Bufale: cui prodest - QdS

Bufale: cui prodest

Bufale: cui prodest

mercoledì 22 Maggio 2019

“Cui prodest scelus, is fecit”, cioè: “colui al quale il crimine porta vantaggi, egli l’ha compiuto”. I latini erano molto chiari. Ai loro tempi, il linguaggio “politicamente corretto”, vale a dire ipocrita, non era stato ancora inventato, anche se la retorica non mancava di certo, soprattutto nei toni aulici degli illustri giuristi dell’epoca di Roma imperiale.

“Cui prodest, cui bono?” Si chiedevano Lucio Cassio o Marco Tullio Cicerone, “a chi giova, chi ne beneficia?” Mai, però, i due avrebbero potuto pensare che questa loro citazione potesse essere rivolta ai contemporanei produttori di “bufale”, che con la retorica c’entrano relativamente.
Il caseario riferimento, infatti, non riguarda certo il gustosissimo latticino campano prodotto, appunto, con latte di bufala, bensì quello squallido sistema messo in piedi da un vasto esercito di delinquenti al servizio della menzogna, del qualunquismo, della confusione e della destabilizzazione civile. A chi giova la “bufala”, dunque, chi ne beneficia? Giova a chi è a corto di argomenti logici e veritieri, giova a chi pesca nel torbido, a chi ha interesse a seminare zizzania e, nel caso specifico, a chi vuole incrinare ulteriormente il rapporto tra cittadini e istituzioni, come se già i fatti reali non fossero sufficienti. Perché è questo il punto. I fatti reali, spesso, non sono noti o sono di difficile comprensione, dunque, non suscitano reazioni significative; le “bufale”, invece, non parlano alla testa delle persone ma alla loro pancia, notoriamente più reattiva ma anche meno riflessiva. Le vittime delle “bufale”, poi, non sono affatto i loro protagonisti, come i più sprovveduti potrebbero pensare: non è la sorella della Boldrini, falsamente accusata di guidare centinaia di cooperative che speculano sugli immigrati, né Maria Elena Boschi, oggetto di un fotomontaggio osé, né qualche senatore protagonista di chissà quale eventuale schifezza.

No, le vittime sono le persone perbene, quelle che non hanno il tempo di verificare la veridicità dei fatti raccontati, perché devono lavorare per mantenere la famiglia: cittadini onesti ai quali la “bufala” sottrae la fiducia nella democrazia e con la fiducia gli sottrae la speranza di migliorare e la voglia di combattere. Ben venga il reato di “bufala”.

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