Autonomia: da differenziata a “meritocratica”. Ma senza efficienza il Sud rischia di affondare - QdS

Autonomia: da differenziata a “meritocratica”. Ma senza efficienza il Sud rischia di affondare

Autonomia: da differenziata a “meritocratica”. Ma senza efficienza il Sud rischia di affondare

Roberto Greco  |
giovedì 20 Giugno 2024

La riforma è legge. Si chiude il cerchio avviato nel 2021 con la modifica al Titolo V della Costituzione

ROMA – È arrivato ieri, dopo una lunga maratona notturna alla Camera, il secondo e definitivo via libera al disegno di legge sull’Autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario. L’Aula di Montecitorio ha licenziato il provvedimento con 172 sì, 99 voti contrari e 1 astenuto e ora è legge.

In 11 articoli la legge Calderoli definisce le procedure legislative e amministrative per l’applicazione del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione. In particolare, definisce le procedure per definire le intese tra lo Stato e quelle Regioni che chiedono l’autonomia differenziata. Le materie oggetto della legge sono 23, tra queste Salute, Istruzione, Sport, Ambiente, Energia, Trasporti, Cultura e Commercio estero. Quattrodici tra esse, definite diritti civili e sociali, sono materie per le quali occorre rispettare i Lep (Livelli essenziali di prestazione, nda) elementi discriminanti cui è legata la concessione di una o più “forme di autonomia” con l’introduzione di una serie di criteri che determinano il livello di servizio minimo che “deve essere garantito – è specificato nel testo – in modo uniforme sull’intero territorio nazionale”.

La determinazione dei costi e dei fabbisogni standard, e quindi dei Lep, avverrà a partire da una ricognizione della spesa storica dello Stato in ogni Regione nell’ultimo triennio. L’art. 4, modificato in Aula al Senato da un emendamento di FdI, stabilisce i principi per il trasferimento delle funzioni alle singole Regioni, precisando che sarà concesso solo successivamente alla determinazione dei Lep e nei limiti delle risorse rese disponibili in legge di bilancio. Dunque senza Lep e il loro finanziamento, che dovrà essere esteso anche alle Regioni che non chiederanno la devoluzione, non ci sarà Autonomia. Stato e Regioni, una volta avviati i negoziati, avranno cinque mesi di tempo per arrivare a un accordo che dovrà passare sia in Cdm, sia in Conferenza Stato-Regioni sia in Parlamento. Le intese potranno durare fino a dieci anni e poi essere rinnovate o potranno terminare prima, con un preavviso di almeno dodici mesi.

Costituita inoltre una cabina di regia composta da tutti i ministri competenti, assistita da una segreteria tecnica, collocata presso il Dipartimento per gli Affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio che dovrà provvedere a una ricognizione del quadro normativo, in relazione a ciascuna funzione amministrativa statale e delle regioni ordinarie, e all’individuazione delle materie o ambiti di materie riferibili ai Lep sui diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale.

A partire da ieri, quindi, il Governo ha 24 mesi per varare uno o più decreti legislativi per la determinazione dei livelli e importi dei Lep. L’undicesimo articolo, inserito in Commissione, oltre a estendere la legge anche alle regioni a Statuto speciale e alle Province autonome, reca la clausola di salvaguardia per l’esercizio del potere sostitutivo del Governo. Questo significa che l’Esecutivo potrà sostituirsi agli organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni quando si riscontri che gli Enti interessati si dimostrino inadempienti, rispetto a trattati internazionali, normativa comunitaria oppure vi sia pericolo grave per la sicurezza pubblica e occorra tutelare l’unità giuridica o quella economica.

Per meglio capire quanto approvato in Aula e diventato legge, il QdS ha intervistato Roberta Calvano, professoressa ordinaria di Diritto costituzionale dell’Università degli studi di Roma Unitelma Sapienza.

Roberta Calvano, professoressa ordinaria di Diritto costituzionale dell’Università degli studi di Roma Unitelma Sapienza

