Ambiente

Cambiamento climatico, Sicilia sotto l’acqua e tornado con regolarità

Si celebra oggi la Giornata mondiale della Terra. Il cambiamento climatico è diventato centrale in tutte le agende politiche nel mondo intero.

La Sicilia e il Mediterraneo continuano ad essere nella morsa del clima. Se non si interviene il più velocemente possibile con le azioni di mitigazione delle emissioni di gas climalteranti e con le azioni di adattamento si potrebbe raggiungere effettivamente un punto di non ritorno.

Più eventi estremi, meno acqua disponibile

Dal punto di vista strettamente legato all’aumento delle temperature la situazione siciliana potrebbe far tirare un sospiro di sollievo. “La Sicilia, da questo rapporto, ne esce bene e male allo stesso tempo”, ha dichiarato il delegato all’emergenza climatica dell’Università di Catania, Christian Mulder. “Quello che c’è di brutto era già risaputo. Quello di bello, invece, riguarda l’aumento della temperatura media annua.

A Palermo e Catania – ha continuato – negli ultimi 30 anni si è registrato un aumento di un grado, mentre nelle città del nord si è arrivati anche a quattro gradi. Questo nonostante il picco di 48,8 gradi raggiunto Floridia l’anno scorso”.

Se da un lato l’aumento delle temperature medie annue potrebbe sembrare contenuto per la Sicilia, dall’altro aumenta seriamente il rischio di eventi estremi e di inondazioni causati dalle caratteristiche geografiche dell’Isola.

“Gli eventi estremi, le inondazioni in particolare, – ha spiegato Mulder – saranno sempre più imprevedibili e frequenti. Eventi come i tornado saranno di ordinaria amministrazione perché la Sicilia è la zona dove si scontra il fronte atmosferico africano con quello europeo: la zona atlantica composta da temperature invernali, il fronte africano da temperature elevate. In un periodo di caldo molto lungo aumenta l’evaporazione del mare, l’acqua si condensa nell’atmosfera e prima o poi viene giù con il fenomeno delle bombe d’acqua.

Inondazioni: le zone più a rischio

Secondo una mappatura effettuata dalla protezione civile nel 2014 e che recentemente è tornata alla ribalta in seguito ai drammatici eventi atmosferici di Catania e Siracusa, le zone a rischio di inondazione e alluvione in Sicilia sono più di settemila.

La provincia con il maggior numero di punti a rischio è Messina. Qui sono state individuate ben 2.057 zone pericolose, il 29% di tutta la regione. Segue il palermitano con 1.214 criticità che corrispondono al 17% regionale, poi Agrigento con 830 punti a rischio (12% del totale). Al quarto posto c’è Catania con 721 zone pericolose, il 10% dell’intera regione. Seguono Caltanissetta (700 nodi), Enna (627), Trapani (426), Siracusa (338), Ragusa (266).

Addio a interi tratti di costa

Tra le conseguenze nefaste dell’aumento delle temperature vi è quello dell’innalzamento del mare che per un’isola come la Sicilia significherà rinunciare a interi tratti di costa. Stando alle stime dell’Ingv, che nei mesi scorsi ha pubblicato un rapporto in collaborazione con le Università di Catania e Bari, entro il 2100 potrebbero sparire ben dieci chilometri di spiagge lungo la Sicilia Sud-orientale, dalla Piana etnea fino a Marzamemi.

Per esempio la costa di Siracusa, secondo le proiezioni, potrebbe essere invasa fino a un chilometro nell’entroterra rispetto all’attuale linea di riva. Nei casi peggiori, ovvero in assenza di una decisa riduzione di emissioni, si prefigura un innalzamento del livello marino pari a 1,12 metri entro il 2100, con la conseguente sommersione di 2,3 km quadrati di costa, coinvolgendo in modo sostanziale il porto aretuseo. 

