Luoghi per le rinnovabili… E dove trovarli. Nella corsa alla costruzione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili le aziende si muovono senza linee guida. Senza sapere dove poter costruire gli impianti.
Attualmente, infatti, non sono stati ancora individuati né i luoghi non idonei alla costruzione delle fer (ad esclusione dell’eolico) né quelli idonei. La responsabilità è sia della Regione, che dal 2010 a seguito di un decreto ministeriale del Mise avrebbe dovuto individuare le aree non idonee alla connessione degli impianti Fer, che del ministero della Transizione ecologica, che da novembre dovrebbe emanare le linee guida per l’individuazione delle aree idonee. La conseguenza di questi buchi normativi è il rallentamento della corsa alle rinnovabili. Rallentamento non accettabile sia dal punto di vista ambientale, sia da quello economico.
Come ci ha confermato una fonte autorevole del dipartimento dell’Energia della Regione, infatti, non riusciremo a raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 al 2030. Inoltre, l’indipendenza energetica sarà sempre più lontana e i cittadini saranno costretti a pagare una bolletta più salata a causa dei rincari dovuti all’importazione dell’energia e alle dinamiche geopolitiche connesse. Rincari che si cominciano a vedere anche nella posta delle famiglie siciliane che si stanno vedendo recapitare i primi avvisi di cambio unilaterale dei contratti con aumenti di 323,8 euro ogni 3.200 chilowattora consumati. Un salasso che la Cgia di Mestre stima in 1,7 miliardi. LA CORSA ALLE RINNOVABILI E IL FUTURO ENERGETICO DELLA SICILIA. CONTINUA LA LETTURA
La corsa alle rinnovabili, anche se zoppa, è una realtà che solamente in Sicilia genererà, secondo le stime della Svimez, circa nove miliardi di euro e 19.325 posti di lavoro da qui al 2030. Investimenti che andranno a far crescere un settore che attualmente nell’Isola, secondo i dati della Regione riferiti a fine 2020, è in grado di produrre già 3,3 mila megawatt contando su 59.813 impianti fotovoltaici, su 890 impianti eolici e su 30 impianti idroelettrici. Ma il futuro è già tracciato, almeno sulla carta.
Secondo il piano energetico della Regione entro il 2030 si potranno produrre solamente con gli impianti fotovoltaici ed eolici 7 mila megawatt. Obiettivo spalleggiato dalle proposte attualmente depositate in commissione regionale Via/Vas dove, secondo il dirigente della Regione siciliana Domenico Santacolomba, “sono in corso di autorizzazione impianti per 9mila megawatt tra eolico e fotovoltaico”. Ma la realtà, come spesso accade, è ben diversa. Come attesta il piano energetico della Regione, infatti, dal 2018 al 2021 non ci sono stati grandi quantitativi di impianti connessi. “La crescita degli impianti eolici e fotovoltaici – ha dichiarato al QdS Domenico Santacolomba – in Sicilia dal 2018 è tendenzialmente pari a zero”.
Una situazione dovuta principalmente ai tempi troppo lunghi della burocrazia (in media in Sicilia servono 2-3 anni per ottenere la sola autorizzazione) e ai tempi necessari per la costruzione e la connessione. “Diversi progetti verranno autorizzati ma non connessi – spiega Santacolomba – perché molti imprenditori aspettano di entrare nelle aste e nei registri del decreto Fer per ottenere l’aiuto previsto dal Gse in termini di integrazione per la produzione. Abbiamo fatto un’elaborazione e non raggiungeremo l’obiettivo che era previsto per il 2020 per la Regione siciliana”.
Un recente rapporto di Legambiente (Scacco alle rinnovabili) individua nelle amministrazioni locali, nei comitati Nimby (non nel mio giardino) e Nimto (non nel mio mandato), l’ostacolo principale allo sviluppo dell’energia pulita. “A metterle sotto scacco matto – dichiara l’associazione del cigno – sono normative obsolete, la lentezza nel rilascio delle autorizzazioni, la discrezionalità nelle procedure di Valutazione di impatto ambientale, blocchi da parte delle sovrintendenze, norme regionali disomogenee a cui si aggiungono contenziosi tra istituzioni”.
