Carlo Cottarelli e l’addio al Senato: “Resto in politica, intesa come diffusione di idee”. “Se resta al centro rimane un partito senza un messaggio chiaro”
ROMA – Carlo Cottarelli si è dimesso qualche giorno fa da senatore del Partito democratico. Lo abbiamo intervistato affrontando tre temi: riforme, economia e politica.
Secondo lei, tra le riforme istituzionali di cui si sta parlando in questi giorni, qual è l’opzione in campo che permetterà di raggiungere prima e meglio l’obiettivo della stabilità?
“Non è soltanto questione di stabilità, ma anche di equilibrio dei poteri. Io credo che sia sbagliato concentrare tutto il potere nell’esecutivo, nonostante sia eletto dal Popolo. Al momento, chi fa le leggi, nella sostanza è il governo. Il governo manda al Parlamento decreti legge che hanno già forza di legge, tutti gli emendamenti che vengono fatti ai decreti legge, devono essere, in pratica approvati dal governo. Le riforme principali si fanno con le leggi delega, in cui le linee guida sono fissate. Al Parlamento resta una cosa fondamentale, il voto di fiducia. Questo presumibilmente verrebbe a sparire se il Presidente del consiglio venisse scelto direttamente dal popolo tramite una votazione. Quindi, capisco le esigenze di stabilità e non sono contrario di per sé all’elezione diretta del Presidente del consiglio, però a questo punto bisognerebbe in qualche modo cercare di introdurre anche riforme che diano al Parlamento, comprese le minoranze, la possibilità di fare leggi. Se no ci si ritrova con un governo eletto per cinque anni che, nella sostanza, ha il potere esecutivo e il potere legislativo nelle sue mani. Detto questo, preferisco comunque avere un premierato, piuttosto che il presidenzialismo, inteso come elezione del presidente. Ritengo che sia importante avere un ruolo di arbitro come quello del Presidente della Repubblica, eletto per un mandato più lungo di quello del presidente del consiglio”.
È vero che abbiamo avuto nella nostra storia repubblicana tantissimi governi, ma veramente, lei che è stato anche presidente incaricato, pensa che il problema del governo sia la durata?
“La durata conta, perché ci sono certe riforme che si possono fare soltanto se si sa che si rimane in carica, perché ci vuole tempo a farle. Negli ultimi anni abbiamo avuto il governo giallo-verde, poi abbiamo avuto la coalizione di sinistra, Pd con i 5 Stelle che nel frattempo erano diventati sinistra, non più tanto sovranista come erano prima. Poi abbiamo avuto Draghi, sostenuto da una coalizione ampia. C’è stata all’interno della stessa legislatura una certa instabilità, che ha impedito di fare le cose”.
Passiamo ai temi di economia, il governo ha tagliato il cuneo fiscale, le opposizioni parlano di pannicelli caldi, ma è altrettanto vero che la coperta è corta. Di revisione della spesa, di cui lei si è occupato molto, non si sente più parlare, e intanto la spesa ha superato i mille miliardi. Secondo lei da dove dobbiamo ripartire?
“La spesa pubblica la sta tagliando l’inflazione, che attua il taglio più lineare possibile, perché va a toccare tutte le voci, tranne quelle per cui c’è stato uno stanziamento sufficientemente ampio per coprire la perdita di potere d’acquisto dovuto all’aumento dei prezzi. Quindi, il taglio viene fatto lì, e da lì sono venute fuori le risorse per tagliare le tasse, anche nella legge di bilancio. Da dove cominciare? Cominciamo a fare una spending review. Ma la prossima domanda che lei mi farà sarà ‘che cosa bisognerebbe tagliare sulla base della sua spending review?’ La mia spending review è stata fatta dieci anni fa, andrebbe rifatta. Quindi ormai ho deciso che non rispondo più a questa domanda, perché darei delle risposte che sono obsolete”.
Patto di stabilità. Come al solito l’Italia è rimasta un po’ indietro e il consenso della politica si è costruito su bonus e sussidi. Secondo lei siamo destinati a soccombere di fronte al rigore di Bruxelles?
