Autosufficienza nella gestione dei rifiuti, l’insegnamento del caso energia - QdS

Autosufficienza nella gestione dei rifiuti, l’insegnamento del caso energia

Autosufficienza nella gestione dei rifiuti, l’insegnamento del caso energia

giovedì 03 Marzo 2022

In queste settimane è chiaro a tutti cosa significa non essere autosufficienti in campo energetico

di Chicco Testa
Presidente Fise Assoambiente

In queste settimane è chiaro a tutti cosa significa non essere autosufficienti in campo energetico. Variazioni improvvise di prezzo, instabilità dei mercati, rischio di black out, ripercussioni importanti su cittadini ed imprese, bassa capacità di negoziare. Il caso energia è semplicissimo da spiegare: abbiamo scelto (la classe politica, ma anche i cittadini) di importare gas ed energia elettrica da altri paesi, perché non abbiamo voluto affrontare i problemi di consenso legati alla produzione locale di energia e di fonti energetiche. Tutto qui.

Più comodo politicamente ed elettoralmente comprare gas dalla Russia (ma anche da Libia ed Algeria) ed energia elettrica dalla Francia, piuttosto che trivellare l’Adriatico e lo Ionio, costruire rigassificatori sulle nostre coste e gasdotti, fare centrali nucleari. Una scelta apparentemente conveniente nel breve periodo ma strutturalmente disastrosa alla lunga, come stiamo purtroppo verificando in questi giorni. Oggi paghiamo i costi del “non fare” degli ultimi 20 anni in campo energetico.

Nel settore di rifiuti succede e potrebbe succedere ancora di più la stessa cosa. Meglio esportare fuori regione o fuori Italia i rifiuti (urbani e speciali) che produciamo piuttosto che affrontare la “fatica politica” di realizzare impianti nei territori: digestori anaerobici, compostaggi, piattaforme di riciclo, inceneritori, gassificatori, discariche.

In questi ultimi anni si è consolidata una classe dirigente ed una opinione pubblica locale e regionale che ha “teorizzato”, nel settore dei rifiuti, la scelta di “non fare impianti”. Una scelta irresponsabile venduta come “sostenibile” proprio con gli stessi argomenti usati dai no triv, no tap e no nuke. Ne possiamo fare a meno e sono inquinanti. Tutte balle. La tecnica comunicativa utilizzata è la stessa. Esportare rifiuti ha lo stesso effetto di importare energia. Sposta il problema altrove, ci illude che il problema non esista. Scegliamo il consenso a breve e speriamo che non succeda nulla. Poi la realtà si impone e la finzione svanisce.

Nel settore rifiuti si sono utilizzate diverse tecniche di falsificazione della realtà. I rifiuti non esistono e tutto si ricicla magicamente (rifiuti zero), ci pensa l’economia circolare (le imprese si portano via tutti i rifiuti perché sarà un business), fino alla più sofisticata strategia del cambio di nome: i rifiuti urbani li trasformiamo in rifiuti speciali in magici impianti e poi ci penserà il mercato (ovvero l’export). Senza dirlo troppo a voce alta.

L’insegnamento della crisi energetica mi auguro illumini decisori politici ed opinione pubblica sul tema rifiuti nei prossimi tempi. Non fare impianti significa soltanto esportare i rifiuti e, finché sarà possibile, usare in modo esagerato la discarica. Prima o poi la realtà si imporrà ed i territori ne subiranno le conseguenze: emergenza rifiuti, costi alle stelle, inquinamento, bassa competitività. Già oggi è cosi in molte zone del Paese. Molte regioni e grandi città esportano i propri rifiuti organici in altre regioni perché non hanno impianti, ed esportano in altre regioni rifiuti indifferenziati o trattati nei famosi impianti di Trattamento Meccanico Biologico (TMB) di cui l’Italia è piena. L’Italia esporta rifiuti urbani e speciali all’estero, anche in paesi “a rischio” e la quota di export cresce di anno in anno. La quota di discarica è ancora molto elevata.

Anche nei rifiuti oggi paghiamo i costi del “non fare” e continueremo a pagarli se non cambiamo rotta. Occorre realizzare rapidamente impianti, sia di riciclaggio (digestori anaerobici, piattaforme) che impianti di chiusura del ciclo (inceneritori, impianti di riciclo chimico e produzione di biocombustibili, discariche). Un programma di ammodernamento infrastrutturale che renderebbe l’Italia autosufficiente a partire dalle singole regioni o macroaree, specie dal Sud.

Fare tutti gli impianti necessari per rifiuti urbani e speciali renderebbe il settore sicuro, garantirebbe prezzi e tariffe stabili, ridurrebbe le emissioni inquinanti ed i gas serra legate al trasporto e ad un eccesso di discarica, renderebbe più difficile l’infiltrazione di organizzazioni criminali nelle filiere dei rifiuti. Lo dicono i procuratori antimafia: la mancanza di impianti e catene lunghe di intermediazioni legate alla mancanza di impianti di prossimità, sono i principali terreni di coltura delle ecomafie. Impariamo qualcosa dalla drammatica attuale esperienza della crisi energetica. I costi del non fare prima o poi si pagano.

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