Praticamente un affidamento diretto da oltre dieci milioni di euro grazie al quale si è avuta l’opportunità di lavorare in condizioni parecchio favorevoli: senza vincere alcuna gara d’appalto e con la garanzia di non affrontare alcun rischio imprenditoriale. A pagare, sempre e comunque, sarebbe stata infatti la Regione Siciliana.
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La storia del Centro NemoSud
La controversa storia del Centro NemoSud, realtà che per un quinquennio ha operato all’interno del Policlinico di Messina nell’assistenza di pazienti affetti da malattie neuromuscolari, si è sviluppata all’interno di una cornice per nulla compatibile con le norme che regolano i rapporti economici con la pubblica amministrazione.
A stabilirlo, nelle settimane scorse, è stata l’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) con una delibera che va ad aggiungersi all’indagine penale che l’anno scorso si è chiusa con la contestazione a vario titolo dei reati di peculato e corruzione e di cui si attendono gli sviluppi. Nella fattispecie, la procura dovrà decidere se chiedere il rinvio a giudizio o l’archiviazione. Tra gli indagati figurano anche l’ex assessora regionale alla Salute Giovanna Volo e l’attuale direttore generale dell’Asp di Catania Giuseppe Laganga Senzio, all’epoca dei fatti rispettivamente direttrice sanitaria e direttore amministrativo del Policlinico messinese.
Le due convenzioni
Sotto la lente dell’Anac, chiamata a esprimersi su disposizione del Tar del Lazio, dopo che in un primo tempo l’autorità guidata da Giuseppe Busia aveva archiviato una segnalazione proveniente da un medico e docente dell’Università di Messina (Unime), è finita la convenzione che nel 2017 fu stipulata tra il Policlinico e la Fondazione Aurora.
Quest’ultima era nata nel 2011, come ente di diritto di privato su iniziativa dello stesso Policlinico, Unime, Fondazione Telethon, Unione italiana lotta alla distrofia muscolare (Uildm) e Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica (Aisla). Un primo accordo – su cui Anac ha fatto comunque calare la scure – era stato stabilito nel 2012 e prevedeva che per un periodo di trent’anni la Fondazione Aurora potesse erogare prestazioni sanitarie all’interno dei locali messi a disposizione dal Policlinico.
I ruoli
Nel 2017, Policlinico e Fondazione erano tornati a rivedere i patti, firmando una seconda convenzione della durata di cinque anni. Ciò che non è mai cambiato sono stati i ruoli: la Fondazione si sarebbe assunta la responsabilità di erogare le prestazioni assistenziali, il Policlinico si sarebbe occupato del rimborso dei costi attingendo al budget previsto dal Sistema sanitario regionale.
“Sotto il profilo economico, la convenzione approvata con deliberazione n. 483 del 22 novembre 2017 – si legge nella delibera dell’Anac – stima il costo annuo complessivo del progetto in euro 2.738.026,88, somma che si compone di euro 2.069.721,00, a titolo di spese per il personale sostenute dalla Fondazione e successivamente rimborsate dall’Azienda ospedaliera universitaria e di euro 668.305,88, relativi ai costi per servizi, forniture e prestazioni”.
La massima
Il progetto NemoSud si è concluso a giugno 2021. La notizia suscitò, come comprensibile, l’opposizione delle famiglie che avevano usufruito dell’assistenza in favore dei propri cari. Quell’esperienza, però, dal punto di vista della gestione amministrativa e burocratica per l’Anac è stata un autentico pastrocchio. Il codice degli appalti sarebbe stato aggirato facendo passare per una convenzione quello che invece era un affidamento diretto che in cinque anni ha raggiunto l’importo di 10.348.605 euro.
“L’affidamento dei servizi sanitari alla Fondazione Aurora risulta essere stato effettuato in violazione dei principi di libera concorrenza, non discriminazione e trasparenza”, si legge nella delibera firmata da Busia. All’origine di questa valutazione ci sono una serie di considerazioni. E soprattutto una: la Fondazione ha potuto operare nella consapevolezza che le risorse economiche sarebbero arrivate dal Policlinico che, a propria volta, avrebbe contato sulla Regione.
“La Fondazione risulta trovarsi in una posizione economica sostanzialmente protetta – si legge – non essendo esposta né alla fluttuazione della domanda né all’andamento effettivo delle spese gestionali, ricevendo un corrispettivo fisso, garantito e continuativo per le attività rese e, dunque, non assumendo un significativo rischio imprenditoriale, né – viene specificato – è chiamata a recuperare sul mercato i costi delle prestazioni erogate, mancando qualsiasi collegamento con la variabilità della domanda o con la redditività del servizio”.
La delibera
Una situazione di questo tipo non ha nulla a che vedere né con il regime dei partenariati tra pubblico e privato, in quanto nel caso di questi ultimi “ l’assunzione di rischi reciproci rappresenta elemento fondativo del rapporto”, mentre “si avvicina alla struttura sinallagmatica tipica dei contratti di appalto, caratterizzata dalla prestazione professionale di servizi dietro corresponsione di un corrispettivo determinato, senza assunzione di rischio di gestione da parte dell’appaltatore”.
Lo stesso discorso vale per l’ipotesi di trovarsi davanti a una concessione: “È opportuno richiamare l’orientamento consolidato della Corte di giustizia dell’Unione Europea, secondo cui l’elemento discretivo tra appalto di servizi e concessione di servizi risiede nella presenza o meno del cosiddetto rischio operativo”.
Il ricorso al Tar
A marzo scorso, la sezione romana del Tar aveva accolto parzialmente il ricorso di un docente, e per un periodo componente del consiglio d’amministrazione della Fondazione Aurora, che si era rivolto alla giustizia amministrativa dopo che l’Anac aveva archiviato la propria segnalazione tramite la procedura di whistleblowing che sostiene la segnalazione di illeciti all’interno della pubblica amministrazione garantendo tutela e anonimato.
“Il ricorrente, già professore ordinario di medicina fisica e riabilitativa dell’Università degli studî di Messina e in servizio presso l’Azienda ospedaliera universitaria (a.o.u.) policlinico Gaetano Martino di Messina, segnalava, una serie di asserite irregolarità commesse dai vertici aziendali”, si legge nel ricorso.
Tra queste veniva la creazione del centro privato di riabilitazione neurologica, “pur potendo l’azienda ospedaliera garantire autonomamente tali prestazioni”. In merito al modo in cui il centro avrebbe operato, nel ricorso si fa riferimento anche all’assunzione di personale senza ricorrere a procedure pubbliche. Modalità adottate grazie allo status di ente di diritto privato e di cui beneficiarono anche il figlio e la nuora dell’allora direttore del dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Messina. Questi fatti sono tra quelli su cui ha acceso i riflettori la procura di Messina e che potrebbero finire al centro del processo.

