Socialmente pericolosi. È questo il punto da cui i giudici della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Messina sono partiti per valutare – e poi accogliere – la richiesta della procura peloritana di sequestrare i beni di Andrea Lo Castro e Francesco Bagnato.
I due, rispettivamente di 62 e 63 anni, sono avvocati. Anche se nel caso del primo va usato il passato prossimo: Lo Castro, infatti, non figura più iscritto all’ordine professionale. A pesare nella decisione del tribunale sono stati i precedenti penali e i carichi pendenti dei due professionisti, coinvolti in più di un’indagine, con tanto di rapporti – nel caso di Lo Castro – con Cosa Nostra.
Le parole del pentito
Biagio Grasso è un nome che ha contribuito a scrivere un capitolo della storia giudiziaria di Messina degli ultimi anni. Di professione geometra, Grasso è diventato collaboratore di giustizia nella seconda metà dello scorso decennio iniziando a rivelare ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia gli interessi della criminalità organizzata.
I verbali di Grasso hanno contribuito a chiudere l’inchiesta Beta, che ha visto tra i condannati proprio l’avvocato Andrea Lo Castro, per i reati di concorso esterno in associazione mafiosa e reimpiego di capitali illeciti accumulati da Cosa Nostra. In particolar modo dalla frangia che fa capo alla famiglia Romeo, articolazione che a Messina rappresenta la famiglia catanese dei Santapaola-Ercolano.
I giudici hanno visto in Lo Castro la figura del consigliori, di colui – si legge nel decreto di sequestro – che “ha assicurato un’assistenza tecnico legale concretizzatasi nel suggerimento di sistemi e modalità di lesione fraudolenta della legge, oltre ad avere partecipato direttamente alla commissione di taluni reati”.
A riguardo il collaboratore di giustizia ha dichiarato: “Dal 2001 in poi si forma un vero e proprio direttorio su quello che saranno le attività, come svilupparle e come ragionarle: cioè io, Vincenzo Romeo, Carlo Borella e Andrea Lo Castro. Il rapporto va oltre la consulenza giuridica e la consulenza legale, lui era il nostro avvocato ma allo stesso tempo nelle attività era nostro socio”.
Dal canto proprio i giudici hanno affermato che “Lo Castro ha dato prova di una spiccatissima e allarmante vocazione delinquenziale ponendo la sua professionalità al servizio di una temibile congrega di tipo mafioso”.
L’inchiesta Default
A carico di Lo Castro ci sono altre accuse. Il professionista è attualmente imputato a Messina nel processo Default, con l’accusa di essere vertice di un’associazione a delinquere dedita a distrarre i patrimoni aziendali di società indebitate, eludendo così le pretese del Fisco e degli altri creditori.
Lo Castro deve rispondere di bancarotta fraudolenta anche in un procedimento penale incardinato al tribunale di Milano.
A essere coinvolto nell’indagine Default è stato anche l’avvocato Bagnato, collega di studio di Lo Castro. Un decennio fa, invece, Bagnato – originario della provincia di Catanzaro – è stato condannato definitivamente a tre anni e quattro mesi di reclusione per il reato di estorsione in concorso, mentre è stato prescritto per il reato di tentata turbata libertà degli incanti. In entrambi i casi le vicende esaminate dai giudici risalivano all’inizio degli anni Duemila.
“Tanto la condanna per i fatti di estorsione quanto il suo coinvolgimento insieme a Lo Castro nel procedimento penale Default – hanno scritto i giudici della sezione Misure di prevenzione – valgono a ritenerlo socialmente pericoloso, trattandosi di un soggetto che sulla base di elementi di fatto vive abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose”.
Tra i beni sequestrati dalla guardia di finanza ci sono numerosi immobili, alcuni dei quali in Toscana, e partecipazioni in società.

