto precede è frutto della scadente qualità del ceto politico e di quello burocratico, ma anche dell’indifferenza di tutta la classe dirigente della società civile, occupata e preoccupata di farsi i propri affari e per niente disponibile a muoversi per fare le opportune pressioni sulle istituzioni, affinché si mettano a funzionare.
In un Paese ove mancano i valori fondanti di una comunità e cioè merito, responsabilità e capacità di produrre valore, le cose non possono andar bene. Per cui vediamo con grande disappunto e preoccupazione il continuo retrocedere sui versanti economico e sociale, nonché sulla diffusione a macchia d’olio dell’ignoranza, che è un tarlo terribile corrosivo della mente delle persone, non capaci di diventare autonome.
Un popolo d’ignoranti non esprime vera Democrazia, perché con il proprio voto fa eleggere non i migliori rappresentanti, ma tutti quelli che riescono a imbrogliare, ad abbagliare, ad affascinare con illusioni. Insomma, imbroglioni.
Causa di questa ignoranza è il continuo diminuito valore della famiglie – ove i genitori non hanno la voglia di educare i propri figli in base ai sani principi morali – e delle scuole – in cui sono approdati soggetti senza selezione e senza la dovuta preparazione pedagogica e culturale, indispensabile per diventare maestri di vita, capaci di far crescere gli allievi in modo equilibrato.
Solo in un Paese ove si esalta il merito e la capacità di ogni cittadino è possibile lo sviluppo, la crescita e la conseguente occupazione. Dare assegni di sussistenza a tutti, sol perché non hanno un lavoro (e non ce l’hanno perché non hanno le competenze) è un modo diseducativo che appiattisce le aspirazioni di ogni cittadino.
La questione è chiara e soltanto chi non vuole non la vede. Purtroppo è la maggioranza dei cittadini che non vuole vederla, perché avere merito comporta il sacrificio, la rinuncia ai giochi e agli svaghi, l’impegno diuturno, la capacità di sudare senza lamentarsi, sapendo che il proprio obiettivo è quello di essere funzionale.
Nel nostro Paese vi sono tantissimi giovani e meno giovani brillanti, capaci e competitivi. Ne troviamo ai vertici di moltissime aziende in tutto il mondo. Per contro, però, ve n’è una moltitudine, forse la maggioranza, che pensa in maniera opposta: non far nulla ma la sussitenza deve arrivare da qualcuno, lo Stato o la famiglia. Una mentalità perdente, dannosa sia sul piano sociale che su quello individuale.
Questa mentalità ha anche un’altra causa e cioè il cattivo esempio che fornisce la Pubblica amministrazione, e in genere il settore pubblico, ove lavorano (si fa per dire) 4 milioni di italiane e italiani.
All’interno della burocrazia non vi sono regole vere, istituite in base al merito, ma regolamenti amministrativi del tutto formali che non stabiliscono gli obiettivi e che, soprattutto non determinano un sistema premio-sanzionatorio per il raggiungimento o meno degli stessi.
Invece, la Pubblica amministrazione dovrebbe produrre valore, non tanto in termini economici, bensì esprimendo qualità nella produzione dei servizi, che si misura attraverso la produttività: di questo ne parlava Adam Smith, nel 1776.
Produrre valore dei servizi pubblici costituirebbe una forte accelerazione di tutta l’economia, perché il settore privato oggi trova remore e ostacoli per ottenere provvedimenti amministrativi, mentre dovrebbe trovare corsie veloci, senza il bisogno di chiedere il favore o, peggio, di pagare la mazzetta, per ottenere dal funzionario di turno quanto ha diritto ad avere.
Il settore privato tira la carretta perché il suo è un lavoro produttivo, che consente il prelievo dell’insieme di imposte e tasse necessarie per fare funzionare lo Stato e le istituzioni di più basso livello.
La spesa complessiva è di circa 800 miliardi, di cui 65 miliardi per l’interesse sull’enorme debito pubblico, approdato a 2.386,2 miliardi (giugno 2019), ma proiettato verso i 2.410 miliardi, pari al 134% del Pil.
Ci sarà un cambio di direzione con il nuovo Governo? Attendiamo.
