Andrea Scanzi in Sicilia per raccontare Franco Battiato: l'intervista

Andrea Scanzi racconta il Maestro Franco Battiato nella sua terra con uno spettacolo teatrale: l’intervista

Andrea Scanzi racconta il Maestro Franco Battiato nella sua terra con uno spettacolo teatrale: l’intervista

Sandy Sciuto  |
giovedì 27 Luglio 2023

È un’estate impegnata per Andrea Scanzi che sta attraversando in lungo e in largo l’Italia con lo spettacolo “E ti vengo a cercare - Voli imprevedibili ed ascese velocissime di Franco Battiato"

È un’estate impegnata per Andrea Scanzi che sta attraversando in lungo e in largo l’Italia con lo spettacolo “E ti vengo a cercare – Voli imprevedibili ed ascese velocissime di Franco Battiato” che si basa sul libro omonimo pubblicato da PaperFIRST nel 2022.

L’unica data siciliana dello spettacolo sarà il 1° agosto presso l’Anfiteatro Falcone Borsellino di Zafferana Etnea. Scanzi ripercorre la carriera di Battiato seguendo ogni snodo, picco e azzardo di uno dei più grandi maestri della musica italiana scomparso nel 2021. Accanto a lui, a cantare e suonare sul palco, Gianluca Di Febo, già leader delle band Terza Corsia e Floyd On The Wing.

Per il giornalista, scrittore e autore teatrale il libro e lo spettacolo sono un atto d’amore per il Maestro Franco Battiato come si evince ad ogni risposta di questa intervista.

L’intervista

Il 1° agosto sarà all’Anfiteatro Falcone – Borsellino di Zafferana Etnea. È l’unica data siciliana del tour. Sarà nei luoghi di Battiato e alle pendici dell’Etna. Ci sono emozioni e sensazioni diverse per questo spettacolo?

“Sicuramente sarà una data particolare. Quando due anni fa ho cominciato a fare il tour “E ti vengo a cercare” dedicato a Franco Battiato, speravo almeno una volta di portarlo nei suoi luoghi. Due anni fa mi è capitato di visitare casa sua a Praino di Milo e anche la cappella mortuaria. Sono andato a salutarlo grazie all’autorizzazione della famiglia e degli amici con la mia compagna. È stato molto commovente. La sua scomparsa era avvenuta 4 – 5 mesi prima. Ero lì perché la sera avrei fatto il mio spettacolo su Gaber. Mi son detto: “Speriamo di poter tornare qua però con lo spettacolo dedicato a Battiato”. Più o meno due anni dopo è successo, quindi sono molto contento come anche il mio collega e musicista Gianluca Di Febo”.

Il titolo dello spettacolo è il connubio di frasi di due canzoni diverse ossia “E ti vengo a cercare” e “Gli uccelli”. Perché da un repertorio così vasto ha scelto proprio questi due brani?

“‘E ti vengo a cercare’ perché è una delle canzoni più belle del mondo, non solo di Battiato, ma del mondo. E poi perché è un po’ quello che io e ancora tutti i fan stiamo facendo dal momento in cui se n’è andato Battiato ossia lo andiamo a cercare perché ci manca, perché è stato un gigante e perché andiamo a cercare qualcuno che ha avuto cura di noi, è stato molto affettuoso con noi e ci ha riempito la vita. Per quanto riguarda la citazione de “Gli uccelli”, l’ho scelta perché è una frase molto bella che rende molto bene la capacità di scrittura di Battiato. E poi perché credo sia uno dei testi più belli in assoluto che abbia scritto Battiato. Oltre ad essere una bellissima canzone, ha proprio un testo straordinario. Mi arrabbio abbastanza quando sento dire che Battiato è stato un grande musicista, ma un autore di testi normali. Non è vero: è stato un grandissimo musicista e un grandissimo autore di testi. Questo qui, tra i tanti che potevo scegliere, lo dimostra”.

Nel libro omonimo su cui si basa lo spettacolo, esordisce dicendo che pensa spesso a Franco Battiato. Perché? E cosa pensa?

