La vicinanza a Pippo Di Giacomo, capomafia di primissimo livello poi diventato collaboratore di giustizia e nella cui biografia figura anche l’inserimento nella lista di boss che, a inizio anni Duemila, i servizi segreti guidati da Mario Mori avvicinarono in carcere per avviare colloqui riservati, d’accordo con il Dap ma all’insaputa della magistratura. L’operazione, ribattezzata Protocollo Farfalla, costituisce una delle pagine più ambigue della recente storia italiana.
Il “riconoscimento”
Il riconoscimento criminale di Orazio Scuto, 66enne originario di Aci Catena, destinatario ieri di un sequestro di beni, disposto dalla sezione Misure di prevenzione su richiesta della procura di Catania, parte da qui.
A raccontarlo ai magistrati sono stati più collaboratori di giustizia provenienti dal clan Laudani, la cosca a cui Scuto appartiene. Tra loro ci sono Nazareno Anselmi e Giuseppe Laudani, colui che giovanissimo si ritrovò a ereditare le redini della famiglia mafiosa sull’intera provincia, grazie all’investitura ricevuta dal nonno, il fondatore dei mussi di ficurinia, come vengono chiamati gli esponenti del clan.
I sigilli sui beni
Per i giudici, in ogni caso, i motivi per apporre i sigilli sui beni della Barbagallo Ristorazione e della Street Food – I Ruderi Panoramico, imprese che negli anni hanno gestito un noto ristorante situato nel territorio di Acireale, poggiano sulla riconducibilità delle società allo stesso Scuto. Il 66enne, infatti, sarebbe stato il socio di fatto delle imprese, condotte da persone di fiducia, soltanto per schermare la reale proprietà dei beni.
Il tribunale ha disposto anche il sequestro di una ditta individuale, di alcuni terreni situati a Valverde e Aci Sant’Antonio e di un’autovettura. La procura aveva chiesto i sigilli anche per altre tre società, ma i giudici non hanno accolto l’istanza. In un caso perché la società è inattiva e negli altri due perché non è dimostrabile il legame diretto con l’esponente mafioso.
La carriera criminale
All’origine della richiesta di disporre il sequestro c’è la considerazione riguardante la pericolosità sociale di Scuto e la sproporzione tra il valore dei beni e i redditi a lui riferibili.
Nel decreto del tribunale, presieduto dalla giudice Maria Pia Urso, viene ripercorsa la carriera criminale di Scuto, conosciuto negli ambienti mafiosi come Orazio u Vitraru.
I primi guai con la giustizia risalgono a metà anni Ottanta con l’accusa di emissione di assegni a vuoto, nel 1990 invece l’uomo viene condannato, insieme altri, dalla Corte d’Appello di Bologna per i reati di tentato omicidio, tentata rapina, furto e detenzione di armi.
Bisogna però arrivare agli anni Duemila per una pronuncia definitiva sull’appartenenza di Scuto ai Laudani: la prima condanna arriva nel 2005, a cui ne segue un’altra nel 2010 e poi due tra 2020 e 2023. Più di recente il nome di Scuto è finito nell’inchiesta Report, che ha fotografato le ingerenze dei mussi di ficudinia nei comuni etnei. Una zona apparentemente fuori dal raggio d’azione di Scuto, considerato sempre organico ai gruppi acesi.
I rapporti da detenuto
In questa inchiesta, gli investigatori monitorarono i rapporti che Scuto sarebbe riuscito a mantenere con l’esterno mentre era detenuto. “Le indagini hanno fatto emergere che riusciva sia a ricevere informazioni dall’esterno sia ad emanare ordini e disposizioni grazie alla collaborazione dei propri familiari – si legge nel decreto con cui è stato disposto il sequestro –. Nello specifico è stato rilevato che in occasione dei colloqui in carcere i familiari di Scuto nascondevano messaggi in pizzini’, all’interno di cibi già cotti che venivano appositamente preparati a tal fine”.
Una modalità che veniva utilizzata anche per mandare messaggi a chi si trovava in libertà. “Alla maniera analoga il boss recluso riusciva a manifestare la propria volontà all’esterno occultando, a sua volta, i pizzi da lui precedentemente compilati dentro confezioni di di succhi di frutta”.
Tra le persone con cui Scuto parlava c’era anche Rino Messina, già condannato nel processo che è seguito all’operazione. Messina è stato ritenuto legato a una delle società considerate sotto il controllo di Scuto, anche se in questo caso il tribunale ha preferito non autorizzare il sequestro perché la gestione della società sarebbe stata antieconomica.

