“Condizione di disumano sfruttamento, nonostante lo stato di bisogno e le precarie condizioni economiche”. Per quanto lontana dai campi, quella che per anni si è registrata nel centro abitato di Barcellona Pozzo di Gotto è una storia di vero e proprio caporalato.
Ne è convinto il giudice per le indagini preliminari Giuseppe Caristia, ordinando l’arresto di Maurizio Marchetta – professionista con un passato da protagonista nella politica di destra – e Salvatore Biondo.
I due, collocati entrambi ai domiciliari, sono accusati di sfruttamento del lavoro nella gestione del rifornimento di benzina in viale Sicilia. L’attività è di proprietà della Sikelia Oil, società di cui Marchetta è titolare del 25 per cento delle quote. L’uomo è ritenuto dagli inquirenti anche l’amministratore di fatto della ditta. Il ruolo di Biondo, la cui moglie detiene parte delle quote, è quello del braccio operativo di Marchetta. A consentire alla guardia di finanza di fare luce su ciò che avveniva tra le pompe di benzina sono state anche le testimonianze di chi, perso il lavoro, ha deciso di denunciare.
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La minaccia del self-service
“Se vi piace, è cosi. Se non vi piace, siete liberi di andarvene”. Sarebbe stata questa una delle tante frasi che i lavoratori meno propensi ad accettare di lavorare senza un adeguato riconoscimento economico si sentivano rivolgere dai due indagati. Gli inquirenti hanno ricostruito le pressioni che Marchetta e Biondo avrebbero esercitato sul personale. Sono nove i lavoratori che sarebbero stati sfruttati a partire dal 2021.
Pena la minaccia del licenziamento, i dipendenti sarebbero stati spinti ad accettare paghe ridotte rispetto a quanto previsto dai contratti collettivi nazionali e a lavorare un numero di ore superiore. Nello specifico, i militari, grazie anche all’installazione di telecamere nascoste, hanno accertato che a fronte di sei ore e quaranta minuti dichiarate in busta paga, agli operai venivano chiesti turni da otto ore.
“Non corrispondevano a nessuno dei lavoratori – si legge nel capo d’accusa – le maggiorazioni previste per il lavoro straordinario diurno e notturno, nonostante ciascun dipendente fosse ivi impiegato per più di 45 ore settimanali. Non corrispondevano le maggiorazioni retributive per il lavoro nei giorni festivi, al contempo, alterando i dati contenuti in busta paga. Non corrispondevano alcuni degli emolumenti dovuti e, in particolare, la tredicesima e la quattordicesima mensilità, ovvero, dopo averle regolarmente erogate, ne chiedevano la parziale o integrale restituzione in contanti”.
In qualche circostanza, quando qualcuno provava a chiedere rispetto si sentiva rispondere che non c’erano alternative. Biondo, in particolare, avrebbe ricordato agli operai che poteva sempre licenziarli e sostituirli con la formula self service. Un lavoratore passato dalla Sikelia Oil ha raccontato di avere subito una decurtazione di 50 euro dallo stipendio, dopo essere stato rimproverato per essere andato in bagno durante il turno di lavoro. Nel corso delle indagini è emerso che tanto Marchetta quanto Biondo avrebbero cercato di carpire quali domande l’autorità giudiziaria avesse posto ai dipendenti convocati in caserma e, inoltre, cercato di persuadere il personale a dare risposte utili alla difesa del loro operato.
Le ombre su Marchetta
Architetto con un passato da vicepresidente del consiglio comunale a Barcellona Pozzo di Gotto, nella biografia di Maurizio Marchetta c’è anche un capitolo riguardante lo status di testimone di giustizia.
Il professionista, infatti, ha raccontato di essere stato costretto – nelle vesti di imprenditore dell’azienda di costruzioni Cogemar – a pagare il pizzo a Cosa Nostra, indicando tra gli esattori anche Carmelo Bisognano e Carmelo D’Amico, da anni divenuti collaboratori di giustizia.
Le parole di Marchetta sono finite al centro del processo Sistema ma non sono state ritenute pienamente attendibili. Al punto che prima la Corte d’appello e poi la Cassazione, quest’ultima lo scorso febbraio, hanno assolto Bisognano e D’Amico. A lanciare ombre sull’imprenditore era stato Bisognano, che in aula aveva detto di non aver mai chiesto soldi a Marchetta, in quanto ritenuto vicino al boss barcellonese Salvatore “Sam” Di Salvo.

