In Cda quotate 41% incarichi a donne, massimo storico - QdS

In Cda quotate 41% incarichi a donne, massimo storico

redazione

In Cda quotate 41% incarichi a donne, massimo storico

martedì 29 Marzo 2022

È quanto emerge dalla decima edizione del Rapporto Consob sulla corporate governance sulle società quotate italiane. Solo l’1,7% delle donne ricopre il ruolo di ad nelle società quotate e solo lo 0,7%

ROMA – A fine 2021 il 41% degli incarichi di amministrazione nelle società quotate è esercitato da una donna, dato che rappresenta il massimo storico osservato sul mercato italiano, anche per effetto dell’applicazione delle normative sulle quote di genere. L’ingresso delle donne ha concorso a modificare le caratteristiche dei membri dei consigli di amministrazione, abbassandone l’età media, innalzandone la quota di laureati e aumentandone la diversificazione dei profili professionali. è quanto emerge dalla decima edizione del rapporto Consob sulla corporate governance delle società quotate italiane.

Con riguardo al ruolo svolto nel board, in linea con quanto osservato negli anni precedenti, a fine 2021 si conferma limitato il numero di casi in cui le donne ricoprono il ruolo di amministratore delegato (16 società, rappresentative di poco più del 2% del valore totale di mercato) o di presidente dell’organo amministrativo (30 emittenti, rappresentativi del 20,7% della capitalizzazione complessiva), mentre prevale il ruolo di consigliere indipendente (tre casi su quattro).

Infine, evidenzia il rapporto dell’autorità, nel 30% dei casi le donne sono titolari di più di un incarico di amministrazione (interlockers), circostanza che si verifica con maggior frequenza rispetto agli uomini. Il dato tuttavia mostra una flessione rispetto all’anno precedente e al massimo raggiunto nel 2019 (34,9% di donne interlockers) a seguito di una crescita significativa nel periodo 2013-2018.

Nelle istituzioni politiche la presenza femminile nei ruoli apicali è marginale

Nel panorama delle istituzioni politiche, finanziarie e produttive del nostro Paese, invece, la presenza femminile nei ruoli apicali è tutt’ora marginale. Solo l’1,7% delle donne ricopre il ruolo di ad nelle società quotate e solo lo 0,7% nelle banche. E negli ultimi due anni, complice la crisi economica legata alla pandemia, il divario di genere nel mondo del lavoro è cresciuto ulteriormente.
A supportare tali affermazioni, una recente indagine effettuata da EY con Swg da cui emergono dati su cui riflettere.

L’obiettivo della parità di genere nei ruoli dirigenziali appare difficile da raggiungere nel breve termine: per il 35% delle dirigenti intervistate ci vorranno più di 10 anni, mentre per il 16% sarà del tutto irraggiungibile. Inoltre, la metà delle lavoratrici intervistate ritiene presente uno squilibrio nella possibilità di carriera e di compensi rispetto ai colleghi uomini.

Appare evidente che sia necessaria un’accelerazione nel processo di transizione culturale verso la gender equality. Per ridurre il divario è necessario mettere a terra iniziative concrete. Best practice come quelle avviate da EY per la promozione della gender equality e della leadership femminile.

La ricerca EY e Swg di febbraio 2022 è stata effettuata su tre diversi target di riferimento: 514 donne lavoratrici di età tra 30 e 50 anni; 104 donne impiegate come dirigenti, manager, imprenditrici e quadri; 103 uomini impiegati come dirigenti, manager, imprenditori e quadri.

Rispetto al vissuto nel contesto lavorativo, emergono forti squilibri di genere. In particolare, il 30% delle lavoratrici tra 30 e 50 anni afferma che la posizione professionale occupata non è in linea con le proprie competenze e aspettative, mentre il 40% ritiene che la propria retribuzione non sia adeguata al lavoro svolto. Inoltre, il 52% dichiara che nella propria azienda uomini e donne non hanno le stesse opportunità di fare carriera. A supporto di questi numeri, emerge che nella percezione sia delle lavoratrici che dei dirigenti (donne e uomini) interpellati, solo in un terzo delle aziende è presente una parità di genere per quanto riguarda i ruoli dirigenziali e laddove le donne occupino ruoli dirigenziali, si trovano a gestire una quantità di risorse inferiori rispetto ai colleghi. Un altro dato significativo è che la maternità appare ancora un elemento di ostacolo nei percorsi di ingresso nel mondo del lavoro e nella possibilità di fare carriera.
In contrasto rispetto ai dati sinora indicati, è interessante segnalare che il 75% dei dirigenti intervistati ritiene che un’azienda con una leadership più equilibrata tra uomini e donne conduca a risultati più performanti.

Tra le motivazioni alla base della minore diffusione della leadership femminile, appare definitivamente tramontato il luogo comune che fare carriera non rientri tra i desideri delle donne. Una volontà di carriera spesso rallentata dalla predominanza maschile nei ruoli chiave con ridotte possibilità di affermazione per le donne (indicata dal 75% delle lavoratrici) e dalle difficoltà a conciliare lavoro e famiglia o attività di cura (indicata dal 84% delle lavoratrici).

A livello di iniziative per ridurre il gender gap, nella percezione degli intervistati risultano ancora poche le aziende italiane che si sono dotate di un struttura organizzativa ad hoc per affrontare temi come gender equality e inclusione. Nello specifico, il 68% delle aziende non è dotato di una struttura ad hoc che si occupi di inclusione e solo il 21% ha previsto di crearne una prossimamente. In particolare risultano mancare soprattutto le strutture in favore di un corretto equilibrio tra lavoro e famiglia, oltre a sistemi per la misurazione della gender equality.

Anche su un tema cruciale come la crescita del Paese, strettamente legato al Pnrr, appare evidente come vi sia poca conoscenza da parte dei dirigenti aziendali. Oltre la metà di loro (56%), per esempio, non è a conoscenza della certificazione di parità, una delle misure inserite dal governo nella missione coesione e inclusione del Pnrr, per favorire un cambio culturale all’interno delle aziende.

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