Castelvetrano, fronte comune per salvare l’olivicoltura - QdS

Castelvetrano, fronte comune per salvare l’olivicoltura

Castelvetrano, fronte comune per salvare l’olivicoltura

venerdì 04 Novembre 2022

I produttori hanno incontrato le delegazioni di Campobello e di Partanna: chiedono che venga garantito un prezzo minimo annuale di mercato oppure saranno costretti ad abbandonare le loro terre.

CASTELVETRANO – L’olivicoltura vive una tragedia, da anni il prezzo dell’olio e delle olive, dato ai produttori, è sempre più in declino. Le cifre basse porteranno i fruitori ad abbandonare le terre. Per questo motivo si lavora per trovare una soluzione in grado di garantire un prezzo minimo annuale di mercato. In tale direzione si stanno muovendo vari gruppi di agricoltori di Castelvetrano, a cui si aggiungono delegazioni di Campobello e Partanna.

“Quest’anno – spiega Vincenza Viola, referente Uci (Unione Coltivatori Italiani – frantoi e depositi di acquisto e vendita subiranno i rincari esasperati di questi periodi e tutto va a giustificare un mercato cauto e attento, ma non si può tollerare la mortificazione di un comparto economico così importante, specie nel nostro paese! È tempo di garantire un guadagno dignitoso anche a chi, nella produzione per la coltivazione e per la raccolta, spende cifre assurde per poi dover svendere e non recuperare quanto speso”.

Nei giorni scorsi sono avvenuti degli incontri a Castelvetrano con tutti i commercianti, i trasformatori finali e chi fa da intermediario per l’acquisto delle olive, ma “non è stata fatta nessuna proposta per il rincaro del prodotto – sottolinea Viola – perché i rivenditori hanno portato avanti le loro istanze di peggioramento del mercato. Da questa assemblea è altresì nata la volontà di aggregazione, ci siamo dati appuntamento a fine campagna olearia 2022. Quindi, a dicembre ci riuniremo per dare vita ad una costituente, in cui bisognerà far confluire più produttori possibili e creare una struttura unica”.

Si cercherà di creare un solo organismo che possa fungere da ‘voce unica’ con i vari protagonisti della filiera e “capire in tempo le tendenze del mercato futuro – evidenzia il referente Uci. Importanti saranno gli incontri ai tavoli prefettizi, veri garanti della vita sociale dei territori, dove si faranno delle serie valutazioni sul marketing del nostro olivo al fine di capire meglio la domanda e l’offerta. La nostra proposta è quella di stabilire per pezzature (per calibro) un prezzo minimo di mercato, dal quale ci si può discostare, in alzata, solo per qualità. Abbiamo costi certi di produzione che non ci permettono di poter vendere l’olivo ad un determinato prezzo, come quello di quest’anno (prima della grandinata il prezzo oscillava da 0.90 a 1,20 euro e questo non copre minimamente i costi di produzione)”.

Appare necessario quindi stabilire dei costi minimi altrimenti ci sarà la scomparsa del comparto ‘olive da mensa’, “se non dovessimo raggiungere un accordo allora si prenderà in considerazione la produzione di solo olio – continua Enza Viola -, perché non solo c’è la manutenzione ordinaria dei terreni e delle piante, ma anche la manodopera (la raccolta va fatta a mano per non danneggiare gli alberi). La trattazione deve essere quindi regolamentata, altrimenti non si ottiene un prezzo sostenibile”.

Una delle soluzioni potrà essere quella di trovare i giusti canali di vendita fuori dall’Italia e “questo sarà possibile – dice Viola – quando la forma di aggregazione, auspicata per dicembre, potrà diventare finalmente un consorzio del territorio per gestire l’immagazzinaggio, la lavorazione e la commercializzazione: sarà un ulteriore passaggio culturale per rendere protagonisti gli agricoltori stessi”.

Esiste, però, in Sicilia un problema atavico, cioè quello della diffidenza: “l’agricoltore deve ragionare in maniera diversa, non può essere sospettoso nei confronti di chi fa lo stesso mestiere. Mi preme però dire che adesso i tempi sembrano essere cambiati ed è una cosa che ho notato quando ci siamo riuniti per la prima volta il 5 ottobre. C’è la voglia di fare fronte comune e farsi sentire con le istituzioni”.

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