BTP, aumenta l’offerta diminuisce la domanda - QdS

BTP, aumenta l’offerta diminuisce la domanda

Carlo Alberto Tregua

BTP, aumenta l’offerta diminuisce la domanda

venerdì 02 Dicembre 2022

Crollo del prezzo, più interessi

Le scriteriate sanzioni alla Russia, conseguenti all’invasione del territorio ucraino – applicate secondo un disegno statunitense di indebolire l’economia del Vecchio Continente – sono state una concausa fondamentale dell’esplosione dell’inflazione che sta falcidiando i redditi dei/delle cittadini/e.
L’aumento dei prezzi dei consumi è sensibile, con la conseguenza che i/le cittadini/e a parità di cifra sborsata acquistano meno prodotti.

Si calcola che i percettori di reddito fisso perderanno all’incirca un mese di stipendio in termini effettivi, anche se nominalmente percepiranno gli stessi soldi.
Per quanto riguarda i pensionati, per i quali una legge del 2019 aveva previsto la rivalutazione al cento per cento dei relativi assegni, la Legge di bilancio 2023 ha ridimensionato tale rivalutazione, che sarà bassissima per le pensioni alte e un po’ più alta per quelle medio-basse.
L’inflazione, come si sa, è la tassa dei poveri e va combattuta con ogni mezzo per ricondurla al suo dato fisiologico, che è il due per cento.

La Banca centrale statunitense (Fed) e quella centrale europea (Bce) hanno adottato i classici strumenti di lotta all’inflazione e cioè l’aumento del tasso primario, che è arrivato ad oggi al 4 per cento negli Stati Uniti e al 2,25 in Europa.

C’è un altro strumento per controllare l’inflazione da parte degli istituti centrali e cioè quello di ridurre la liquidità in circolazione, precedentemente diffusa in modo abbondante per stimolare la crescita.
In Europa vi è stato ancora un altro strumento per stimolare la crescita e cioè l’acquisto di Titoli di Stato da parte della Banca Centrale, a fronte di un interesse pari a zero.

Il nostro Paese ha approfittato a mani larghe di questa possibilità, cosicché l’emissione di Titoli di Stato fino ad oggi è stato assorbito dalla Bce e per gli stessi il nostro Paese non sta pagando interessi.
Ma ora stanno arrivando i tempi duri, perché la stessa Bce ha comunicato che nel 2023 ridurrà sensibilmente l’acquisto di Titoli di Stato (BTP ed altri), e con molta probabilità cesserà del tutto tali acquisti, a cominciare da luglio del prossimo anno.

Se così dovesse verificarsi – ci auguriamo di no – sarebbero guai seri per il Governo italiano perché le scadenze dei Titoli di Stato arrivano puntuali ogni mese, ma il Governo non ha le risorse per pagare tali Titoli se non emettendone di nuovi.

Chi comprerebbe tali nuovi Titoli? Non più, dunque, la Bce, ma il Mercato mondiale. Però il Mercato chiede interessi adeguati al rischio. Cosicché il Governo italiano sarebbe costretto a pagare interessi del cinque, sei o sette per cento per piazzare i suoi Titoli, con un incremento del costo annuale degli stessi forse di una trentina di miliardi, che si addizionano agli attuali settantasette preventivati per il 2023.
Se questo scenario dovesse malauguratamente verificarsi, vi sarebbe un’ulteriore nota negativa che consiste nel crollo dei prezzi dei Titoli di Stato italiani attualmente in circolazione. Per esempio, un BTP scadente nel 2034, che oggi è quotato a 108 euro rispetto a 100 del valore nominale, con un interesse del cinque per cento, potrebbe rapidamente crollare sotto cento, perdendo dieci-quindici punti.

Immaginate il danno che avrebbero i possessori dei Titoli, fra cui le banche, che ne detengono in notevole quantità.
Non siamo abituati a rappresentare scenari catastrofici perché il nostro proverbiale ottimismo ci porta sempre a vedere il bicchiere mezzo pieno anziché mezzo vuoto. Ma essere ottimisti non significa non essere realisti, per cui risulta del tutto evidente che, quando aumenta l’offerta di Titoli di Stato sul mercato mondiale, aumentano corrispondentemente gli interessi se non si vuole fare crollare la domanda degli stessi Titoli.

Ridotta all’osso, la questione è semplice. Il Governo si trova di fronte al terribile dilemma se pagare sempre di più interessi sui propri Titoli oppure tagliare la spesa improduttiva, della quale non si parla più.
Infatti, lo Stato spenderà nel 2023 1.183 miliardi; con una seria revisione della spesa potrebbe risparmiarne sessanta o settanta da investire in attività produttive, opere pubbliche, riparazioni idrogeologiche e idrauliche del territorio, aprire i cantieri, fare aumentare l’occupazione e con essa il Pil. Oltre a una vera lotta all’evasione, dimenticando che gli evasori votano.

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