“Perché a me mancano molto gli intellettuali e gli artisti in questi tempi storici difficili. Mi domando spesso cosa direbbero oggi De Andrè e Gaber e quindi mi domando che cosa direbbe Battiato. Il “penso spesso” di Battiato, però, non è legato soltanto a cosa direbbe oggi, ma al dispiacere che provo nel non averlo conosciuto, a come sarebbe stato bello stringergli la mano. Sono stato stupido a non conoscerlo perché c’era stata l’occasione, ma mi ero messo in testa di non piacergli. Invece, poi ho scoperto che lui era un grande amico di Marco Travaglio, che leggeva Il Fatto Quotidiano e che gli piacevo molto e questo me l’ha detto suo fratello in alcune mail, ma l’ho saputo dopo. È un grande rimpianto non averlo abbracciato, almeno una volta”.

L’interesse e l’amore per Battiato ha influito sul rapporto che lei ha con la Sicilia?

“Sì, la zona di Catania e l’Etna le conoscevo da turista. Ho approfondito quella parte di Sicilia per motivi enologici. Tra le mille cose che sono e faccio, sono anche un sommelier. Sono innamorato dei vini e mi è capitato spesso di andare a visitare le cantine del nerello mascalese o di persone famose. La conoscenza artistica di Franco Battiato mi ha permesso di avere una motivazione in più per scoprire quella parte di Sicilia. Fosse per me ci verrei più spesso a livello lavorativo. Mi capita spesso sui social di ricevere mille commenti del perché non vieni mai in Sicilia. Non è una scelta. La motivazione è che un artista o un giornalista va dove lo chiamano. Evidentemente, gli organizzatori e produttori siciliani, con tutto rispetto non è una critica, preferiscono chiamare altri. Fosse per me ci farei una tournée anche di otto/dieci date. Ci devo venire “solo in vacanza” va benissimo così, però mi piacerebbe anche portare le mie opere. Per questo sono molto contento che il 1° agosto potrò raccontare Battiato a Zafferana Etnea”.

Ad oggi proprio la zona Ionico–Etnea sta attraversando parecchie difficoltà. Cosa direbbe Battiato di questa terra?

“Ne soffrirebbe molto. Direbbe che quelle terre meritano persone migliori intese come politici e amministrazioni migliori e un’attenzione migliore forse anche da parte di chi la vive. Ricordo l’esperienza che fece Battiato a cavallo tra gli anni Zero e gli anni Dieci quando addirittura lui, che non c’entrava niente con la politica, provò a fare a titolo gratuito l’Assessore alla cultura per la Giunta Crocetta. Non durò: era troppo alto per la politica. Io non ho una grande stima della politica e quindi capisco benissimo come Battiato non sia potuto durare. All’epoca fece un’intervista in cui disse delle parole che non piacquero ai parlamentari italiani, ma era ovvio che era troppo intelligente, troppo colto, troppo alto per fare il politico. Credo anche che l’artista si sia sempre indignato e abbia sempre dimostrato tutto il suo amore per la sua terra. Quindi oggi, come tante altre volte in passato, soffrirebbe e dimostrerebbe quanto è attaccata alla sua terra e magari scriverebbe un’altra canzone come ‘Povera Patria’ che trasuda amore, amarezza, ferite e lacrime anche secondo me soprattutto nei confronti della Sicilia perché ci sono delle strofe in cui è evidente che sta parlando di certe mattanze, di certe ferite che viveva la Sicilia dell’inizio degli anni ’90”.

Il sottotitolo dello spettacolo è “Voli imprevedibili ed ascese velocissime di Franco Battiato”. Qual è stato, secondo lei, il momento più alto della carriera di Battiato secondo Battiato?

“Battiato risponderebbe che i voli più imprevedibili che ha fatto nella sua vita sono stati quelli degli anni ‘70 perché fece letteralmente la musica che gli pareva fregandosene delle classifiche e dei generi. Fece dischi che erano piaciuti a John Cage e a Frank Zappa e quindi lui era particolarmente orgoglioso degli anni ’70”.
“Se invece la domanda la si fa magari a chi ha scritto il libro e lo spettacolo ti posso dire che lui è stato letteralmente perfetto dal ’78, ossia da quando fa le musiche per ‘Polli d’allevamento’ a Gaber fino al ‘94, cioè quando termina il rapporto con Giusto Pio. In quei sedici anni, secondo me, Franco Battiato ha dato una delle più grandi dimostrazioni di talento che abbiamo mai avuto in questo paese. Non ha mai sbagliato un disco, ha fatto delle canzoni incredibili e la sua collaborazione con Giusto Pio è stata straordinaria. Non vuol dire che prima e dopo non abbia fatto canzoni bellissime. Con Sgalambro ha scritto ‘La cura’ e basta e avanza, però il Battiato ’78 – ‘94, secondo me, è il più grande di tutti”.

