Mafia, assolto l'ex presidente della Regione Raffaele Lombardo - QdS

Mafia, assolto l’ex presidente della Regione Raffaele Lombardo

Mafia, assolto l’ex presidente della Regione Raffaele Lombardo

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venerdì 07 Gennaio 2022

Una condanna, un'assoluzione, un annullamento dell'assoluzione con rinvio. Tre sentenze, tutte diverse l'una dall'altra. E oggi la quarta sentenza. Ancora una assoluzione.

La Corte d’appello di Catania ha assolto Raffaele Lombardo dall’accusa di concorso esterno “perché il fatto non sussiste” e da quella di corruzione elettorale aggravato dall’avere favorito la mafia “per non avere commesso il fatto”. Lo ha spiegato leggendo il dispositivo la Presidente Rosa Angela Castagnola. La Procura generale di Catania, con i sostituti procuratori generali Sabrina Gambino e Agata Santonocito, aveva chiesto la condanna di Raffaele Lombardo, a sette anni e quattro mesi di reclusione, con il rito abbreviato.

Ricapitolando, dunque: una condanna, un’assoluzione, un annullamento dell’assoluzione con rinvio. Tre sentenze, tutte diverse l’una dall’altra. E oggi la quarta sentenza. Ancora una assoluzione. Sono trascorsi quasi undici anni da quando è iniziata la vicenda giudiziaria che vede protagonista uno dei politici più influenti della Sicilia, Raffale Lombardo, ex Presidente della Provincia di Catania, ex eurodeputato ed ex Presidente della Regione e oggi lontano dalla politica. Almeno ufficialmente.

Questa sera la Corte d’appello di Catania ha scritto, con la sentenza di assoluzione, l’ennesima parola fine sul processo a carico dell’ex Governatore, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione elettorale aggravata dal metodo mafioso. Un procedimento aperto dopo l’annullamento con rinvio della Suprema Corte di Cassazione della sentenza di secondo grado che aveva visto il politico catanese assolto dall’accusa di concorso esterno e condannato a due anni, con pena sospesa, per corruzione elettorale aggravata ma senza intimidazione e violenza.

Sentenza di secondo grado

Una sentenza, quella di secondo grado, che a sua volta aveva riformato quella emessa il 19 febbraio 2014, col rito abbreviato, dal Gup Marina Rizza che lo aveva condannato a sei anni e otto mesi. Al termine della requisitoria, le due rappresentanti dell’accusa, Agata Santonocito e Sabrina Gambino, dopo avere ripercorso i passaggi più importanti delle sentenze che si sono fin qui alternate, hanno chiesto per Lombardo, che è sempre stato presente alle udienze, anche oggi, ma non alla lettura del dispositivo, la condanna a sette anni e quattro mesi.

Le indagini dei Carabinieri del Ros di Catania

Le indagini sono state condotte in questi dieci anni dai carabinieri del Ros di Catania che hanno indagato sui rapporti tra politica, imprenditori, ‘colletti bianchi’ e Cosa nostra. Secondo l’accusa l’ex Presidente Lombardo avrebbe favorito i clan mafiosi in cambio di migliaia di voti per le regionali del 2008, quando poi fu eletto governatore. Accuse che la difesa dell’ex Presidente, rappresentata dagli avvocati Vincenzo Maiello e Maria Licata, ha sempre respinto. Anche oggi, in chiusura delle controrepliche l’avvocato Maiello ha detto: “Abbiamo l’esigenza di mettere capo alla definizione di questa vicenda giudiziaria le cui conseguenze, sul piano personale ma non solo personali, sono sotto gli occhi di tutti. Raffaele Lombardo deve essere assolto. Non ha mai stretto patti con Cosa nostra. Sappiamo di trovarci di fronte a una Corte d’Appello che si riconosce nelle regole, nelle tecniche argomentative. Chiedo di dichiarare l’insusistenza del fatto”. E ha aggiunto: “Confidiamo che la Corte d’appello libererà Raffaele Lombardo da questa annosa pena che lo angustia affermando che il fatto non sussiste e, quindi, affermando che la Regione non è stata governata da chi è sceso a patti con Cosa nostra. Lombardo ha fatto solo scelte contro Cosa nostra”. Ricordando alla Corte d’Appello presieduta da Rosa Angela Castagnola, che nella sua Giunta Lombardo aveva scelto due magistrati antimafia, Caterina Chinnici e Massimo Russo.

La Procura aveva chiesto la condanna a 7 anni e 4 mesi di reclusione

La Procura generale, rappresentata in aula dai magistrati Sabrina Gambino e Agata Santonocito, ha chiesto la condanna di Raffaele Lombardo a sette anni e quattro mesi di reclusione, considerando le riduzioni previste dal rito abbreviato con cui il processo è stato celebrato. Al centro del procedimento i presunti contatti di Raffaele Lombardo con esponenti dei clan etnei che l’ex governatore ha sempre negato sostenendo di avere “nuociuto alla mafia come mai nessuno prima di me”, di “non avere incontrato esponenti” delle cosche e di avere “sempre combattuto Cosa nostra”. Per questo i suoi legali hanno chiesto l’assoluzione del loro assistito “perché il fatto non sussiste”. Il procedimento ha anche trattato presunti favori elettorali del clan a Raffaele Lombardo nelle regionali del 2008, in cui fu eletto governatore, e a suo fratello Angelo, per cui si procede separatamente.