Professoressa, inizierei da una valutazione complessiva sulla legge…
“Individuerei almeno un paio di problemi centrali perché, nel corso del suo iter, molte delle criticità di questa legge sono state evidenziate, nel corso delle molteplici audizioni che si sono tenute in ‘Commissione Affari istituzionali’ del Senato, da molti soggetti, alcuni indipendenti come la Banca d’Italia e l’Ufficio parlamentare di Bilancio. Nella mia audizione al Senato ho fatto presente che mi preoccupava il fatto che si trattasse di un disegno di legge ordinario che serve a disciplinare il procedimento con cui le Regioni andranno a richiedere al Governo nuove competenze: stipuleranno un’intesa che dovrà poi essere approvata con una legge di differenziazione, una legge rinforzata, approvata a maggioranza assoluta. Per disciplinare un procedimento che termina con una legge rinforzata sarebbe stato necessario approvare una legge costituzionale, anche perché ogni nuova legge di differenziazione, avendo la stessa forza della legge Calderoli, la potrebbe derogare. Serviva una fonte superiore per disciplinare con una certa stabilità un processo che, nel tempo, potrà ripetersi, anche per non rischiare di dividere le Regioni in figli e figliastri. In questo modo non ci sarà nessuna garanzia che la via procedurale disegnata in questa legge sarà seguita, e questo è il primo problema. Questo regionalismo differenziato, di fatto, costruisce delle deroghe rispetto a quanto è disegnato nella Costituzione in tema di rapporto tra Stato e Regioni, decostituzionalizzando le regole sul riparto di competenze e di funzioni tra Stato e Regioni e ponendole fuori dalla Carta per tutte le Regioni che accederanno alla differenziazione. Questo significa che una singola Regione potrà avere competenze che non saranno più disciplinate da norme costituzionali ma solo dalla legge di differenziazione, ossia una legge ordinaria. Ciò vuol dire, per esempio, che in caso di contrasto su tale riparto non si potrà più ricorrere alla Corte costituzionale perché si tratterà di norme contenute in una legge ordinaria”.

Altre criticità?
“C’è anche il problema delle risorse e delle disuguaglianze. Già nel 2001, nella riforma del Titolo V, s’indicavano dei Livelli essenziali che avrebbero dovuto essere garantiti in tutto il territorio nazionale. Si attribuirono maggiori competenze alle Regioni consentendo una certa differenziazione, volendo garantire il pluralismo delle autonomie locali e delle particolarità territoriali nel quadro dell’Unità nazionale. Per evitare che tutto ciò non creasse diseguaglianze, al tempo s’introdussero i Lep. Un sistema che, in realtà non è mai stato pienamente attuato e abbiamo alle spalle vent’anni di fallimento di questo sistema. Questa legge prevede l’uso dei Lep rendendoli centrali, sebbene non abbiano mai funzionato. La legge, inoltre, è approvata senza nuovi oneri da parte dello Stato e questo significa che non c’è la previsione di una provvista finanziaria per garantire quei livelli essenziali delle prestazioni. Inoltre si prevede che alcune materie possano essere ‘non Lep’, per le quali quindi non sarebbe necessario garantire i livelli essenziali”.

Potrebbero esserci effetti a cascata con le nuove attribuzioni?
“Un ulteriore problema è quello relativo al finanziamento delle funzioni di queste nuove materie che saranno attribuite alle regioni che le chiedono. Si prevede che nell’intesa tra ogni singola Regione e lo Stato s’indicherà quanta parte del gettito fiscale di quel territorio rimane alla Regione per finanziarie queste nuove funzioni attribuite. Potrebbe succedere che, se alcune delle Regioni più popolose e ricche del Paese chiedessero per finanziare le nuove competenze che otterranno, per esempio, per il 90% delle risorse, questo genererebbe un pesante danno al bilancio dello Stato”.

Per le Regioni che non richiedono l’attribuzione di alcune materie cosa cambia?
“Il finanziamento da parte dello Stato avverrà secondo i vecchi criteri, secondo il modello disegnato nell’art. 119, che prevede tributi erariali dello Stato, tributi propri delle Regioni e perequazione. Peraltro un modello che si completava con il Federalismo fiscale, contenuto nella riforma del titolo V, e mai attuato”.

Qualora si andasse verso un referendum abrogativo potrebbe realizzarsi un paradosso, e mi spiego: nel tempo intercorrente tra oggi e la vittoria del referendum qualche Regione potrebbe richiedere e ottenere l’attribuzione di alcune materie. Cosa succederà?
“Sì, si creerebbe un ulteriore paradosso. Proprio perché stiamo parlando di una legge ordinaria, la legge Calderoli appena approvata può essere abrogata con referendum, ma qualora una Regione avesse visto approvata l’intesa e la relativa legge di differenziazione, l’abrogazione referendaria non cancellerebbe gli effetti della legge di differenziazione già approvata. Si corre quindi il rischio che rimangano fatti salvi gli effetti di quanto consente l’art. 116 comma 3. Peraltro nella stessa legge Calderoli è contenuta una norma finale che fa salve le iniziative già assunte da alcune regioni per avviare la differenziazione”.

Il commento al QdS di Annalisa Tardino, rappresentante della Lega

“Realizzato un obiettivo storico. Dalle opposizioni solo attacchi”

Annalisa Tardino, già eurodeputata per la Lega nel mandato 2019-2024
Annalisa Tardino

A seguito dell’approvazione della legge Calderoli, fortemente voluta dalla Lega, interviene al QdS Annalisa Tardino, già eurodeputata per la Lega nel mandato 2019-2024.

