La famiglia paterna di Eitan, che rifiuta di averlo rapito, ha detto di avere ''fiducia nella giustizia israeliana'' e si è detta ''ottimista'' sullo svolgimento del processo
Questa mattina si tiene al tribunale della famiglia di Tel Aviv la prima udienza del processo che segue l’istanza presentata dalla zia paterna Aya Biran per la custodia di Eitan, unico sopravvissuto alla tragedia del Mottarone lo scorso maggio.
In aula è atteso Shmuel Peleg, il nonno materno del piccolo, accusato di rapimento per aver sottratto il nipote alla zia paterna Aya, nominata tutore legale del bambino dal Tribunale per gli affari medici urgenti di Torino nell’immediatezza della tragedia.
Attesa in tribunale anche Aya, che ha chiesto una deroga alla normativa prevista da Israele per il contenimento del coronavirus e che impone una quarantena prevista per chi entra dall’estero nel Paese.
La famiglia paterna di Eitan, che rifiuta di averlo rapito, ha detto di avere ”fiducia nella giustizia israeliana” e si è detta ”ottimista” sullo svolgimento del processo.
Israele rimanderà Eitan in Italia. Un avvocato spiega perché
Eitan verrà rimandato in Italia.
Lì, un giudice dovrà decidere, sulla base dell’interesse del bambino, con chi
vivrà”. È la convinzione di Abraham Dviri, avvocato israeliano
specializzato in diritto di famiglia.
Parlando all’AGI, il legale non
lascia margini: “La Convenzione dell’Aja sostiene che portare via un
bambino dal luogo dove vive è rapimento e il minore deve tornare lì. Non
permette di farsi giustizia da soli e richiede che il bambino torni dove vive e
lì un giudice è chiamato a decidere”.
“Pertanto, io ritengo che
Eitan verrà rimandato in Italia e sarà un giudice italiano, con un processo in
Italia, a decidere” tra le due famiglie che se lo contendono.
Un parere che l’avvocato Dviri
basa sulla sua esperienza, un caso in particolare: “Alcuni anni fa
rappresentai un americano di New York, che viveva nella Grande Mela con la
moglie israeliana e il figlio. La moglie decise di andare in Israele per le
vacanze di Pesach e portare con sé il bimbo, ottenendo il permesso dal marito
di stare via tre settimane. Ma trascorso questo tempo, la donna non rientrò
negli Stati Uniti e rimase con il figlio in Israele. Ebbene, il giudice
israeliano ordinò il rientro del bimbo negli Usa, nel luogo dove viveva”.
Cruciale è la tempistica, proprio
per il bene del bambino: nel caso di Eitan, non si può sapere quando arriverà
la decisione, ma “non ci vorrà molto”, ha assicurato Dviri. “La
Convenzione dell’Aja dice che la sentenza deve essere emessa molto
velocemente” per evitare che la situazione pesi sempre di più sul bambino
via via che il tempo passa.