Ma a subire i danni più importanti saranno le Saline del fiume Ciane, ad oggi tra le più famose riserve naturali della zona, destinate a scomparire del tutto. Sorte simile anche per Augusta e le sue aree industriali, dove le acque del mare nei prossimi ottant’anni potrebbero travolgere 0,6 km2 di territorio o addirittura 1,65 nel caso di alti livelli di inquinamento. Nel mirino, inoltre, anche l’area compresa tra i fiumi Simeto e San Leonardo, in provincia di Catania, e persino una delle zone più apprezzate dai turisti, ovvero la Riserva naturale di Vendicari, che nello scenario peggiore potrebbe perdere un terzo del proprio territorio.

Aumentano le emissioni ma non raggiunto ancora il punto di non ritorno

“C’è stato un aumento del 14% del gas serra – ha osservato Mulder – ma è anche vero che nel 2020, a causa del lockdown, c’è stata una drastica diminuzione delle emissioni. Purtroppo, c’è il problema tecnico che ci sono nazioni come l’India che si rifiutano, nonostante abbiano firmato l’Accordo di Parigi nel 2015, di mantenere fede alle loro promesse”. Tuttavia, il punto di non ritorno non è ancora stato raggiunto e c’è ancora un piccolo margine di tempo per intervenire”.

Guerra: incertezza pesa sul clima

“C’è ancora tanto che possiamo e dobbiamo fare per invertire a rotta – ha spiegato Mulder -. Il problema è che adesso ci sono tante altre variabili che dipendono da equilibri geo politici che possono implicare grandi problemi. Per esempio, la riapertura delle centrali a combustibili fossili italiane”.

Un problema che non riguarda direttamente la Sicilia, in quanto la riapertura interesserebbe maggiormente le zone del nord Italia, ma che metterebbe seriamente a rischio la corsa all’adattamento e al taglio delle emissioni.

Risoluzione della crisi passa dalle rinnovabili

Gli investimenti nelle energie green, però, al momento sembrano essere bloccati non solo dalla burocrazia ma anche da cittadini e istituzioni Nimby.

Iter estremamente lunghi e prese di posizione, insomma, potrebbero condannare la Sicilia non solo alla schiavitù energetica, ma anche a non contribuire alla lotta al cambiamento climatico. Situazione che rende sempre più difficile anche l’attuazione degli interventi di adattamento, ad oggi pressoché inesistenti in Sicilia. “Bisogna investire – ha concluso Mulder – quanto più possibile nelle rinnovabili. È questo anche uno dei motivi per cui è nato il Pnrr. Quindi la motivazione c’è e al momento ci sono anche le possibilità. Bisogna solo cogliere il momento giusto perché non sappiamo come si svilupperà la situazione nell’Est europeo”.

Intervista esclusiva a Piero Lionello

Anche il professore Piero Lionello, docente universitario che si è occupato di tradurre il rapporto dell’Ipcc per l’Italia è intervenuto sul tema cambiamento climatico.

“Il Mediterraneo è una delle zone più critiche quando si parla di cambiamento climatico. L’aumento delle temperature e l’innalzamento del mare, in questa zona, sono più elevati rispetto agli stessi fenomeni visti su scala globale. Questo perché il mar Mediterraneo è un vero e proprio “hotspot” del climate change e dei suoi effetti”.

“Il rapporto identifica quattro categorie di rischi-chiave per la regione europea dovuti al cambiamento climatico. Rischi per popolazioni e ecosistemi prodotti dalle ondate di calore; rischi per la produzione agricola prodotti da una combinazione di caldo e siccità; rischi di scarsità di risorse idriche per le popolazioni prodotti dalla diminuzione delle precipitazioni in combinazione con un aumento dell’evapotraspirazione; rischi per le persone e le infrastrutture derivanti dalle inondazioni costiere (prodotte dal generale aumento del livello del mare), fluviali e pluviali (prodotte dall’aumento di precipitazioni estreme in alcune aree). Nel contesto Europeo, le caratteristiche climatiche e vulnerabilità socioeconomiche della regione Mediterranea rendono i rischi prodotti da ondate di calore, scarsità delle risorse idriche e inondazioni costiere particolarmente gravi e le azioni di adattamento urgenti”. Insomma, non c’è da stare allegri, ma da rimboccarsi le maniche, tutti insieme per correre ai ripari ed evitare una catastrofe di livello planetario.