La Procura generale, nel corso della requisitoria, si è soffermata nelle valutazioni sul capo di imputazione sottolineando come “il concetto di rafforzamento dell’associazione, può trovare sotto il profilo plastico un esempio guardando al mondo della finanza. Pensiamo a cosa accade nel mondo della finanza alle quotazioni in borsa ogni qual volta vengono diffuse notizie su alleanze, fusioni o separazioni. Lo scorso anno, quando si diffuse la notizia della fusione dell’alleanza tra Fiat e Peugeot, le azioni facenti capo al gruppo Fiat Chrysler volarono. Quell’accordo, che poi non è avvenuto, ha avuto l’effetto di far volare le azioni. Questo è quello che riteniamo sia accaduto in concreto in riferimento a un gruppo criminale che si trova a giocarsi, dalla sua, un patto sinallagmatico. E questo è l’effetto che questo patto può avere per l’associazione Cosa nostra”.

La ricostruzione del Pg

Secondo la ricostruzione del Pg non è tanto importante concentrarsi se si sia tenuto o meno il summit mafioso alla presenza di Lombardo, come indicato nella sentenza di primo grado, ma guardare al fatto complessivo come “tante tessere del mosaico”. Parole che Lombardo ha respinto. “Semplicemente assurda questa richiesta di pena a sette anni e quattro mesi”, aveva detto all’Adnkronos all’uscita dall’aula. ”Da undici anni aspetto di sapere quali affari, quali appalti, concessioni o autorizzazioni io avrei dato a questi signori”, si sfogò in quella occasione in una intervista. ”Gli ho fatto danno, prima e dopo le elezioni regionali del 2008, nessuno ha votato per me perché hanno votato per altri- diceva ancora Lombardo -Il reato di concorso esterno non è che non esiste ma voglio capire chi lo ha fatto. Dovrebbero solo dirci se sono lo pseudonimo di qualcun altro, se hanno scambiato persona se mi hanno scambiato per un altro”. E sulla richiesta di pena aggiungeva: ”inventato il reato, inventato l’appoggio, inventati i favori e l’accusa e di conseguenza anche la pena…”.

“La Procura generale sa non c’è una sola azione di Lombardo che possa essere contestualizzata all’interno dell’organizzazione criminale – ha sempre detto la difesa di Lombardo – l’imputato può essere simpatico o antipatico ma non importa, nel processo dobbiamo dimostrare delle condotte. Servono delle prove”.

Gli elementi accusatori

Tra gli elementi accusatori ricordati dall’accusa nel corso della requisitoria il dato che “è lo stesso Lombardo ad aver ammesso di aver avuto contatti con esponenti mafiosi di primo livello. Contatti con Rosario Di Dio, anche dopo le vicissitudini giudiziarie di quest’ultimo, contatti con esponenti di primo piano del Calatino; con Raffaele Bevilacqua, con Giugno Giancarlo e Paolo Rizzo. Soggetti conosciuti ai tempi dell’università e poi divenuti esponenti di primo piano dell’organizzazione mafiosa. Ed è così che l’organizzazione mafiosa ha tratto vantaggio dall’amicizia dalla vicinanza e dalla disponibilità di Raffaele Lombardo”.

Diversi i contatti di “alto livello” citati

Tra i contatti “di alto livello” citati dall’accusa anche quelli con Ciccio La Rocca. “E’ lui che ha un rapporto forte con Lombardo. Un rapporto che viene espresso anche nel racconto di altri collaboratori di giustizia e finiti agli atti del processo”. Come ad esempio le dichiarazioni del pentito Francesco Squillaci, detto Martiddina, che ha raccontato di alcuni commenti con il boss di Caltagirone durante un periodo di codetenzione nel carcere di Opera, nel 2010, proprio inerente le vicende giudiziarie legate all’ex governatore Lombardo. Il vecchio capomafia avrebbe detto a Squillaci: “Quello era un cristiano buono ed un amico nostro, mostrandomi a quanto ci teneva a questa persona”. Il pentito avrebbe anche appreso dagli Strano di una mobilitazione di tutti i clan per “votare” l’imputato.

La difesa di Lombardo

Lombardo in più occasioni ha ribadito che “sono state dette molte cose non vere smentite per tabulas dall’attività che ho condotto come presidente della regione e come amministratore locale”. “Dopo undici anni di processo, basato solo su falsi pentiti , attendo di sapere cosa avrei pattuito, quali vantaggi gli avrei procurato e quali consensi ne avrei avuto . Mentre so i danni che gli ho arrecato”.

“Continuo ad avere come ho sempre avuto fiducia nella giustizia e confido che presto la verità venga ristabilita”. Nel corso di dichiarazioni spontanee rese in aula Lombardo aveva detto: “Io non posso iscrivermi, con disappunto di Leonardo Sciascia, nel novero dei professionisti dell’antimafia, ma certamente non ho mai taciuto in sede politica e l’ho sempre dimostrato con atti concreti, con le leggi. La mia ostilità alla mafia non era fatta solo di chiacchiere”. Smentendo poi i suoi rapporti con il mafioso Rosario Di Dio con un passato in politica: “Non ho mai avuto comune esperienza elettorale con Rosario Di Dio”, aveva scandito nel corso di dichiarazioni spontanee. Ad accusare Lombardo ci sono alcuni collaboratori di giustizia., tra cui Dario Caruana. Questi aveva riferito di una riunione riservata, in cui si affrontavano argomenti di appalti ed affari, svoltosi nei primi sei mesi del 2003 in una casa di campagna alle porte di Barrafranca. L’incontro sarebbe avvenuto alla presenza del “vecchio boss” del calatino Ciccio La Rocca, il capomafia ennese Raffaele Bevilacqua e il colonnello di Cosa nostra catanese (ormai deceduto) Alfio Mirabile. Caruana avrebbe accompagnato quest’ultimo all’appuntamento, ma sarebbe rimasto fuori “a vigilare” l’ingresso. Dichiarazioni sempre smentite da Lombardo.

E oggi la nuova sentenza. La quarta. (dall’inviata Adnkronos Elvira Terranova)

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