Oltre al libro su Battiato, ha scritto anche un libro su Giorgio Gaber e di recente su Lucio Battisti. È un modo per dire che oggi non ci sono più i cantautori di una volta?

“Detta così è un po’ brutale, ma c’è della verità. Mi rendo conto che a rispondere così qualcuno mi darà del boomer, ma io non dirò mai che non esiste più la bella musica perché non è vero. C’è ancora della bella musica anche in Italia, però oggettivamente se penso ai grandi cantautori meritevoli di libro, faccio fatica a trovarne qualcuno che abbia meno di cinquant’anni. Brutto da dire ma è così. Anche adesso, come a dei grandi cantautori penso a Niccolò Fabi, Daniele Silvestri, Samuele Bersani, Max Gazzè o Vinicio Capossela. Sono tutte persone che vanno dai cinquanta ai sessant’anni. Sotto i cinquant’anni, c’è qualche bravo cantautore come Mannarino, per esempio, o Setak e Brunori Sas. Sarò io sbagliato, però, quando scrivo un libro, devo avere una stima assoluta di quell’artista e francamente un libro su Calcutta o su Mannarino non lo farei. Se dovessi fare un libro sui grandi cantautori, potrei farne almeno altri quindici”.

Il libro su cui si basa lo spettacolo è un atto d’amore. Lo si percepisce leggendolo nel modo in cui si mette in relazione con lui, raccontandolo. Uno dei suoi più grandi rimpianti è stato non averlo conosciuto. Ha ricevuto però dei feedback dai parenti o da chi gli era vicino sul libro e sullo spettacolo?

“Ho conosciuto il fratello via mail e telefono. Anche quando ho visitato la cappella mortuaria di famiglia, non c’era lui. Me l’ha fatta aprire da un amico storico della famiglia di Franco. Non hanno avuto modo di vedere lo spettacolo né la famiglia né i suoi amici. Spero ci saranno a Zafferana Etnea dove li ho invitati. Ci sentiamo con una certa regolarità, però non hanno ancora visto lo spettacolo per motivi geografici. C’è stima tra noi e per me è molto importante perché raccontare un grande artista e scoprire dopo averlo raccontato che chi lo ha conosciuto non si rivede nel mio racconto, mi sarebbe dispiaciuto. Non è assolutamente successo, e anzi posso dirti che nel film uscito qualche mese fa al cinema dedicato a Franco Battiato (nda. Il titolo del film è: “Franco Battiato – La voce del padrone”) Stefano Senardi ha scritto quel film ispirandosi al mio libro e mi ha voluto come uno dei narratori”.

Battiato ha avuto sin dagli esordi una forte identità politica, oltre ogni tipo di schieramento e partito. Volendo usare il titolo di una canzone del Maestro, quanto è “Povera” e quanto è “Patria” questa Italia? E cosa ne avrebbe pensato Battiato?

“Credo che Battiato penserebbe di oggi la stessa cosa di quando ha scritto ‘Povera Patria’. È una canzone drammaticamente attuale. Lui scrisse quelle cose pensando a Tangentopoli, a Falcone e Borsellino, che peraltro ancora non erano morti. Battiato sarebbe ancora più duro e scriverebbe una canzone invettiva. Sarebbe ancora più scorato. Era distante da tutti. Tra le ultime apparizioni in tv, quando andò ad Otto e mezzo e Lilli Gruber gli chiese se fosse di sinistra o di destra, lui rispose «Io non sono né di sinistra né di destra, io sono sopra»”.
“Battiato se lo può permettere di essere sopra, io sono molto scorato. Sono uno di quelli che parla di politica perché lo fa per lavoro, lo deve fare ed è anche una fortuna farlo perché ho persone che mi ascoltano, però non lo faccio con nessun trasporto o passione. È una patria molto molto povera allo stato attuale”.

In “Shock in my town” Battiato parla di una società degenerata a causa della tecnologia. Una canzone profetica che anticipa i tempi che stiamo vivendo e l’avvento dei social. Questi ultimi si sono inseriti nella vita quotidiana e hanno un ruolo anche nel mestiere del giornalista. Lei ha una community “amorevole”. Le interazioni con il suo pubblico sono uno stimolo?

