Dalla nostra isola triangolare, negli ultimi lustri son partite barche di mare, di cielo e di asfalto piene di centinaia di migliaia di giovani “cervelli in fuga” che han sentito il traballare della loro terra sotto i piedi quando chiedevano un futuro fatto di opportunità. Ma da tempo qualcuno canta che la Sicilia è una “terra ca nun senti”, che non vuol capire e che nulla dà a quei figli per farli tornare. Giovani in fuga da borghi nei quali si intravede quella carestia descritta da Domenico Tempio, una carestia che è un mostro che fa da padrone in vicoli in cui l’Abbondanza ha deciso di sonnecchiare.
Gente che ha deciso di non svegliarla quell’Abbondanza ma di andare via per evitare di essere riconosciuti da un centro per l’impiego – che poi di occupazione non ne trova – come disoccupati. Una carestia che oggi è di coraggio, pazienza, speranza e forza d’animo. Giuseppe Bonaviri, dalla sua Mineo del ‘900, immagina questi disoccupati che vengono mandati in orbita da potenti notabili perché “il problema era insolubile, e l’Assemblea costituente ha deciso che la migliore soluzione è stata quella di lanciare nel sistema planetario, e oltre, la marea di disoccupati. Ci libereremo così da una piaga inguaribile”.
Bonaviri descrive una Sicilia dell’anno 3223 ormai disabitata
È nelle pagine di Giovanni Verga sulla luna (commediola buffa) che Bonaviri descrive una Sicilia dell’anno 3223 ormai disabitata, in cui il genere umano si è estinto per “destino biologico”, e di Mineo, Vizzini, Licodia Eubea non ne rimane che un’unica pianura arida utilizzata per viaggi interstellari. Un’evoluzione nei trasporti (altro che ponte sullo Stretto) che ha lasciato invece indietro la dignità di chi ha speso un’esistenza nel trovare un posto nel mondo (lavorativo) e che si ritrova adesso in un olocausto spaziale in cui ogni problema è nascosto sotto lo zerbino, insieme alla polvere lunare, davanti agli occhi increduli di Verga, Don Gesualdo, Ollio e Sailor Moon.
La Sicilia che non c’è più
“Ma quando credevo di essere arrivato mi trovai davanti a un orrore, perché non c’era più l’Italia meridionale, né c’era la Sicilia, a meno che un’isoletta lunga cinque miglia fosse la Sicilia”. La citazione è tratta da La nube purpurea (1901) di Matthew Shiel (Adelphi), un classico mondiale della scifi, favolosa allucinazione da fine del mondo. Un tributo apocalittico che emerge tra le avventure del protagonista, il folle Adamo annebbiato dai deliri di onnipotenza, la primigenia “Eva greca o Leda”, e la distruzione delle principali città conosciute, in un mondo soffocato tra la massa dei cadaveri e la mortifera pace rurale.
Per la Sicilia non c’è pace: anche quando le vicende sembrano suggerire scenari di protagonismo, in realtà siamo solo di fronte al punto più alto del precipizio. Ben Bova, autore statunitense di fantascienza, decise di ambientare a Messina la capitale di un governo mondiale: nel romanzo I condannati di Messina, Urania n.601 (1972), è la scienza a mettere in pericolo l’intera umanità. In tempi più recenti, è ancora lo scenario siciliano a ospitare le vicende di Anna (Einaudi, 2015) di Niccolò Ammaniti, romanzo e serie tv, con la protagonista immersa in un mondo che ha visto sparire gran parte della popolazione adulta a causa di una malattia soprannominata la “Rossa”.
Ma l’Isola sa distinguersi anche per il collasso culturale descritto in Stupidistan (Marcos y Marcos, 2020) di Stefano Amato con la povera Patty che, in un territorio senza più scuole, tasse e regole, custodisce, assieme a pochi altri, gli ultimi libri rimasti. Anche Giulia Abbate con Fede Frattale (Delos Digital, 2024) descrive un’Isola ormai sempre più isola, lontana da tutti, abbandonata al dominio dei Padrini e ulteriormente adombrata da una misteriosa malattia. Nel mare magnum della produzione più recente, pare doveroso chiudere con Katane di Claudio Chillemi (Delos Digital, 2024), un thriller fantascientifico ambientato nella città etnea segnata da una misteriosa catastrofe.

