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L’ascesa di Emanuele Catania nel settore ittico con i soldi di Cosa Nostra: protetto dagli anni Ottanta

L’ascesa di Emanuele Catania nel settore ittico con i soldi di Cosa Nostra: protetto dagli anni Ottanta
Credit: Duangphorn Wiriya su Unsplash

A parlare di Emanuele Catania, a inizio anni Duemila, sono stati diversi collaboratori di giustizia

“Erano in strettissimi rapporti con i Rinzivillo e non potevano essere in alcun modo sottoposti a estorsione”. Già oltre vent’anni fa, ci fu chi indicò nelle ricchezze di Emanuele Catania – imprenditore del settore ittico che ha fatto fortuna insieme al fratello Antonino – il frutto dell’appoggio di Cosa Nostra.
Lunedì scorso, Catania è stato destinatario di un sequestro del valore di 50 milioni di euro, eseguito dalla guardia di finanza su disposizione del tribunale di Caltanissetta.

La sua è una storia imprenditoriale molto lontana dall’immagine del self-made man. Il 76enne, infatti, avrebbe beneficiato della protezione del clan Rinzivillo, che a Gela rappresenta Cosa Nostra. Un binomio, quello mafia-pesca, che nella storia della Sicilia è finito spesso nel mirino delle procure.

Le parole dei pentiti

A parlare di Emanuele Catania, a inizio anni Duemila, sono stati diversi collaboratori di giustizia. Nei loro racconti ricorre l’accostamento ai Rinzivillo, su tutti ad Antonio, storico capo della famiglia mafiosa gelese.

“I fratelli Catania di Gela, noti imprenditori nel settore del mercato ittico, sono fiduciari di Antonio Rinzivillo e investono in quel settore denaro di provenienza di quest’ultimo. Ovviamente i soldi investiti erano proventi dal traffico di droga», si legge in un verbale che raccoglie le dichiarazioni di Filippo Bilardi. Una versione simile è stata data anche da Emanuele Celona, anche lui collaboratore di giustizia: “In tutte le attività condotte dai fratelli Catania vi è un interesse primario e diretto dei fratelli Rinzivillo, che in esse hanno investito i proventi di attività illecite”.

L’aneddotto

Nel 2003 Celona ha raccontato un aneddoto che avrebbe visto protagonista Emanuele Catania. “Tra il 1993 e il 1994 i Catania rimasero vittime di uno o più attentati incendiari a scopo estorsivo, posti in essere sia dalla Stidda che da Cosa Nostra – ha rivelato Celona – Antonio Rinzivillo chiese spiegazioni agli Emmanuello (l’altra famiglia di Cosa Nostra che operava a Gela, ndr) dei motivi che portarono a compiere tali attentati e questi risposero che era intenzione sottoporre a estorsioni i Catania in ragione del loro ampio volume di affari”.

La ricostruzione

Il proposito, stando alla ricostruzione di Celona, venne però neutralizzato da Rinzivillo che avrebbe trovato il modo per tenere in considerazioni le aspettative di tutte le parti: “Rinzivillo concordò con gli Emmanuello che i Catania, da quel momento in poi, avrebbero versato in occasione delle festività un contributo da devolvere agli affiliati detenuti”. Il collaboratore di giustizia, a questo punto, ha tenuto a specificare: “Voglio precisare che tale contributo non può e non deve essere inteso come la conseguenza di un fatto estorsivo, ma come un contributo, sotto forma di regalo”.

I guai giudiziari

Il sequestro di beni per Emanuele Catania è arrivato in un momento in cui nella sua fedina penale compare una condanna definitiva a sei anni e otto mesi “in quanto ritenuto partecipe dell’associazione mafiosa capeggiata dai fratelli Rinzivillo dai primi anni Novanta”.

Gli investigatori ritengono esistano elementi per retrodatare ulteriormente l’inizio dei rapporti con Cosa Nostra dell’imprenditore, che esordì nel settore ittico con i propri familiari nel 1978 con la società Fratelli di Catania. Da quel momento partì un’ascesa che, nel decennio successivo, avrebbe portato l’imprenditore a imporsi via via nel settore del commercio all’ingrosso e della pesca.

A fine anni Ottanta, Catania avrebbe messo a disposizione dei Rinzivillo il proprio nome per portare avanti gli affari della famiglia mafiosa. Tale accusa gli è stata rivolta in un processo svoltosi a metà anni Duemila e chiusosi con la dichiarazione di “non luogo a procedere” in quanto l’intestazione fittizia di beni riguardava operazioni risalenti al 1988, quando ancora il reato non era stato previsto dalla legge.

Il nipote di Messina Denaro e l’Africa

Per i giudici non ci sono dubbi: dalla vicinanza alla mafia, Emanuele Catania avrebbe acquisito una forza economica tale da imporsi come leader nel settore ittico.

A suffragio di questa tesi, gli inquirenti hanno sottolineato l’espansione, tramite alcuni familiari, in Marocco, dove Catania ha acquisito quote di una società insieme a Francesco Guttadauro. Quest’ultimo è figlio nipote di Matteo Messina Denaro, il boss di Castelvetrano morto in carcere nel 2023 dopo essere stato per trent’anni latitante. Tra Guttadauro e Catania ci sarebbero stati più incontri, resi possibili anche dal riconoscimento nell’imprenditore gelese di una figura vicina ai locali ambienti mafiosi.

La sperequazione

A dimostrare che le ricchezze accumulate da Catania sono state possibili soltanto usufruendo di risorse economiche illecite c’è l’analisi dei redditi che, dagli anni Ottanta in poi, l’imprenditore e i suoi più stretti familiari hanno avuto a disposizione.

Accostando anno per anno le entrate, gli investimenti fatti e le spese familiari in linea con le statistiche Istat, i finanzieri hanno quantificato una sperequazione per la sola famiglia di Emanuele Catania che è partita da 65.674 euro nel 1985 fino ad arrivare a 1,8 milioni nel 2008, per poi ridursi fino a 968.842 nel 2022.

“Sulla scorta degli elementi rassegnati Catania deve essere ascritto alla fattispecie di pericolosità qualificata già a partire dagli anni Ottanta, trattandosi di imprenditore intraneo a Cosa Nostra gelese, tanto da essersi messo a disposizione per lungo tempo del clan Rinzivillo, secondo un rapporto reciprocamente vantaggioso – si legge nel decreto che ha portato ai sigilli – Da un lato ha potuto beneficiare della protezione e dell’interessamento del clan, necessario per la crescita e 1’espansione, anche all’estero, della propria attività commerciale; dall’altro, ha consentito ai Rinzivillo di investire i rispettivi capitali nelle sue attività, cosi assicurandone l’infiltrazione nel mercato lecito e, conseguentemente, ha contribuito al rafforzamento del sodalizio”.

Credit: Duangphorn Wiriya su Unsplash