“Non c’è nessun rigore nelle nuove regole. Ci si siede intorno a un tavolo e si discute qual è un sentiero di rientro del debito che può durare da quattro a sette anni. Ma attenzione, non è che in quattro o sette anni bisogna arrivare al 60%, in quattro/sette anni il rapporto Debito/Pil deve cominciare a scendere. Il che vuol dire che nel frattempo può anche aumentare. Siamo passati da una situazione, nel 2015, in cui ci si richiedeva che il rapporto Debito/Pil, sulla base dei parametri poi sospesi, doveva scendere di 4 punti percentuali da subito, ad una in cui ci si siede intorno al tavolo e si discute se entroquattro, o sette anni se fai riforme, l’avanzo primario deve aver raggiunto un livello tale che da lì in poi, tendenzialmente, il rapporto debito pubblico/Pil, scende. Di quanto? Non si sa. Scende. È per questo che i tedeschi non sono contenti. Il deficit, se sei sopra il 3%, deve ridursi. Di quanto? Di mezzo punto percentuale l’anno? E ci lamentiamo anche di questo”.
Passando alla politica, è chiaro che le sue idee, anche per la sua storia personale, sono abbastanza diverse da quella della nuova linea del Pd, dove crede che stia andando il partito guidato da Elly Schlein?
“Credo che il Pd si stia giustamente spostando a sinistra. Dico giustamente perché in questo modo riuscirà a dare un messaggio più chiaro agli elettori, ed è fondamentale dare un messaggio chiaro se si vuole essere convincenti. I partiti sovranisti, prima rappresentati da Salvini, ora da Giorgia Meloni, in questo momento hanno una linea chiara, che è ‘prima gli italiani’. Sono partiti nazionalisti che vedono il problema venire dall’estero, pensano che l’Italia siamo una comunità omogenea, ecc. Il Partito democratico, finché rimane un partito che cerca di rispondere anche alle esigenze del centro, rimane un partito che non ha un messaggio chiaro. Secondo me il Pd deve essere un partito di sinistra, deve tutelare certi valori, poi ci penserà un alto partito, che eventualmente potrà diventare alleato di governo con il Pd a rappresentare i valori del centro, quelli del liberalismo democratico, e della borghesia, se vogliamo chiamarla in questo modo. Sono due cose diverse e da tutti due deve venire un messaggio chiaro, il miscuglio dei due che è una debolezza”.
Indirettamente ha introdotto la prossima domanda, che riguarda il Terzo Polo, pensa che sia un progetto naufragato, oppure che proprio questo spostamento verso sinistra del Pdaprirà la possibilità di far crescere quest’area?
“Il Terzo Polo come partito unico, per il momento è archiviato. Il Terzo Polo come federazione, comprenderebbe anche +Europa. Credo che un’alleanza sia addirittura inevitabile per le elezioni europee, dove c’è uno sbarramento al 4%, e senza non credo si possa andare molto avanti”.
Dal punto di vista personale si sente deluso da questa esperienza politica?
“No, non parlo di delusione, ho imparato tante cose e ho visto dall’interno come funziona il Parlamento. Mi è stata offerta la possibilità di andare a dirigere un’iniziativa molto importante, portare personaggi che hanno avuto successo nelle scienze economiche e sociali e che hanno fatto attività di gestione delle politiche economiche, nelle scuole. Credo che mettere in contatto insegnanti e studenti con queste persone sia una cosa estremamente utile, anche perché si dovrebbe svolgere su tutto il territorio nazionale e per tutti gli istituti superiori, non soltanto quelli che stanno al centro di Roma. Se non ci fosse stata questa offerta probabilmente sarei andato avanti. Non credo proprio che si possa parlare di delusione”.
Quindi continuerà ad occuparsi di politica?
“Sì, certo, ho sempre fatto politica, se per far politica si intende diffusione di idee”.
Cosa le resta in particolare di questa esperienza in parlamento?
“Devo ancora rifletterci, ma sono contento di aver potuto vedere come funzionano le cose dall’interno, questo è molto importante”.