CATANIA – L’esperienza delle case di quartiere di Brindisi è stata raccontata a Catania durante il terzo incontro organizzato dall’associazione Fermento Urbano all’Accademia di Belle Arti. Potrà questo modello – già attivo a Bologna, Torino e appunto Brindisi – arrivare anche a Catania, migliorando la socialità nei rioni e supportando (se non sostituendo) l’amministrazione comunale nell’erogazione di alcuni servizi utili al territorio? Agli incontri promossi per tutto il mese di maggio da Fermento Urbano hanno partecipato principalmente addetti ai lavori, una sola rappresentante politica – Gianina Ciancio, consigliera del M5S e presidente della Commissione comunale per l’Aggiornamento e la Vigilanza sull’attuazione normativa dello Statuto e dei Regolamenti – e un tecnico del Comune, l’architetta Marina Antonietta Galeazzi, dirigente della Direzione Patrimonio.
Capire se le case di quartiere potranno nascere anche a Catania
È ancora presto per capire se le case di quartiere potranno nascere anche a Catania, ma conoscere da vicino il funzionamento delle esperienze avviate in altre città italiane ha avvicinato queste progettualità al terzo settore catanese e a una parte attiva della città.
“È stata una bella esperienza – ha dichiarato Marco Cutispoto, presidente di Fermento Urbano –. Avere già dei legami con realtà che hanno realizzato il progetto nelle proprie città è stato stimolante. I tre incontri con i promotori di Torino, Bologna e Brindisi non sono mai stati frontali, ma animati da dibattiti e interazioni tra relatori e pubblico”.
A Torino e Bologna le case di quartiere vantano una storia consolidata
Torino e Bologna sono le città dove le case di quartiere vantano una storia consolidata. “In queste città è stato molto più semplice sviluppare le progettualità perché le amministrazioni si sono dimostrate più aperte. In Emilia è stato lo stesso Comune di Bologna ad avviare le case di quartiere, mentre a Torino il progetto, nato dal basso, ha ricevuto l’impulso della Fondazione Intesa Sanpaolo e di altre fondazioni bancarie che lo sostengono economicamente, indipendentemente dall’appoggio dell’amministrazione”.
L’avvio del progetto a Brindisi, invece, può essere considerato sorprendente. “In Puglia, una giunta di centrodestra ha avviato le case di quartiere, poiché è stato possibile trasferire parte dei servizi comunali all’interno delle case di comunità, grazie ai finanziamenti ottenuti tramite bandi regionali e non solo”.
Possibilità concreta di avviare anche a Catania le case di quartiere
Alla conclusione del ciclo di incontri organizzati da Fermento Urbano, si apre ora la possibilità concreta di avviare anche a Catania il progetto delle case di quartiere. “Invieremo una e-mail a tutte le associazioni per capire chi vorrà partecipare – ha aggiunto Cutispoto –. La Caritas ha già manifestato interesse, e la presenza di Gianina Ciancio potrebbe rivelarsi significativa, considerato che l’amministrazione sta lavorando alla stesura del nuovo regolamento sull’utilizzo dei beni pubblici”.
Le case di quartiere a Brindisi oggi sono dieci
Tra queste, due sono beni monumentali e una è un bene confiscato alla mafia. Tutte offrono servizi, dalle attività ricreative ai centri polivalenti per minori. Si finanziano partecipando a bandi regionali, nazionali ed europei. In alcuni casi, sono gli stessi amministratori di azienda a offrire volontariamente il proprio tempo. Alcuni immobili comunali inutilizzati o invenduti sono stati riconvertiti in case di quartiere. Le utenze sono a carico dei gestori, mentre la Tari è ridotta del 20% se il bene è affidato a una onlus. A Brindisi è inoltre attivo un dialogo con il sindaco per valutare ulteriori forme di agevolazione fiscale.
A raccontare l’esperienza pugliese a Catania sono stati Davide Di Muri, project manager delle Case di Quartiere di Brindisi, Gelsomina Macchitella, direttrice della Direzione Programmazione Economica e Sviluppo del Comune di Brindisi, e Cristiana Zongoli della Casa di Quartiere San Bao.

