Un burocrate di vertice e un affermato imprenditore stretti in un abbraccio corruttivo in cui, come ha sottolineato la giudice Arianna Raffa, è impossibile individuare una parte più forte dell’altra. A legare Maurizio Croce e Giuseppe Capizzi c’è però altro. In momenti diversi, hanno deciso di occuparsi della cosa pubblica nella veste più importante: la politica. I due, che sono i principali indagati dello scandalo corruzione interno alla struttura commissariale per il contrasto del rischio idrogeologico, tra il 2022 e il 2023 sono scesi in campo in occasione delle elezioni comunali a Messina e Maletto.
Scommesse che hanno avuto esiti diversi – perdente quella di Croce nella città dello Stretto, vittorioso Capizzi nel piccolo centro montano – e che in qualche modo si intrecciano alla storia dell’indagine. Entrambe le discese in campo sono avvenute in un periodo in cui la procura di Messina e la guardia di finanza già indagavano. Nel caso di Croce, gli inquirenti ritengono che la campagna elettorale abbia addirittura beneficiato di un finanziamento illecito, per quanto riguarda Capizzi, invece, si può sostenere che l’imprenditore abbia fatto campagna elettorale e sia riuscito a indossare la fascia tricolore in una fase in cui per la procura di Messina era un corruttore reo-confesso.
Nelle oltre duecento pagine di ordinanza, all’interno delle quali si ritrova un compendio di come sia possibile mercificare la funzione di pubblico ufficiale e dove le risorse pubbliche finiscono per l’ennesima volta per soddisfare gli appetiti dei privati, ci sono alcune date che potrebbero passare in secondo piano e che invece rappresentano snodi fondamentali per dare un senso alla storia.
Tra il 29 settembre e il 16 novembre 2022, la procura di Messina notifica l’avviso di garanzia agli indagati e acquisisce le dichiarazioni di Capizzi. L’imprenditore, alla presenza del proprio legale, ammette di avere pagato tangenti nei modi più svariati: dall’acquisto di orologi all’esecuzione di lavori a casa di funzionari e di amici di Croce, dal finanziamento della campagna elettorale all’aiuto economico dato affinché una collaboratrice dello stesso Croce potesse iscriversi a un’università telematica.
“Capizzi – scrive la gip Raffa – ha manifestato e ammesso una particolare spregiudicatezza nella commissione dei plurimi reati contestatigli, che si è plasticamente manifestata nella serialità dei comportamenti assunti e quindi nella sua connaturata propensione a ingraziarsi i favori dei pubblici ufficiali con i quali, di volta in volta, è entrato in contatto, per ottenere una via preferenziale nell’aggiudicazione di appalti o per garantirsi una più agevole gestione degli stessi e così alterando il funzionamento e buon andamento della pubblica amministrazione”.
Un giudizio che poggia sulle conferme raccolte dalla guardia di finanza in merito a quanto raccontato da Capizzi. Gli interrogatori dell’imprenditore risalgono a un anno e quattro mesi fa. Un arco di tempo nel quale la giustizia, con i suo ritmi, ha compiuto i passi necessari ad arrivare prima, nel 2023, alla richiesta di misure cautelari, e poi, soltanto poche settimane fa, all’ordinanza che le dispone; e che invece ha visto protagonista l’imprenditore di una trionfale cavalcata elettorale che lo ha portato a diventare sindaco del proprio paese.
A differenza di quanto deciso per Croce, nei confronti del quale è stato ordinato l’arresto, per Capizzi la gip ha disposto la misura del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione e di esercitare l’attività imprenditoriale. Una misura più morbida, frutto anche del contributo dato all’inchiesta. “Alla luce delle caratteristiche del narrato del Capizzi e alle risultanze complessive dell’indagine questo giudice, in adesione al giudizio già espresso dalla procura, lo ritiene intrinsecamente attendibile”, scrive la gip Raffa, specificando che tra i motivi che hanno portato l’imprenditore a vuotare il sacco c’è stato “l’utilitaristico fine di beneficiare di qualche vantaggio in sede procedimentale”.
All’origine del rapporto corruttivo che avrebbe legato Capizzi a Croce, coinvolgendo in un effetto domino anche l’ex numero uno di Arpa Sicilia Francesco Vazzana – legatissimo a Croce, al punto da essere cointestatario di conti correnti bancari e avere accesso alla stessa cassetta di sicurezza –, e altri funzionari in servizio nella struttura commissariale, ci sarebbero stati alcuni screzi avuti nelle prime fasi dell’appalto vinto dal Consorzio stabile progettisti costruttori per lavori nel torrente Cataratti-Bisconte a Messina.
“Quando iniziamo a fare il cantiere abbiamo trovato interferenze di tutti i tipi”, ha detto Capizzi ai magistrati, facendo riferimento a una serie di problematiche tecniche che impedivano ai lavori di proseguire con speditezza. Rallentamento che però non avrebbe trovato la comprensione di Croce. “Non siete in grado di risolvere i problemi”, sarebbe stata la risposta del commissario.
La situazione tra le due parti sarebbe deflagrata nel momento in cui l’impresa, con l’obiettivo di vedersi riconosciuti maggiori compensi, presentò la contabilità relativa al primo stato di avanzamento dei lavori inserendo quelle che tecnicamente vengono definite “riserve”.
“Capizzi, puoi scrivere tutte le riserve di questo mondo, ma ti pago quando dico io”, avrebbe incalzato Croce al telefono a marzo 2020. Quell’atteggiamento di sfida – a detta dell’imprenditore – avrebbe rappresentato il momento in cui il rapporto avrebbe raggiunto l’apice della tensione. Ma dopo ogni salita, arriva sempre la discesa. “Dottor Croce, quando ci possiamo incontrare? Sono a Scillato, vuole che torno indietro o ci vediamo domattina?”, avrebbe domandato Capizzi. “Domani mattina… alle sette e mezza”, la risposta di Croce.