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Autori di reato con problemi psichici, SSR senza strutture e conflitti tra le parti: una miccia accesa

Autori di reato con problemi psichici, SSR senza strutture e conflitti tra le parti: una miccia accesa
carcere

Volendo usare un termine clinico per definire con una metafora lo stato in cui versa il servizio sanitario regionale siciliano, potremmo parlare di cancrena.

Il problema delle liste d’attesa infinite, in Sicilia, non riguarda soltanto la medicina specialistica relativa alla salute fisica ma anche quella che attiene alla salute mentale. Ed all’interno di questa specifica branca sanitaria si annida un aspetto forse ancora più critico, almeno sul piano sociale, che per oggetto gli autori di reato. Volendo usare un termine clinico per definire con una metafora lo stato in cui versa il servizio sanitario regionale siciliano, potremmo parlare di cancrena. Questa si propaga attraverso tutte le parti che compongono un arto e ne determina la morte. La cancrena che affligge il SSR siciliano colpisce infatti ogni settore, ogni indirizzo, ogni ordine di funzionamento.

Gli autori di reato vanno in centri privati privi di requisiti di sicurezza

Ma se il normale utente è costretto a scegliere tra curarsi e non curarsi, oppure curarsi mediante la sempre più diffusa e potente sanità privata – potendoselo permettere – ed attendere e sopravvivere fino al proprio turno in quella pagata con le tasse dei contribuenti, per i casi psichiatrici autori di reato di scelte non ce ne sono. In questi casi a decidere sono i giudici. In questi casi, senza stupore alcuno, la destinazione è alla fine una struttura privata. Per di più inadeguata per ragioni che prescindono dalla volontà del privato che la gestisce, perché le strutture idonee dovrebbero essere altre ma li non ci sono posti. Anzi, mancano proprio le strutture.

Tra aggressioni in corsia e ritmi insostenibili la Sanità crolla

Questo, per sommi capi, il quadro impietoso della salute mentale in un’epoca in cui il disagio ed il disturbo psichico appaiono in aumento per diffusione, in cui si inizia a comprendere che tra gli effetti del long covid ci sono anche sintomi di competenza della psichiatria, mentre si cercano medici ed infermieri all’estero cui far imparare l’italiano prima di metterli in servizio tra le corsie dei nostri reparti a rischiare aggressioni da parte dell’utenza senza adeguate garanzie sulla sicurezza perché anche le forze dell’ordine hanno difficoltà per evidenti limiti di personale. Perché la gobba pensionistica non prevenuta riguarda tutta o quasi tutta la struttura dello Stato italiano.

Il direttore del Dsm di Palermo Maurizio Montalbano: “Colleghi sotto estrema pressione”

Della carenza di medici, drasticamente insufficienti dal punto di vista numerico, fanno parte anche gli psichiatri e questo rende ormai impossibile procedere oltre per il sistema sanitario in ambiente salute mentale. Lo conferma il dottor Maurizio Montalbano, direttore del Dipartimento di salute mentale dell’Asp 6, che da Palermo rappresenta il campione disponibile più esteso: “Direi che questo è il neo principale, perché il dipartimento di Palermo sta lavorando con poco più del 50% del personale che dovrebbe avere – e che già era ridotto come pianta organica – per cui, ovviamente, tutti i colleghi sono in estrema pressione; e lo dimostrano dimettendosi, andando in pensione con le ‘quote cento’, scappando, devo dire”.

La soluzione alla carenza dei medici? “Se va bene tra cinque anni”

Sugli spiragli, per risolvere la carenza dei medici psichiatri in pianta organica, non c’é da ben sperare nell’immediato futuro. Quanto descritto dal dottor Montalbano non lascia dubbi in merito: “È una condizione che vedrà una soluzione, ammesso che si aumentano i posti nelle scuole di specialità, almeno tra quattro o cinque anni; quindi diciamo che è abbastanza tragico l’immediato futuro. Direi – prosegue il direttore Montalbano – che dei passi avanti sono stati fatti. Le strutture esistono, esistono i finanziamenti, ci sono i budget di salute che sono una cosa estremamente interessante: lo 0,2% delle aziende nel nostro caso è un budget enorme. Noi quest’anno stiamo uscendo con circa trecento PTI, percorsi terapeutici individuali in cui riusciamo a mandare al domicilio del paziente gli operatori. Non gli psichiatri, perché non ci sono neanche nel privato”.