Le opposizioni hanno definito questa legge “Spacca Italia”…
“Ritengo che non abbiano nessuna argomentazione utile per fare opposizione, anche perché lo sfascio generato in Italia è loro responsabilità e stanno cercando solo un appiglio per poter continuare a dire che sono loro quelli che mirano al rilancio e all’unità del Paese, cosa assolutamente falsa. Noi vogliamo ancorare le scelte degli amministratori locali e la velocità dell’Italia a decisioni meritocratiche, così come ci sarà con l’autonomia differenziata. Da cittadini siciliani non abbiamo nessun diritto di poter dire che il Nord, le Regioni che vogliono l’autonomia, stiano sbagliando, proprio perché noi siamo già una Regione a Statuto Speciale, ossia autonoma e dovremmo, finalmente, impegnarci per rendere attuativo il nostro Statuto. Mi piacerebbe anche che i cittadini del Sud smettessero di pensare, seppur senza voler generalizzare, di vivere di assistenzialismo, una visione che non ha mai fatto bene al Mezzogiorno. È il momento di dimostrare che anche il Sud può essere un buon amministratore. L’Autonomia differenziata è l’ultimo appiglio che la sinistra e certi partiti che della concretezza, del pragmatismo e della meritocrazia non hanno saputo farne un baluardo, hanno per attaccare non solo il Governo ma soprattutto la Lega e quegli amministratori che hanno dimostrato di saper governare là dove governano”.

Per voi questo è il punto di arrivo di un lungo percorso?
“La Lega nasce al Nord con quell’obiettivo: dare dignità alle proprie Regioni. Dovremmo anche noi avere un obiettivo che riguardi la Sicilia e il suo sviluppo. Dobbiamo farlo nelle urne e con una politica diversa. Creare sudditanza e alimentare lo stato di bisogno non consentirà mai alla Sicilia di uscire dal gap economico, infrastrutturale, sociale e culturale cui certa politica ci ha relegato. La Lega nasce chiedendo l’autonomia e oggi questo obiettivo è stato finalmente realizzato”.

La parola a Valentina Chinnici, deputata del Partito democratico all’Ars

“Una cristallizzazione dei divari accumulati tra le varie regioni”

Valentina Chinnici, deputata del Partito democratico all’Assemblea regionale siciliana

Oltre alle voci della maggioranza, che hanno salutato positivamente il via libera alla legge, ci sono quelle delle opposizioni. Proprio per dar voce anche a chi si è fortemente opposto alla riforma, abbiamo intervistato Valentina Chinnici, deputata del Partito democratico all’Assemblea regionale siciliana.

La maggioranza ha esultato e lo stesso ministro Calderoli, riferendosi alle vostre proteste ha dichiarato “Non spacco l’Italia”…
“Questa legge non va bene. Intanto perché porta a compimento il disegno secessionista di Umberto Bossi di trent’anni fa. È una legge che prevede, ben che vada, la cristallizzazione dei divari tra le regioni del Nord e quelle del Sud. Lo dimostra il fatto che la legge prevede invarianza finanziaria e anche l’applicazione dei Lep è uno specchietto per le allodole. Sappiamo che non hanno prodotto alcun effetto se non la cristallizzazione dello status quo. I criteri guida della ‘secessione dei ricchi’, come l’ha definita Gianfranco Viesti, professore di Economia applicata presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Bari, sono scritte nella bozza presentate dai governatori Zaia, Bonaccini e Fontana, con primo ministro Gentiloni e si è capito sin da subito che la situazione avrebbe potuto diventare grave senza alcun meccanismo perequativo per le regioni del Sud. Questa legge, di fatto, inchioda l’autonomia alla spesa storica. Questo significa che chi non ha mai speso soldi, per esempio, per gli asili non potrà avere soldi per realizzare asili nuovi. Le regioni virtuose rimangono tali e questa legge servirà, è scritto nella premessa della stessa, a dare maggiore accelerazione a chi era già veloce, senza nessuna possibilità di perequazione o incentivo”.

Cosa pensa dei fabbisogni standard?
“Se storicamente i bambini di una regione non sono mai andati all’asilo, quindi non c’è richiesta di asili, la legge prevede che, visto che il fabbisogno debba essere proporzionato alle richieste, si annulla quel principio di servizi essenziali. Peraltro ci troveremo a pagare tasse per servizi inesistenti e che non potranno mai essere realizzati. Lo stesso principio vale anche per il comparto sanità. Questa cristallizzazione generata dall’autonomia differenziata, di fatto, amplifica la disuguaglianza. Questa legge sarà il colpo di grazia inflitto allo Stato unitario, al sistema scolastico e al sistema sanitario nazionale”.

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