In questo rapporto, Legambiente raccoglie 20 storie simbolo di un sistema che tende a bloccare la produzione di energia da fonti rinnovabili. Ben tre di queste storie sono ambientate in Sicilia. “L’impianto eolico galleggiante nel Canale di Sicilia, presentato da Renexia, – si legge nel rapporto – costituisce il progetto di parco eolico off-shore flottante più grande d’Europa. 190 turbine eoliche da 14,7 MW, per una potenza complessiva di 2,8 GW”, che “produrranno annualmente 8,4 TWh di energia elettrica per 3 milioni e mezzo di famiglie. Un progetto ambizioso ed innovativo da realizzare in sette anni nel Canale di Sicilia, a largo delle coste trapanesi, e che porteranno 700 nuovi stabili posti di lavoro. Con un progetto di questo calibro non si sono fatte attendere le reazioni avverse a vario titolo e a vari livelli. Interrogazioni alla Commissione europea per chiedere come si intenda garantire la sostenibilità degli impianti eolici offshore; un’altra interrogazione, questa volta al Senato, che solleva dubbi sulla realizzazione del progetto e chiede lo sviluppo di impianti più piccoli e diffusi; pareri negativi riguardo l’impatto ambientale dell’opera arrivano dai sindaci di alcuni comuni del trapanese, tra cui quelli di Favignana e Trapani, che hanno sottoscritto un documento in cui si dichiarano contrari al progetto; comitati nimby nati sul territorio; in ultimo, ma non per importanza, le opposizioni da parte dei rappresentanti del settore ittico che esprimono preoccupazione circa gli impatti che stimano che l’impianto avra? sulla pesca”. I VUOTI NORMATIVI E L’ITER FARRAGINOSO PER LE AUTORIZZAZIONI AGLI IMPIANTI. CONTINUA LA LETTURA
A rendere ancora più lungo e farraginoso l’iter di autorizzazione per questa tipologia di impianti sono i vuoti normativi. Da ben 12 anni la Regione deve individuare i luoghi non idonei per la costruzione degli impianti Fer. Cosa che ha fatto solo per quanto riguarda gli impianti eolici con decreto del presidente della Regione del 2017. Per tutte le altre tipologie di impianti (fotovoltaico, idroelettrico, geotermico, biomasse e biogas) non è stato ancora individuato nulla. Una situazione che secondo il presidente della commissione regionale Via/Vas ha complicato la maggior parte degli iter autorizzativi. Non è d’accordo il dipartimento dell’Energia.
“La non individuazione dei luoghi non idonei – ha dichiarato al QdS una fonte molto vicina al dirigente generale del dipartimento – non ha ingolfato la commissione regionale Via/Vas. Le aree non idonee sono quelle che sono già vincolate per legge e che hanno una serie di limitazioni. La cosa importante sarà quella di avere le aree idonee per dare un’accelerazione delle procedure e far sì che gli interessati vadano su quelle aree”.
Ma anche su questo fronte le aziende sono ancora al buio. E si muovono senza linee guida. Il piano energetico regionale, che ha superato la Vas ad agosto e che il dipartimento ha licenziato a novembre scorso, ha dentro tutti gli elementi per individuare queste aree e le elenca. Sono sostanzialmente: le vecchie aree minerarie, le cave dismesse, le discariche esaurite (chiaramente con la dovuta attenzione rispetto alle problematiche di contaminazione) e tutte le aree industriali già bonificate. Tuttavia, il Pears è ancora in attesa di approvazione da parte della Giunta Musumeci. Cosa che non rende ufficiale questi luoghi idonei.
Paradosso nel paradosso, anche se il Pears venisse approvato con una delibera di Giunta, i luoghi idonei rimarrebbero ufficiosi e non ufficiali. Questo perché le aree idonee definitivamente sancite potranno essere messe a punto solo dopo che usciranno le linee guida ministeriali che sono ancora in corso di predisposizione. Dopo l’uscita di queste linee guida le regioni hanno un certo numero di mesi per metterle a punto e poi dovranno essere approvate con legge regionale.
Un processo che si annuncia molto complesso e lungo e che lascerà agire in una zona d’ombra le aziende interessate ad entrare in un mercato che vale 9 miliardi, consentendogli di presentare progetti in aree protette (come denunciato dal presidente della commissione regionale Via/Vas, Aurelio Angelini) che puntualmente verranno sbarrati e sovraccaricheranno tutta la macchina burocratica.
