La Sicilia come il Portogallo, le Azzorre, le Baleari. La Sicilia come paradiso fiscale, ma senza scivolare negli aspetti ombrosi che si accompagnano a questa definizione. Con l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri del decreto legislativo sull’ampliamento dell’autonomia della Regione in materia di tributi, com’è naturale che fosse è iniziata la corsa a immaginare un futuro diverso per l’isola.
Da una parte c’è la voglia di recuperare i gap che confinano la regione nei bassifondi delle classifiche sullo sviluppo economico all’interno dell’Unione europea, dall’altra la necessità di contrastare gli effetti di fenomeni – per esempio, lo spopolamento – che da anni avanzano inarrestabili. Il tutto senza dimenticare le rivendicazioni di quello Statuto che, pur precedente alla Costituzione italiana, non è mai stato applicato nella sua interezza. Insomma, motivi per chiedersi come i governi che da qui in avanti – a partire dall’attuale a guida Renato Schifani – sfrutteranno le ultime novità provenienti da Roma ce ne sono parecchi. Tutto starà adesso nel vedere come dalla teoria si passerà alla pratica.
Partiamo dalla teoria: un decreto legislativo del Consiglio dei ministri, prossimo alla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, ha modificato l’articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica con cui nel 1965 si definirono le norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria. Nello specifico, ai due commi esistenti ne sono stati aggiunti altri due che recitano: “La Regione, relativamente ai tributi erariali per i quali lo Stato ne prevede la possibilità, può, in ogni caso, e comunque nel rispetto delle norme dell’Unione europea, modificare le aliquote in aumento entro i valori di imposizione stabiliti dalla normativa statale o in diminuzione fino ad azzerarle, prevedere esenzioni, detrazioni e deduzioni, con particolare riguardo a interventi diretti a promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale – si legge –. La Regione può concedere, nel rispetto delle norme dell’Ue sugli aiuto di Stato, incentivi e contributi che possono essere utilizzati anche in compensazione previa stipula di una convenzione con l’Agenzia delle Entrate. I fondi necessari per la regolazione contabile delle compensazioni sono posti a esclusivo carico della Regione”.
La Regione può modificare le aliquote “in aumento” o “in diminuzione fino ad azzerarle”
La parte più interessante è senz’altro quella riguardante la possibilità per la Sicilia di muoversi con ampia autonomia nella definizione di quali debbano essere le aliquote che verranno pagate nell’isola. E, in particolar modo, la possibilità di azzerarle. Fare dell’isola una regione in cui si pagano meno tasse – traguardo reso possibile nel prossimo futuro anche grazie al processo di azzeramento del disavanzo che sembra ormai arrivato a conclusione – significa aumentare i fattori attrattivi nei confronti di chi vive all’estero. Partono da qui i paragoni con altri luoghi come il Portogallo, dove già diversi anni fa si è sfruttata la fiscalità di sviluppo per fare arrivare nel paese persone da fuori. Specialmente pensionati e giovani.
Un progetto che la Sicilia ha caldeggiato già nella precedente legislatura Musumeci e che ha avuto in Gaetano Armao, allora assessore all’Economia, uno dei maggiori sostenitori. E fu proprio il governo Musumeci ad avviare l’accordo con lo Stato sulla base del quale, oggi, si è arrivati all’approvazione del decreto legislativo.
“È un tema di cui da professore di contabilità pubblica mi occupo da ben prima di fare l’assessore – dichiara Armao, contattato dal Quotidiano di Sicilia –. L’idea è quella di attrarre investimenti immobiliari, imprese che vengono in Sicilia ma anche che nascono da noi. Nel tempo la Regione ha introdotto leve fiscali di sostegno ma sempre negoziandole con Roma – penso al credito d’imposta che ottenne risultati eccezionali –, adesso si potranno fare in autonomia. Starà al legislatore regionale scegliere come utilizzare queste opportunità in base alle risorse disponibili”.
La Sicilia un posto in cui scegliere di andare a vivere
Le possibilità in ballo, come detto, sono tante. A partire dal cercare di fare in modo che la Sicilia non diventi più un luogo da cui partire per cercare miglior sorte altrove, ma diventi un posto in cui scegliere di andare a vivere. “Si potrà intervenire sulle aree interne e i comuni montani, penso alla possibilità di favorire gli investimenti dei privati nei piccoli centri. Per certi aspetti sono misure che già nella scorsa legislatura abbiamo proposto. Le faccio un esempio: nel 2019 una norma cosiddetta ‘Portogallo’ fu presentata dal governo Musumeci, ma fu bocciata dall’Assemblea con il voto segreto”, ricorda Armao.
L’ex assessore, che oggi è consulente di Schifani oltre che essere presidente della commissione tecnica-specialistica che si occupa delle valutazioni ambientali, sottolinea come le opportunità riguarderanno anche chi in Sicilia ci vive da sempre. “Le scelte in materia fiscale riguarderanno potenzialmente tutti. Bisognerà capire il legislatore come vorrà esercitare queste nuove facoltà. Anche qui però – sottolinea Armao – mi sento di dire che esistono misure già sperimentate in passato, come nel caso dell’iniziativa Resto in Sicilia, che riguardava le imprese dei giovani siciliani”.
