Home » Primo piano » Ars, il Parlamento più antico ma il voto resta segreto

Ars, il Parlamento più antico ma il voto resta segreto

Ars, il Parlamento più antico ma il voto resta segreto
Ars

Tra franchi tiratori e manovre affondate, la trasparenza all’Ars è negata. La maggioranza troverà i numeri per cambiare?

Benvenuti nel Parlamento più antico del mondo” sono le prime parole che si leggono appena entrati nel sito ufficiale dell’Assemblea regionale siciliana. Di fatto, l’Ars non è un Consiglio regionale e non condivide con le altre regioni norme e regolamenti. Frutto dello statuto speciale, concesso alla Sicilia ed inserito in Costituzione della Repubblica, che ne ha preservato le prerogative. In Sicilia abbiamo infatti i deputati e non i consiglieri, ed in molti aspetti e privilegi questi sono decisamente più prossimi ai parlamentari delle Camere nazionali che a “semplici” componenti di un Consiglio regionale.

Due peculiarità su tutte riguardano il trattamento salariale equiparato a quello di un senatore ed il privilegio del voto segreto in Parlamento che neanche il Senato può vantare. Anche se, va detto, almeno l’Ars ha avuto la buona creanza di mettere un tetto massimo alle indennità, fissato a 11.100 euro lordi al mese, eleva il deputato regionale siciliano ad un rango superiore sul profilo salariale. Ma in questi giorni il nodo cruciale per l’attività parlamentare – e soprattutto di governo – non è tanto il tema del costo della politica, solitamente più gettonato in campagna elettorale. All’ordine del giorno c’è lo strumento parlamentare del voto segreto che in Sicilia sta mettendo a dura prova la tenuta stessa del governo.

Senza andare troppo a ritroso nel tempo, Sala d’Ercole ha bocciato la riforma delle Province che era parte integrante del programma elettorale condiviso dall’intera coalizione, poi la riforma dei Consorzi di bonifica, varie norme contenute nelle quattro variazioni di bilancio del 2025 incluso l’esperimento sul South working. Si è quindi verificato uno scollamento, sostanziale, tra gli accordi che i partiti di maggioranza hanno sottoscritto e quanto poi veniva messo in atto a Sala d’Ercole appena dall’opposizione veniva chiesto il voto segreto.

Prassi consolidata, tra l’altro, che nel corso della legislatura è andata in scena una cinquantina di volte e quasi tutte con franchi tiratori di maggioranza che impallinavano la norma di turno. L’idea di abolizione del voto segreto era stata paventata nel corso della scorsa legislatura dall’allora presidente Gianfranco Micciché, quando il governo di Nello Musumeci contava ogni giorno il numero di deputati di maggioranza all’Ars. Il tema si ripropone adesso e con urgenza anche se la maggioranza teorica del governo di Renato Schifani dovrebbe avere numeri sufficienti per varare ogni disegno di legge proposto all’Aula.

Su 70 deputati regionali, l’opposizione conta solo 23 esponenti tra il Partito Democratico, il Movimento 5 Stelle ed il singolo voto di Ismaele La Vardera al gruppo Misto. Al netto di assessori e deputati eccezionalmente impegnati, la maggioranza a Sala d’Ercole dovrebbe avere comunque quasi il doppio dei voti. A fine luglio, prima della pausa estiva e, soprattutto, prima dell’affondamento di una parte sostanziale della manovra ter, il presidente dell’Ars Gaetano Galvagno aveva annunciato “una proposta, in atto, con il presidente della Regione, da sottoporre prima alla commissione e poi all’aula, con una idea di modifica del regolamento” per essere “quanto più limpidi possibili” sulle votazioni e che “se non si può eliminare, quantomeno se ne limitasse l’uso” del voto segreto.

Il regolamento del Senato della Repubblica, una delle due aule del Parlamento nazionale a cui l’Ars si richiama nella legge 44/1965 (ancora in vigore), prevede un accesso allo strumento del voto segreto estremamente limitato. Questo può infatti essere richiesto dai senatori per le deliberazioni che incidono sui rapporti civili ed etico-sociali, le deliberazioni che concernono le modificazioni al Regolamento del Senato. Al Senato si vota quindi con scrutinio segreto le votazioni che riguardano persone, le elezioni interne, su temi che attengono alla sfera ed alla sensibilità personale come questioni etiche e sociali, ma “in nessun caso è consentita la votazione a scrutinio segreto allorché il Senato sia chiamato a deliberare sui disegni di legge di approvazione di bilanci e di consuntivi, su disposizioni e relativi emendamenti in materia tributaria o contributiva, nonché su disposizioni di qualunque disegno di legge e relativi emendamenti che comportino aumenti di spesa o diminuzioni di entrate, indichino i mezzi con cui farvi fronte, o comunque approvino appostazioni di bilancio”. Questo recita all’articolo 113 il comma 6 del regolamento di Palazzo Madama.