Autori di reato senza custodia

Questa è quindi secondo il direttore del Dipartimento di salute mentale di Palermo la situazione, la condizione di disagio principale “a cui si associa la gestione degli autori di reato che è diventata veramente una cosa impossibile, perché non abbiamo il personale per gestirlo né le strutture per gestirlo”. Per il direttore Montalbano, medico psichiatra, quindi – come lo stesso precisa – “un clinico”, che definisce comunque pazienti gli autori di reato affetti da patologie psichiche, “hanno bisogno di una attività custodialistica e noi non dovremmo fare i custodi, dovremmo fare i clinici, dovremmo fare i sanitari”. Gli autori di reato con diagnosi clinica psichiatrica positiva sono la conseguenza di una evoluzione normativa che ha dato un importante segnale di civilizzazione in Italia ma che non ha poi completato l’opera adeguando il Paese con strutture idonee per il superamento dei vecchi OPG, gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari.

La “selezione” degli autori di reato e le strutture del post OPG

“Gli OPG erano un calderone dove c’erano patologie di vario tipo, dalle insufficienze mentali a deficit di vario tipo”, ci spiega il dottor Montalbano sostenendo la necessità di un intervento normativo. Il direttore del Dipartimento afferma quindi che in primo luogo bisognerebbe “selezionare” le problematiche di natura psichiatrica, ma al contempo bisognerebbe intervenire in maniera radicale sulla parte strutturale del problema, cioè sull’implementazione delle strutture che in Italia sostituiscono i vecchi ospedali giudiziari: le REMS, Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza. La Sicilia di queste strutture ne ha soltanto due ed al loro interno ci sono in totale appena una cinquantina di posti disponibili.

OPG, REMS e CTA: leggi vigenti, strutture assenti

“Devono essere aumentati in maniera assolutamente congrua – afferma il direttore Montalbano – i posti in REMS, non è possibile che noi ricoveriamo gli autori di reato nelle nostre comunità, dove di turno ci sono un infermiere e un operatore socio-sanitario. Impossibile anche dal punto di vista clinico”. Le comunità cui fa riferimento il direttore del Dipartimento di salute mentale di Palermo sono le CTA, Comunità Terapeutiche Assistite. Anche queste strutture sanitarie sono insufficienti, motivo per cui i pazienti psichici autori di reato vanno in comunità private accreditate. Ma soprattutto, queste strutture non hanno sistemi e parametri di sicurezza, non sono idonee alle restrizioni degli ospiti né a garantire la sicurezza degli operatori. Infine emerge anche un altro aspetto critico: gli autori di reato spesso finiscono per invalidare il lavoro svolto dai medici psichiatri sui pazienti non autori ospiti delle comunità.

Troppi casi, pochissimi posti: il sistema non regge perché non c’é

Le pagine della stampa, ormai quasi quotidianamente, ci informano su eventi di cronaca nera connotati da momenti o condizioni di instabilità mentale. Dall’isolato aggressore che si scaglia sui passanti alle famiglie con probabili deliri che si macchiano di macabre esecuzioni, le stesse notizie potrebbero dare l’idea anche ai più sprovveduti di quanto i cinquanta posti scarsi in Sicilia siano assolutamente insufficienti. Ma ai casi “celebri” di cronaca si aggiungono quelli meno noti che ormai attengono ad una sorta di “psichiatria difensiva”. Casi in cui una perizia medica psichiatrica ed un avvocato sottraggono un autore di reato al carcere per indirizzarlo su disposizione inevitabile del giudice in una REMS che non ha posto e quindi in una CTA per “temporaneo” ripiego.