Il parere di Luca Bianchi, direttore di Svimez
A rimarcare come, fatta la legge, adesso bisognerà essere bravi a sfruttarla nell’interesse della collettività è anche Luca Bianchi, il direttore di Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno. “La proposta della Regione di utilizzare la propria autonomia fiscale per introdurre misure di fiscalità di vantaggio è un segnale importante di attenzione al rilancio economico e sociale dell’isola. Si tratta però di strumenti che per produrre effetti positivi e duraturi – avverte Bianchi, nel cui curriculum c’è anche un’esperienza da assessore all’Economia nel governo Crocetta – devono seguire una logica di selettività, oltre che di efficacia e sostenibilità: incentivi fiscali non generalizzati, ma mirati a obiettivi chiari e valutabili. Le priorità dovrebbero essere il rafforzamento dell’apparato produttivo innovativo, il sostegno alle imprese ad alta intensità di conoscenza e l’attrazione e permanenza dei giovani qualificati”.
A riguardo Bianchi si sofferma sulla necessità di puntare a invertire il fenomeno della fuga dei cervelli. “Nonostante il buon recupero occupazionale degli ultimi anni, la Sicilia continua a registrare una forte emorragia di competenze. Tra il 2002 e il 2023 ha perso oltre 219 mila giovani, di cui 66 mila laureati. Per invertire questa tendenza – spiega il direttore di Svimez – gli incentivi fiscali andrebbero orientati verso chi può costruire il futuro dell’isola: i giovani con competenze, le startup innovative, le imprese che domandano lavoro qualificato. La fiscalità di vantaggio può essere uno strumento utile, se inserita in una visione strategica che metta al centro l’innovazione, le competenze e l’inclusione, per fare della Sicilia – conclude Bianchi – un luogo in cui valga la pena restare o tornare”.
Vantaggi pensionati non residenti, Ue avvia procedura di infrazione
La Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia per non aver adeguato la normativa relativa ai vantaggi fiscali sulla tassa municipale sugli immobili (Imu) e quella sui rifiuti (Tari) destinati ai pensionati non residenti ai principi del diritto Ue relativi alla libertà di movimento e di stabilirsi in un altro Paese.
Nel dettaglio, la normativa italiana consente ai pensionati non residenti di accedere ai benefici su Imu e Tari solo se risiedono nello Stato estero che eroga loro la pensione e se hanno effettuato versamenti sia al sistema previdenziale italiano che estero, a patto che tra gli Stati esista una convenzione internazionale in vigore. Tali condizioni valgono anche per chi ha contribuito a sistemi previdenziali di organizzazioni internazionali.
Secondo la Commissione, questi requisiti rendono meno favorevole per i pensionati non residenti l’acquisto o il mantenimento di un immobile in Italia, penalizzando chi esercita il diritto di trasferirsi in un altro Stato membro dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo, o chi ha lavorato per organizzazioni internazionali.
La lettera di messa in mora inviata dall’esecutivo Ue rappresenta il primo passo della procedura di infrazione; l’Italia ha ora due mesi di tempo per fornire una risposta e adottare le modifiche necessarie, pena la possibile emissione di un parere motivato.
Il “modello Portogallo” che dal 2025 punta sui giovani anziché pensionati
Dopo essere stato per anni una delle mete più desiderate dai pensionati, per via delle favorevoli condizioni fiscali offerte, il Portogallo dal 2024 ha deciso di puntare sulla capacità di attirare i giovani. Quello dei cosiddetti nomadi digitali è un fenomeno che ormai si è imposto dal punto di vista sociologico e culturale. Le nuove possibilità offerte dalla tecnologia, l’aumento dei lavori che possono essere svolte da remoto hanno spinto sempre più persone a decidere con maggior libertà il posto in cui vivere.
In uno scenario del genere è chiaro che tra i fattori che incidono nelle scelte c’è anche quello riguardante le tasse che si pagano. Da quest’anno, il Portogallo ha presentato il nuovo modello Irs Jovem che prevede un regime fiscale impostato sull’esenzione – totale o parziale – sui redditi da lavoro dipendente e da lavoro autonomo. Il piano è rivolto a tutte le persone di età fino a 35 anni che, non risultando più a carico del nucleo familiare di origine, risiedono in Portogallo. L’iniziativa non tiene conto del livello di istruzione e si sviluppa su un periodo temporale di dieci anni.
L’esenzione ha un limite di reddito di poco inferiore ai 29mila euro e si articola in maniera decrescente con il passare degli anni: nel primo anno di guadagni in Portogallo prevede il cento per cento di esenzione sui guadagni, dal secondo al quarto anno il 75 per cento, dal quinto al settimo anno il 50 per cento, mentre tra l’ottavo e il decimo anno la percentuale di esenzione scende al 25 per cento. L’esenzione, inoltre, non si applica negli anni in cui non vengono percepiti redditi da dipendente o lavoratore autonomo, per poi riprendere nel momento in cui si torna a lavorare.
Per quanto riguarda i pensionati, fino al 31 dicembre 2023 il Portogallo aveva adottato una politica che prevedeva, per chi arrivava dall’estero, la possibilità di usufruire di un’aliquota ridotta del 10 per cento per un periodo di dieci anni per coloro che risultavano iscritti al regime dei residenti non abituali. Quest’ultimo prevedeva, per chi non era pensionato, la possibilità di pagare un’aliquota fissa del 20 per cento sul reddito da lavoro o imprenditoriale altamente qualificato. Solo alcuni degli esempi di fiscalità agevolata che potrebbero – il condizionale è d’obbligo perché poi stata al governo regionale prendere delle decisioni – essere adottate in Sicilia, trasformandola da meta per le vacanze a luogo in cui decidere di vivere.

