Un tempo, e talvolta purtroppo ancora oggi, la censura la imponevano i regimi, i governi autoritari, i dittatori. Ai giorni nostri i metodi sono cambiati, la censura è molto meno ufficiale, molto più subdola, ma anche molto più ignorante, censoria e liberticida di quanto non si possa pensare.
Oggi la censura colpisce la storia, la letteratura, l’umorismo, i sottintesi, i doppi sensi, in sintesi, colpisce la libera espressione. Il paradosso di questo nuovo sistema è che a imporre una simile censura sono coloro i quali, per decenni, se non che per secoli, ne sono stati vittime, a cominciare – come dice il filosofo e saggista francese Alain de Benoist, nel suo libro “La nuova censura – Contro il politicamente corretto” – dai neri, dai gialli, dalle donne femministe, dai nativi americani, dagli appartenenti alla comunità Lbbt e da chiunque altro faccia parte di gruppi più o meno minoritari.
Qui non si tratta né di offendere, né mancare di rispetto a nessuno, ci mancherebbe altro, né si tratta di negare atteggiamenti e tendenze emarginanti o discriminatori, che esistono e vanno contrastati, né di minimizzare i problemi di ghettizzazione che permangono eccome e che purtroppo producono pure vittime. Qui si tratta solo di cercare di non essere più realisti del re e magari, accecati da questo clima neo-censorio, di mettere al bando capolavori come “Via col vento”, solo perché c’è una cameriera nera, come “Andrea Chenier” per aver fatto apologia dello stupro, o canzoni popolari come “Siamo i vatussi”.
Non credo che il rispetto di chiunque – uomini, donne, Lbgt, ambiente, animali, religiosi, alti, bassi, grassi, magri, avversari di calcio, ecc… – si possa ottenere cancellando la storia o abolendo il passato, i suoi valori oppure i suoi disvalori, nonostante la storia sia piena di crimini e di vittime, di violenze e di sopraffazioni. La società nella quale viviamo è il prodotto finale della storia che ci ha preceduto e fingere che non sia così significherebbe che qualcuno sia venuto da Marte, ancor prima che Elon Musk ci inviasse le sue astronavi.
Un maldestro politico di qualche anno addietro, del quale ormai si sono perse le tracce, pensava che la povertà si potesse abolire per legge. Ricordo che proclamò questo risultato affacciandosi dalle finestre di Palazzo Chigi, davanti a un popolo vociante, ma spesso smemorato, che ancora ne paga le conseguenze. Se si volesse ironizzare sul quel momento storico del Paese e su quel politico in particolare si potrebbe dire che, nei fatti, fu abolito lui, colpendolo con una sorta di “damnatio memoriae”, a causa della quale non se ne parla quasi più, e per essere sinceri non se ne sente neanche la mancanza. Con la storia e con il passato accade la stessa cosa: non si possono abolire per legge o per volontà di qualche puritano del terzo millennio armato di scure censoria, non si possono cancellare perché l’unica cosa che si può fare è conservare ciò che di buono hanno prodotto, evitando di ripetere gli errori che hanno compiuto. Per raggiungere un simile obiettivo, che non è facile ma che è possibile, non si può agire a colpi di censura, mentre sarebbe utile agire a colpi di cultura, migliorando la qualità dello studio e dell’apprendimento, e magari spiegando che la cultura del dubbio ci fa crescere e ci fa evolvere, mentre la cultura del sospetto ci fa rinchiudere in noi stessi e non ci fa muovere di un solo centimetro.
Beh, se fossi nei panni del Ministro dell’Istruzione ripartirei proprio dallo spiegare, e dal far spiegare bene, agli studenti italiani la differenza esistente tra il sospetto e il dubbio, possibilmente partendo da Galileo Galilei, da Giordano Bruno, da Voltaire e dagli illuministi del XVIII secolo. Poi farei loro studiare i comportamenti, i processi sommari e le vittime dell’Inquisizione, che praticava il culto della censura e del pensiero unico con la violenza fisica, ma che non era molto diversa da chi, oggi, pretende di imporre l’ipocrisia del linguaggio politicamente corretto imprigionando l’arte, la letteratura, il teatro e persino la comicità.

