È assolutamente comprensibile che se tanti indicatori sulla Sicilia sono così negativi questa classe dirigente, in cui io non mi autoassolvo, ha fallito
È assolutamente comprensibile che se tanti indicatori sulla Sicilia sono così negativi questa classe dirigente, in cui io non mi autoassolvo, ha fallito. Tranne i primi anni 2000, in cui il merito va iscritto alla visione della dottoressa Paolocci, una donna in un mondo maschilista quale è quello siciliano, che spese al meglio possibile i fondi europei, economicamente è stato un disastro.
L’isola è più povera rispetto a venti anni fa. Non solo economicamente ma anche socialmente e culturalmente. La cosa che impressiona di più è la fuga di capitale umano. I giovani universitari in gran numero abbandonano dopo il triennio i nostri atenei o si iscrivono in numeri crescenti in università fuori dalla Sicilia o dall’Italia.
Gli indicatori maggiori sono due. Le istanze per il reddito di cittadinanza che a Palermo raggiungono ben 178 persone su mille, secondi solo a Napoli, ed il dato che indica in quasi il 10% il numero di siciliani in povertà. Dato doppio a quello nazionale.
Questo dato ha convinto, in un sussulto che sa di senso di
colpa, a fare una legge, con pochissime risorse peraltro, il Parlamento siciliano
a fare una legge sulla povertà.
Siamo dichiaratamente poveri per legge. La norma, miracolo a
Palermo, è stata votata all’unanimità. Magnum gaudio.
Ma chi l’ha proposta? Un partito, dei parlamentari? No. Il forte appello è stato promosso e fortemente spinto da Emiliano Abramo, leader della Comunità di S. Egidio nell’isola.
La politica siciliana non si accorgeva del degrado sociale
dei propri conterranei?
Come descrive bene Paolo Inglese, esponente di cultura di una delle famiglie storiche dell’isola, per anni la politica siciliana ha sempre commesso le stesse mosse, gli stessi errori, in un ciclo perpetuo, come quello di Carnot.
Scompone e sovrappone apparati, ceto politico, blocchi sociali e sistemi di consenso, prevalentemente clientelari, senza far nascere il nuovo. Un gioco asfittico che si contorce verso il basso. Il nuovo, il contemporaneo, una diversa visione viene tarpata da un un gioco sempre uguale in cui non solo non vince nessuno ma perde sempre la Sicilia. Allontanandosi dai sistemi a cui fa necessariamente riferimento.
Invece di fare una nuova politica ricicliamo continuamente
ceto, classe è un termine eccessivo, dirigente senza generare pensiero
politico, speranze per i giovani e le donne siciliane, per una comunità che non
ha più un ancoraggio geopolitico nel mediterraneo ed in Europa. Una terra alla
deriva.
Siamo arrivati ad un punto di non ritorno.
Dobbiamo cambiare gioco ma soprattutto punto di vista. E
arrivato il tempo non di un nuovo soggetto politico ma di una nuova
generazione.
Occorre uno shock anafilattico. Occorre passare dagli
ultrasessantenni oggi in politica e nella burocrazia ai quarantenni. Ad una
generazione cerniera fra i millennials e i vecchi per cui questa terra sembra
fatta. Ma con cui inevitabilmente muore in un’assenza di futuro. Come per L’Italia
le sfide sono la transizione ecologica, la transizione digitale, la Next
Generation. Per governare queste sfide ci vuole un’altra generazione, ci vuole
qualcosa di nuovo, di diverso dal solito gioco perdente.
Forse ci vuole uno come Emiliano Abramo.
Giovanni Pizzo