Un appello per recuperare il sito del Petraro a Melilli - QdS

Un appello per recuperare il sito del Petraro a Melilli

Luigi Solarino

Un appello per recuperare il sito del Petraro a Melilli

martedì 27 Aprile 2021

L’associazione Natura Sicula punta i riflettori sull’area archeologica da anni danneggiata da attività estrattiva e su cui incombe l’ombra delle discariche: “Non tutto è perduto, trasformare il problema in opportunità”

MELILLI (SR) – Il sito del Petraro, posto nei pressi di Villasmundo frazione di Melilli, è una importantissima area archeologica. Vi sono passati studiosi come Houel, Holm, Paolo Orsi, Strazzulla, Shubring, Cavallari, Bernabò Brea, Russo e Voza. Al Petraro si trovano tracce architettoniche e ceramiche del Neolitico (6000 a.C), i resti di un villaggio dell’Età del Bronzo Antico (2300-1450 a.C.). C’è anche la relativa necropoli di tombe a grotticella artificiale appartenente alla cultura di Castelluccio. Ma nonostante ciò il sito archeologico del Petraro non ha mai avuto vita facile. Difatti in passato è stato gravemente danneggiato dall’attività estrattiva, e negli anni più recenti è stato minacciato dal tentativo di trasformare le cave dismesse in discariche.

“Negli ultimi 50 anni il sito ha subito gravi contrazioni (sarebbe meglio dire distruzioni), sia abusivamente che ‘a norma di legge’ – afferma il presidente di Natura Sicula, Fabio Morreale – . Il Distretto minerario di Catania, facente capo al Corpo regionale delle miniere dell’assessorato regionale all’Industria, col parere favorevole della Soprintendenza di Siracusa, ha rilasciato numerose autorizzazioni per consentire l’estrazione della roccia. A queste se ne sono aggiunte altre sorte abusivamente. Le cosiddette ‘pirrere’ per lunghi decenni hanno tagliato la bianca roccia calcarea per ottenere materiale lapideo (ghiaia, blocchi, sabbia, ecc.) da costruzione. Oltre a infliggere profonde ferite al territorio circostante, che si presenta con una serie di innumerevoli voragini, le profonde cave si sono estese fino a invadere la necropoli dell’area archeologica e il villaggio rupestre della Timpa Ddieri”.

“Considerato che il sito preistorico venne scoperto nel 1959 – prosegue Morreale – viene spontaneo pensare che il primo vincolo arrivò poco dopo. Ma non è così. Purtroppo passarono più di 30 anni prima che nascesse la prima norma a tutela del sito. Solo nel 1991 la Regione Siciliana firmò il decreto di vincolo dichiarando l’area di importante interesse archeologico ai sensi della legge 1.6.1939 n. 1089. Peccato però che questo provvedimento arrivò otto anni dopo che la Soprintendenza di Siracusa aveva rilasciato pareri favorevoli ai lavori di estrazione nelle cave contigue al Petraro e alla Timpa ddieri, autorizzazioni date rispettivamente il 3 giugno e il 5 settembre del 1983”.

Nel novembre del 1990 l’area del Petraro è stata dichiarata “ad elevato rischio di crisi ambientale” ai sensi della legge 349/86. In una cava distante appena 500 m dal sito archeologico, per due volte una ditta ha tentato di costruire una discarica di rifiuti industriali; la prima nel 1999 e la seconda nel 2012. Determinante fu la denuncia presentata da Legambiente alla Procura per danno temuto.

Oggi le cave lapidee hanno cessato le loro attività ma nessuna bonifica o rinaturalizzazione è stata avviata per compensare gli ecosistemi distrutti e restituire il godimento alla dimensione pubblica. Non tutto è perduto – conclude Morreale -. È possibile trasformare il problema in opportunità. L’appello è rivolto all’assessorato regionale all’Industria, ai responsabili del Corpo regionale delle miniere e del Distretto minerario di Catania, alla Soprintendenza di Siracusa. Le cave dismesse si possono recuperare attraverso una rinaturalizzazione adeguata e mirata, come è stato fatto a Siracusa per le antiche latomie. L’unico problema da superare è che la rinaturalizzazione bisogna volerla”.

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