Un passo in avanti nell’individuazione dei siti idonei e non idonei per la costruzione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, come detto, avverrà sicuramente con l’approvazione del Pears da parte della Giunta Musumeci. Infatti, con l’approvazione di questo documento, oltre ad essere indicati, anche se non ufficialmente, i luoghi idonei, dovrebbero essere indicati, stando a quanto fanno sapere dal dipartimento dell’Energia, anche le aree non disponibili ad ospitare impianti fotovoltaici. Per tutte le altre tipologie di impianti nulla è previsto in quanto, affermano dal Dipartimento, vengono già analizzati durante la procedura di Via. ANCHE LE BIOENERGIE VITTIME DELLA BUROCRAZIA. CONTINUA LA LETTURA
Gabriele D’Amico
Poco meno di un quinto della produzione di rinnovabili in Italia (17% circa), nel corso del 2019, è derivata dalle bioenergie, cioè quel vasto comparto che comprende gli impianti alimentati da biomasse solide (rifiuti urbani e altre biomasse), da biogas (rifiuti, fanghi, deiezioni animali, attività agricole e forestali) e da bioliquidi (oli vegetali grezzi e altri). La distribuzione nazionale di questi impianti – determinanti perché consentono di ricavare energie da materiale di scarto – è in crescita, con tendenze variabili, dal 2005. Secondo il Gse, tra il 2005 e il 2019, la potenza installata degli “impianti a biomasse è aumentata con un tasso medio annuo del 10%”, tuttavia “dopo la crescita continua e sostenuta che proseguiva dal 2008, dal 2014 si è verificato un rallentamento, con incrementi annuali piuttosto contenuti sia del numero sia della potenza degli impianti”.
Tra il 2018 e il 2019, la Sicilia ha fatto registrare una modesta crescita – tre nuovi impianti, passata da 42 a 45 per una potenza di 73,4 MW – ma resta ancora indietro nel meridione (metà impianti della Campania) e dalle migliori: sette volte in meno quelli di Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna (tutte abbondantemente sopra i 300) e 16 volte in meno della Lombardia che ne ha 748. Anche la produzione ne risente: in Sicilia appena 240 GWh su 19.562 nazionali, cioè appena l’1,2% del totale. Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Toscana valgono circa il 60% della produzione nazionale.
Un peso che potrebbe avere un suo ruolo anche negli equilibri energetici di lungo periodo. Nel rapporto del Gestore dei Servizi Energetici sul monitoraggio dei target nazionali e regionali (burden sharing), cioè la ripartizione degli obiettivi energetici nazionali in sotto-obiettivi energetici regionali, a livello nazionale, nel 2019, la quota dei “consumi finali lordi di energia coperta da fonti rinnovabili (ovvero il rapporto tra i CFL da FER – settore Trasporti escluso – e i CFL complessivi), pari al 17,1%, risulta superiore – in termini assoluti – di circa 0,3 punti percentuali rispetto a quello dell’anno precedente e di quasi 3 punti percentuali rispetto alla previsione del D.M. burden sharing al 2020 (14,3%)”. A controllare però i vari target regionali, si scopre, ad esempio, che, a fronte di alcune regioni con diversi punti percentuali in avanti rispetto all’obiettivo – il Veneto è a quota 16,6%, con previsione del 10,3% – la Sicilia, con 12,8% nel 2019 è invece ancora indietro rispetto agli obiettivi del 2018 (13,1%) e del 2020 (15,9%).
A congelare molti progetti ci sono opposizioni delle comunità locali – anche con motivazioni ragionevoli – e normative che non semplificano il processo decisionale, arrivando spesso ad armare l’uno contro l’altro lo sviluppo delle rinnovabili e il rispetto del paesaggio, due declinazioni dell’ambientalismo che ultimamente non sembrano procedere sempre di pari passo. Tra i casi siciliani più evidenti, segnalati da Legambiente nel report “Scacco matto alle rinnovabili”, ci sono appunto due impianti bioenergetici: il biometano di San Filippo del Mela e il biogas di Pozzallo. Su quest’ultimo, del quale abbiamo approfondito la storia nell’edizione di sabato scorso, si attende a giorni una sentenza del Tar sull’esito del ricorso presentato da alcuni privati in seguito all’autorizzazione alla costruzione.
Rosario Battiato