Il blitz contro le cosche a Catania e Messina, le vittime frenavano le indagini: “Informavano i clan” - QdS
26 Marzo 2025

Il blitz contro le cosche a Catania e Messina, le vittime frenavano le indagini: “Informavano i clan”

Il blitz contro le cosche a Catania e Messina, le vittime frenavano le indagini: “Informavano i clan”

Simone Olivelli  |
venerdì 14 Marzo 2025

La cosca, che a Catania fa capo al clan Cappello, nonostante gli arresti degli ultimi anni – come nel caso del blitz Isolabella – è riuscita a riorganizzarsi

“Certo che lo conosco, giocavamo insieme e, se ci vediamo, ci facciamo una festa”. Suona più o meno così una delle tante frasi messe a verbale dalla guardia di finanza nel corso delle indagini sugli affari del clan Cintorino.

La cosca, che a Catania fa capo al clan Cappello, nonostante gli arresti degli ultimi anni – come nel caso del blitz Isolabella – è riuscita a riorganizzarsi, continuando a controllare i territori a cavallo tra le province di Catania e Messina.

Gli affari

Droga, estorsioni, risoluzione delle diatribe, gli affari dei Cintorino spaziano nei settori tradizionali in cui si affermano le mafie.

Dalle indagini condotte dalla Procura peloritana e da quella etnea, emerge però pure un altro dato: il clan riceveva anche l’indiretta collaborazione delle stesse vittime, che non solo non hanno dato il proprio contributo alle indagini ma in, alcuni casi, hanno anche informato gli indagati dell’interessamento delle forze dell’ordine.

Storie del genere non è la prima volta che finiscono nelle inchieste giudiziarie sulla mafia e dimostrano come la criminalità organizzata, ancora oggi, non sia soltanto capace di intimorire ma abbia, in alcune fasce della popolazione, un riconoscimento superiore a quello delle istituzioni.

Depistaggi

“Numerosi sono gli episodi estorsivi emersi nel corso delle attività nel periodo successivo all’operazione Isolabella, rispetto ai quali permane una diffusa omertà delle vittime”. La giudice per le indagini preliminari del tribunale di Catania, Simona Ragazzi, fotografa così il comportamento tenuto da coloro che nel 2021 erano stati avvicinati dagli esponenti dei Cintorino e spinti a pagare il pizzo. La scelta di non denunciare gli estorsori può essere determinata dal timore di subire ritorsioni, ma anche – ed è ciò che si ricava leggendo le centinaia di pagine in cui sono raccolte le accuse contro la cosca – da una forma di convenienza. Non sono pochi i casi in cui persone comuni hanno preferito rivolgersi al clan, e non alle forze dell’ordine, per vedere riconosciute le proprie ragioni. Tra queste, la richiesta del proprietario di un terreno di allontanare un cacciatore che, senza permesso, era solito sconfinare nella sua proprietà. “Mi ha mandato a dire Mario che devi finirla”, è il messaggio che Mariano Spinella, 65enne ritenuto dagli inquirenti al vertice della cosca, suggerisce di far arrivare al cacciatore.

“Preme evidenziare – scrive la gip catanese – che, pur essendo emerse attività estorsive in danno di numerose vittime, solo per alcune è stato possibile individuarne gli autori, proprio in ragione dell’omertà”.

Le minacce

Tra le vicende da cui maggiormente emerge la riluttanza ad ammettere di essere taglieggiati dal clan c’è quella che vede protagonista il titolare di una bottega di Graniti. A gennaio del 2021, l’uomo è tra i commercianti davanti ai cui negozi vengono ritrovate bottigliette contenenti benzina. Un segnale inequivocabile.

Passa qualche settimana e si passa agli incontri faccia a faccia. Due esponenti del clan provano a far visita alla bottega, ma non trovando il titolare decidono di contattarlo al telefono e fissare un appuntamento in un bar. “Ci cerchiamo a Pasqua? Dove me li vuoi portare?”. A parlare è Alessandro Galasso, 47enne anche lui considerato un esponente dei Cintorino.

Le intercettazioni

Galasso non sa di essere ascoltato dagli inquirenti, i quali, avendo chiaro ciò che era accaduto, decidono di convocare il titolare della bottega – e con lui gli altri destinatari delle bottigliette incendiarie – per saperne di più. La procura ottiene dal giudice anche di mettere sotto intercettazione le auto delle vittime, per capire come si comporteranno dopo essere usciti dagli uffici della polizia giudiziaria.

La scelta si rivela oculata. “Nel corso dell’esame veniva posto in visione un album fotografico raffigurante le foto dei seguenti soggetti: Mariano Spinella, Pietro Galasso, Alessandro Galassoo, Christopher Filippo Cintorino – si legge nell’ordinanza –. (La vittima) riconosceva i soggetti della foto 1 e delle foto 6 e 7 come persone che avevano frequentato il Pub estivo da lui gestito; mentre dichiarava di non conoscere le persone raffigurate nelle foto 2, 3, 4 e 5, ovvero Pietro Galasso e Alessandro Galasso. Tali dichiarazioni contrastano con quanto emerso dalle attività tecniche”.

Ma accade anche di più: emergeva che dopo che la vittima era stata ascoltata dalla polizia giudiziaria, le informazioni sull’esistenza delle indagini erano finite all’orecchio di Mariano Spinella e dei suoi soci. A dissipare i dubbi sull’origine della fuga di notizie, è stata poi lo stesso commerciante che successivamente fa sapere di avere anche contattato le altre vittime per sapere come avevano risposto alle domande degli investigatori. Tra le risposte date, c’è quella in cui uno degli esponenti di vertice dell’associazione mafiosa viene definito un vecchio conoscente, con cui un tempo si giocava insieme e che ancora oggi si saluta con piacere.

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