Il diritto alla cura ed il rischio del carcere che non cura ma distrugge

L’avvocato Ugo Forello, presente ad un incontro organizzato dal gruppo interparlamentare dell’ARS che si è tenuto venerdì a Palazzo dei Normanni, ha giustamente sostenuto che un autore di reato con patologia psichica, di qualunque natura, è comunque un cittadino che necessità di cure che nelle carceri non soltanto non vengono adeguatamente fornite ma che all’interno delle strutture penitenziarie si aggrava la patologia. Affermazione, quella sul diritto alle cure sostenuta da Forello, che nel suo effetto contrario non trova difficoltà all’essere creduta vista la situazione carceraria nazionale e gli effetti negativi che hanno le sovraffollate strutture circondariali italiane. Tali da pregiudicare la salute mentale perfino di persone sane che, in certi casi, giungono all’estremo gesto.

Al convegno confronto e dibattito, emergono i punti deboli del sistema

L’incontro tenutosi nella Sala Piersanti Mattarella di Palazzo dei Normanni, utile confronto tra le parti interessate e l’intergruppo parlamentare che rappresenta il potere legislativo siciliano, ha avuto il merito di trasformarsi a tratti in un dibattito. Questo in evidenza della normativa vigente teoricamente valida ma praticamente attuata con gravi limiti dalle parti che, tra l’altro, parrebbero avere poca chiarezza sui rispettivi problemi e sulle reciproche limitazioni. La questione del caso psichiatrico autore di reato coinvolge una serie di figure: giudici, avvocati, psichiatri consulenti del giudice e dell’avvocato, psichiatri che devono prendere in carico l’autore di reato su disposizione del giudice. Se la perizia psichiatrica diventa prassi giudiziaria, ecco che il sistema sanitario già a corto di strutture e personale va in tilt.

Il giudice Alecci: “Mancanza di dialogo causa disfunzioni sistemiche”

Abbiamo posto alcuni quesiti al giudice Simone Alecci, presidente vicario del Tribunale di sorveglianza di Palermo, che ha partecipato all’incontro nella sede dell’ARS. Dal confronto tra le parti era emerso un grave problema di pianta organica, strutturale, forse normativo ma soprattutto di prassi ormai instauratasi nel vulnus delle predette carenze. Su queste criticità una che ne ha amalgamato gli effetti: la mancanza di dialogo tra le parti. Su questa abbiamo chiesto lumi al giudice Alecci: “Questa mancanza di dialogo ha prodotto delle disfunzioni sistemiche che si riverberano nella gestione dei pazienti, non soltanto in ambito giudiziario ma anche e soprattutto sul territorio. La magistratura deve assolutamente, in tutte le sue anime, sia requirente, di commissione che dell’esecuzione penale e quindi di sorveglianza, instaurare un dialogo fecondo non soltanto dal punto di vista operativo ma anche culturale con il mondo sanitario, psichiatrico ma anche e soprattutto con tutti gli attori del tessuto sociale che hanno interesse ad approntare una seria soluzione al problema degli autori psichici del reato”.

Il quadro normativo è chiaro, mancano gli strumenti operativi

Devono essere seriamente autori psichici del reato – prosegue il giudice Alecci con un inciso – e non soggetti che in determinate comunità non hanno i requisiti sanitari e personologici per esservi collocati”. Quanto espresso con estrema lucidità dal magistrato pone un serio dubbio sul da farsi, perché la soluzione non parrebbe essere una ulteriore, ennesima norma che regolamenta il disordine ma una attuazione delle procedure orchestrate. Il presidente vicario del Tribunale di sorveglianza di Palermo, giudice Simone Alecci, conferma al nostro quotidiano questo timore: “Il quadro normativo a livello sanitario è già abbastanza chiaro, non occorre complicarlo; secondo me – ed è di questo avviso anche la magistratura che opera nel mondo della sorveglianza – occorrerebbe implementarlo con strumenti operativi e dialogici con gli attori del territorio efficaci”.