“Gli stimoli sono tanti. Nello spettacolo comincio proprio da ‘Shock in my town’, canzone geniale del ‘98 che dice tutto di Battiato. A 53 anni Battiato era rivoluzionario esattamente come a venti”.
“I social hanno contaminato tutto, giornalismo compreso. Bisogna però scendere a patti con la realtà e non far finta che i social non ci siano. Esiste il giornalismo d’inchiesta e la cronaca, ma il giornalismo è diventato anche qualcos’altro. Io sono stato uno dei primi in Italia, tra quelli televisivi, ad intuire che la strada era quella lì. Ci sono stato anche troppo in certe fasi della mia vita. Adesso ci sto meno e faccio sostanzialmente video all’interno dei quali commento la realtà secondo la mia chiave di lettura. Ho una community abbastanza grande e cerco di avere delle idee da loro, degli spunti quando leggo i commenti, cerco di capire dov’è che sbaglio, perché, al netto degli insulti, si può intuire cosa c’è che non va in quel determinato momento storico della tua carriera. Li prendo come dei feedback. Confesso mi fa anche un po’ bene sapere che sono ben voluto. Lo capisco dagli spettacoli, dalle classifiche e dai teatri che sono pieni, ma sapere che qualcuno dice che bello che sei in tv, che hai scritto il libro o meno male che dici le cose che avrei voluto dire io se fossi andato in televisione, ecco quella è la cosa più bella. Non è narcisismo; è il fatto di essere diventato un punto di riferimento per delle persone che altrimenti non avrebbero una voce”.

Scanzi: “Un giornalismo che non brilla”

A proposito di giornalismo, quale periodo sta attraversando?

“Secondo me pessimo perché è un giornalismo che non brilla per onestà intellettuale, per professionalità e per stima dei lettori. Soprattutto è un giornalismo che, secondo me, spesso ha abdicato al suo ruolo di controllore del potere e della Costituzione. Molti colleghi sono diventati dei difensori del potere quando invece dovremmo essere dei cani da guardia affinché la democrazia non stia male. Mi sembra che molto spesso, soprattutto con alcuni governi e con alcune giunte, il giornalismo è il cane da guardia del potere ossia che ti morde se lo attacchi. E questo alla fine lo paghi perché poi il pubblico non ha la tua stima. La nostra è una categoria abbastanza svilita. Non mi sento solo giornalista. Sono anche scrittore e autore teatrale ed è un modo anche per salvarmi”.
“Guarda lo sgomento e il lutto nazionale che è scattato quando è morto Andrea Purgatori. Lo conoscevo, era bravissimo Andrea. C’è stato quel lutto perché il pubblico ha percepito in Andrea Purgatori uno dei pochi giornalisti di cui fidarsi. È bellissimo per Purgatori perché era bravissimo e sapeva fare tante cose, ma è un campanello d’allarme per tutti gli altri. Secondo me la categoria giornalistica sta molto molto male. Sta male da sempre. Faccio il giornalista dal ‘97 e da lì in poi la categoria è peggiorata tanto. Detesto la generalizzazione, però io mi trovo bene con 20% – 25% della categoria giornalistica. Mi sento orgoglioso di essere giornalista se penso al 25% di colleghi come Purgatori, Ranucci, Gabanelli e tanti altri alcuni dei quali fanno parte de Il Fatto. Il livello mi sembra un po’ basso”.

Quale futuro prevede?

“Non sono bravo a prevedere le cose. Non sono ottimista. Se continuiamo a spegnerci lentamente ma inesorabilmente non la vedo bene. Mi sembra che le arti stiano calando sempre di più. Gli intellettuali meritevoli di stima incondizionata ce ne sono pochi. Senza generalizzare, ma le nuove generazioni mi sembra non abbiano tutti questi grandi punti di riferimento. Mi sembra che siamo un po’ stanchi, lobotomizzati e rincoglioniti. Ricordo che nell’ultima intervista a Gaber, gli chiesi che futuro vedeva. Mi rispose: «Vedo un uomo a livello minimo di coscienza, un uomo che non riesce neanche più a indignarsi. Lo vedo proprio stanco quindi la vedo male». Era il 2001. Ventidue anni dopo non siamo cambiati”.

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