L'azienda come "bene comune" - QdS

L’azienda come “bene comune”

L’azienda come “bene comune”

mercoledì 20 Luglio 2022

Sapevo che la nuova generazione non sarebbe riuscita ad affrontare con successo i cambiamenti radicali

Mercoledì scorso vi ho raccontato la storia di un mio cliente, un industriale di successo, il quale un giorno mi chiese se ero disposto a entrare nel consiglio di amministrazione del loro gruppo. Io accettai di buon grado. Il consiglio era composto da lui che era il leader, l’altro fratello altrettanto in gamba che si interessava più delle fabbriche. Poi c’erano due giovanotti alle prime armi, cugini e figli dei due leader, molto molto giovani, molto timidi e un po’ spaventati da questi due guru.

Dopo pochi incontri, mi sono reso conto che i due giovani erano in gamba ma soverchiati dalla personalità dei due forti fratelli. Dopo circa un anno il cliente mi disse: “Professore io l’avevo invitata a partecipare al nostro consiglio per avere una spalla che mi aiutasse sia nei confronti di mio fratello sia nei confronti della nuova generazione. Forse non se ne sarà accorto, ma in un anno non mi ha mai dato ragione una volta”.

Questa storia mi serve per illustrare un primo concetto: per aiutare a far emergere una società di persone per persone bisogna avere la spina dorsale molto dritta. Perché ti trovi in mezzo a pressioni, a persone a cui vuoi bene, ma devi avere la tua linea e difenderla a prescindere se fai un piacere a uno o a un altro. Quindi bisogna essere veramente indipendenti, al servizio esclusivo dell’impresa e della sua continuità.

Questo si lega a un altro episodio di grande soddisfazione. Voi sapete che un consigliere indipendente in società quotata in Borsa, secondo i regolamenti della Consob, dopo un certo numero di anni non può più definirsi indipendente. Quando ero consigliere in Recordati, guidata da Arrigo Recordati, arrivato al terzo incarico gli uffici legali avevano avvisato che avevo passato il numero di anni oltre i quali non si può più essere definiti consiglieri indipendenti. Il board allora inviò alla Consob una delibera che diceva più o meno: i nostri regolamenti osservano tutte le vostre regole, meno una. Il professor Vitale ha superato i limiti indicati ma siccome non conosciamo uno più indipendente di lui, noi lo riconfermiamo. Lo hanno fatto per due volte e per me è stata una grande gioia. Questo è possibile quando tu hai forza e credibilità e sanno che sei veramente indipendente.

La seconda storia è quella di un’impresa, anch’essa diretta benissimo per quarant’anni da due fratelli. Una società che ha conseguito risultati strepitosi per trent’anni. Io sono stato con loro per quarant’anni. Nel frattempo il fratello più forte è morto e l’altro era molto stanco. Sarebbe stato il momento di realizzare un passaggio generazionale. Ma io sapevo che la nuova generazione non sarebbe riuscita ad affrontare con successo i cambiamenti radicali che stava attraversando il loro settore. La mia convinzione profonda scaturiva dal fatto che la nuova generazione non aveva lo stesso rispetto profondo per l’azienda come l’avevano avuta i due fratelli, loro genitori.

Questo è proprio il punto. Se non c’è nell’intimo, nella preparazione personale, il concetto che l’azienda è un bene comune, di proprietà della famiglia ma che va rispettato da tutti compresa la tua famiglia, non c’è niente da fare. Se non c’è l’interiorizzazione di questo principio quella generazione porterà l’azienda in cattive acque. Anche questa storia l’ho vista ripetuta varie volte. Allora mi dimisi augurando alla nuova generazione buona fortuna.

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