Non tutti i tesori sono magici e leggendari. La trovatura, racconto di Andrea Camilleri contenuto nella raccolta Gran circo Taddei e altre storie di Vigata (Sellerio, 2011), ne riporta un esempio che permette di riflettere sulla vera origine di queste ricchezze nascoste.
Maggio 1939. A Vigata giunge “Arsenia, la maga di Zammut”, ovvero Caterina, una povera donna che tira a campare come può. È proprio nell’arcinota cittadina letteraria che scoprirà truvature reali e metaforiche: in primis l’amore nel giovane Jachino, dopo il burbero e truffaldino Gaetano; poi i consigli dati, per caso e per astuzia, che miglioreranno la vita a tanta povera gente. Tra questi Tano Verruso, il cui pezzo di terra Caterina riuscirà a far acquistare a peso d’oro al mafioso Don Paolino Milluso, convincendolo della presenza di un’enorme truvatura. Ma il tesoro, avverte Caterina, si troverà solo nel momento stabilito – ovvero quando lei sarà ben lontana da Vigata da non subire ritorsioni. E a Don Paolino, che vinto dalla ricchezza promessa costringerà a scavare a vuoto i suoi seguaci, spetterà la morte e la sepoltura nello stesso terreno che pensava lo avrebbe arricchito.
Ed è qui che si compie il genio di Camilleri. Sessant’anni dopo, un pover’uomo ritroverà nel terreno “’na catina di ralogio, un aneddro con uno stemma grosso, ‘na spilla da cravatta, ‘na catinella con un corno e dù denti”; un tesoro che userà per mandare i figli a studiare. È così che la letteratura si vendica dei soprusi dell’uomo.

