PALERMO – Un castello arabo – costruito dall’emiro Kalbita Ja’Far II, che sotto Ruggero II divenne uno dei solatii regii – che già nel nome ispira un luogo di sogno, elegante, raffinato, una favola araba. Il maniero Maredolce, abbandonato per anni, occupato abusivamente, è da poco tempo un luogo restituito alla città, e il restauro in corso permette di apprezzarne l’architettura che pian piano sta tornando alla luce. Tanto da ipotizzarne l’inserimento nel sito seriale Unesco di Palermo arabo-normanna.
Di tutto questo si parlerà oggi pomeriggio dalle 16,30 proprio nel castello (vicolo del Castellaccio, 21/23, a Brancaccio) nel corso di una tavola rotonda a cui partecipano il sindaco Leoluca Orlando, nella veste di presidente del Comitato di pilotaggio del sito seriale Unesco, il dirigente generale del Dipartimento dei Beni culturali, Sergio Alessandro, il direttore della Fondazione Patrimonio Unesco Sicilia, Aurelio Angelini, il sovrintendente dei Beni culturali, Lina Bellanca; Manfredi Leone, docente all’Università di Palermo e Giuseppe Barbera, direttore del Dipartimento di Culture arboree.
Sarà l’occasione per presentare la cooperativa sociale che si è aggiudicata il bando e avrà in concessione le aree verdi del castello sulla base di un programma di coltivazioni e utilizzazione condivisa con la Soprintendenza.
La storia del castello è affascinante. Sfruttando la vicina sorgente della Fawwarah ai piedi del monte Grifone, i re normanni dotarono il maniero dell’emiro di un’enorme peschiera di acqua dolce, addirittura navigabile (Mare dolce appunto), piena di pesci di vari colori e razze, portati anche da Paesi lontani. Un giardino di delizie, particolarmente amato da Costanza d’Altavilla che amava trascorrervi l’estate con il piccolo Federico, futuro imperatore illuminato. Al centro della peschiera, Ruggero aveva fatto impiantare un isolotto a forma di Sicilia rovesciata, quasi una voliera per la grande quantità di uccelli ospitati. Nel 1328 il castello viene ceduto da Federico II d’Aragona ai Cavalieri Teutonici che lo trasformarono in ospedale. Per due secoli appartenne alla famiglia dei Bologna con cui divenne un’azienda agricola, per poi passare al duca di Castelluccio. Dagli inizi dell’Ottocento il declino e l’abbandono di Maredolce, “castellaccio” a uso del quartiere, utilizzato dagli abitanti per ricoverare le bestie, addirittura occupato come abitazione.