Una modifica del genere, al regolamento dell’Ars, i deputati siciliani potrebbero apportarla solo se in un clima di assoluta condivisione votando ed approvando il nuovo regolamento a maggioranza assoluta. Circostanza decisamente improbabile con l’attuale clima nel centrodestra siciliano.

La Dc deposita un disegno di legge per stanare i “falsi” alleati

La commissione per il Regolamento, che dovrebbe varare una eventuale proposta di modifica all’accesso del voto segreto da proporre a Sala d’Ercole, stando agli attuali equilibri interni alla maggioranza, non avrebbe i voti sufficienti per preparare ciò che verrebbe poi votato, come già annunciato dal Partito Democratico, con un voto segreto ammazza abolizione del voto segreto. Anche il Movimento 5 stelle è contrario a questa discussione adesso prioritaria per la maggioranza, all’interno della quale però non tutti sono favorevoli. Anzi, proprio tra rilevanti gruppi parlamentari del centrodestra ci sono evidenti avversità nei confronti di una eventuale abolizione.

La Caporetto sulla manovra quater, ormai conclamata e così definita anche dal capogruppo di Fratelli d’Italia Giorgio Assenza, ha mostrato come parte del centrodestra abbia ampiamente fatto uso del voto segreto chiesto ed appoggiato dai banchi dell’opposizione per rese dei conti o gravi messaggi all’indirizzo del governo.

Tra i “lealisti” del governo Schifani si qualificano i deputati della Democrazia Cristiana, che sul tema avevano già alzato la voce – con le parole del capogruppo Carmelo Pace – affermando che non è possibile mettere a rischio la legge di stabilità con questo clima e che l’abolizione del voto segreto deve arrivare prima della finanziaria “altrimenti è meglio staccare la spina”.

Una eventualità che non farà piacere a nessuno dei deputati di maggioranza, leali e franchi tiratori inclusi. Rovistando sulla questione tra i corridoi di Palazzo dei Normanni abbiamo appreso di un disegno di legge che proprio il partito di Totò Cuffaro ha depositato all’Ars. Si tratta di due articoli che compongono un testo con il quale la DC pare intenda mettere gli alleati con le spalle al muro. Il sentore dei democristiani è di una evidente mancanza di volontà in parte della maggioranza e che pertanto la commissione per il Regolamento, presieduta dal presidente dell’Ars Gaetano Galvagno, quindi da Fratelli d’Italia, non si riunirà per esaminare alcuna proposta.

Da quanto abbiamo appreso, il disegno di legge del gruppo Dc all’Ars intende introdurre espressamente il voto palese per i lavori parlamentari in cui Sala d’Ercole è chiamata ad esprimersi in tema di bilancio, in materia tributaria o contributiva. La presentazione del ddl democristiano quindi anticipa ed impone la convocazione della commissione presieduta da Galvagno, salvo che parte degli alleati non intendano uscire allo scoperto omettendo di esaminarne il testo. Quindi senza attendere la proposta accennata dal presidente dell’Ars e detta in condivisione con il presidente della Regione.

Il primo firmatario parrebbe essere il capogruppo, Carmelo Pace, che già al nostro giornale aveva detto di ritenere l’abolizione del libero accesso al voto segreto in linea con le conclusioni del vertice di maggioranza tenutosi a Palazzo d’Orleans all’indomani della Caporetto a Sala d’Ercole. In quell’occasione quindi la maggioranza era d’accordo, ma come lo stesso Gaetano Galvagno ha detto al nostro giornale, la possibilità di abolirlo o limitarlo “passa comunque da una sensibilità dei deputati che, a volte, non è facile comprendere”.

Nel frattempo, ieri ai microfoni dei Rei Tv, l’europarlamentare di Fratelli d’Italia Ruggero Razza, già assessore regionale con Musumeci, ha anche rilanciato sul voto segreto: “Non solo sono favorevole all’abolizione del voto segreto all’Ars, ma penso che bisogna andare oltre e, visto che si apre una possibilità di modifica del nostro Statuto per l’inserimento della nomina del deputato supplente, io inserirei il voto di fiducia”.

Una posizione, quella manifestata da Razza, che al momento si scontra con i fatti più che gli annunci. Annunci, pubblici o a porte chiuse nei vertici di maggioranza, cui il gruppo della Democrazia Cristiana intende adesso porro un freno.