Se i medici fuggono non c’é via di scampo

Al centro del problema, sia del servizio sanitario che nello specifico di quello psichiatrico e con particolare riguardo alla miccia accesa e pronta a far esplodere un caso sul fronte dei casi psichici autori di reato, ci sarebbe quindi sempre l’insufficienza delle figure professionali. A margine di questa insufficienza ci sono poi anche i numeri proporzionalmente limitati dei medici psichiatri che effettuano consulenze tecniche d’ufficio per i giudici, le CTU, e per le difese legali. Infine uno scarno dialogo tra le parti coinvolte, con le disposizioni dei giudici, basate sulle perizie psichiatriche, che si ripercuotono a cascata sulle strutture e quindi sul personale che, come ha detto il dottor Maurizio Montalbano, “scappa” cercando ogni agevolazione utile al pensionamento quanto più possibile immediato. Così la crisi del servizio sanitario si avvita su se stessa e degenera.

Il pericoloso gioco delle tre carte

L’incontro ospitato dall’ARS, dal titolo “Il diritto alla cura per i pazienti psichici autori di reato”, organizzato dal gruppo interparlamentare cui si è recentemente aggiunto aderendovi anche il deputato Giuseppe Geremia Lombardo, ha avuto il merito di avviare un dialogo tra le parti interessate il cui risultato è stato quantomeno una presa consapevolezza degli effetti che l’attività di ogni attore ha sugli altri. Dall’incontro sono emersi anche altri aspetti, anch’essi di non poco conto. Tra questi, che in alcune regioni italiane esistono dei livelli di sicurezza con cui vengono classificate le comunità terapeutiche assistite. Specifica inesistente in Sicilia, dove gli autori di reato si trovano spesso a poter liberamente abbandonare la struttura in quanto inadeguata alla restrizione del paziente. Infine, ma soprattutto, che le CTA non sono REMS e che la Sicilia ha superato gli OPG, come disposto dalle leggi nazionali, ma non si è dotata di Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza con le quali superare poi nel concreto gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari.

Il punto di partenza per trovare la soluzione secondo Valentina Chinnici

Per risolvere il problema bisogna partire da qualcosa, ed abbiamo chiesto alla promotrice del gruppo interparlamentare presente all’incontro in Sala Mattarella, l’onorevole Valentina Chinnici, da cosa: “Si parte innanzitutto dal dialogo fitto, serrato, e dall’ascolto intelligente e proattivo di tutte le parti; quindi prima di tutto, sicuramente, i pazienti psichici autori di reato li abbiamo ascoltati anche questa sera in questo convegno ed è stato uno dei valori aggiunti”. Valentina Chinnici sostiene infatti che “ascoltare la viva voce di chi ha vissuto e vive un calvario, e però ha trovato e trova in alcuni casi delle mani che lo fanno uscire dalla propria sconfitta, e poi l’ascolto ed il dialogo costante, non estemporaneo o emotivo, fra appunto i giudici di sorveglianza – e la magistratura in generale – e la sanità e la politica” sono il percorso per la soluzione.

Lo stigma che preclude il reinserimento sociale

“Questo triangolo tra giudici, medici e politici deve funzionare – aggiunge la deputata del Parlamento siciliano – perché la politica deve ascoltare chi ne sa di più, chi porta avanti le istanze corrette, e deve riuscire a tradurre tutto questo in atti governativi ed atti legislativi; perché comunque ci sono leggi che vanno in qualche modo migliorate perché non vengono a volte applicate bene, perché fraintese se vogliamo”. Valentina Chinnici sostiene infatti con forza la necessità di superare lo stigma nei confronti del disabile psichico discriminato e quindi impossibilitato al reinserimento lavorativo e così nella società. “Gli intergruppi, come diceva il giudice Alecci, possono essere pure lettera morta – conclude Valentina Chinnici sul merito dell’intergruppo parlamentare di avere avviato un proficuo dialogo – o peggio, se hanno nel caso della politica soltanto fini biechi di consenso; a noi preme portare avanti delle politiche sensate e riuscire a dare dignità piena a queste persone, perché non c’é un ‘noi’ e ‘loro’: la sofferenza psichica può riguardare chiunque di noi ed in qualunque momento della nostra vita”.