Milano, 8 ott. (askanews) – ‘Pratichiamo da trent’anni una vinificazione a basso intervento per permettere ai nostri vini di esprimere appieno il terroir ed esaltare le singole varietà d’uva. Troppo zucchero rende pesante lo Champagne, troppi solfiti anestetizzano il naso e asciugano la bocca, troppa filtrazione riduce la profondità del vino. Il nostro tesoro sta nelle sfumature di profumi, gusti e colori che così si preservano, cambiando solo per l’annata, il clima, la raccolta o la cuvée, e che rappresentano l’identità del territorio: i nostri champagne non devono essere uniformi ma autentici, veri’. Michel Drappier guida oggi una delle realtà familiari più autentiche e indipendenti della Champagne. Fondata ufficialmente nel 1808 da Francois Drappier a Urville, nel dipartimento dell’Aube, Maison Drappier rappresenta l’anima della Cote des Bar. A fianco di Michel e di sua moglie Sylvie, dal 2016, ci sono i loro tre figli Charline (parte commerciale), Hugo (viticoltura ed enologia) e Antoine (animali e agricoltura), ottava generazione di una dinastia che ha mantenuto un’identità artigianale e personale, con il vino a fare da filo rosso, a rappresentare una sorta di memoria familiare lunga due secoli. In particolare Hugo, a 33 anni e con un bagaglio importante di esperienze nelle Cantine di mezzo mondo già alle spalle, è considerato uno degli enologi più promettenti della nuova Champagne.
Dal marzo scorso invece, non c’è più André, il nonno di Michel scomparso a 99 anni. Fu lui, innovatore ‘uomo tutto vigna e cantina’, che negli anni Cinquanta diede vita e forza alla famosa cuvée ‘Carte d’Or’, trasformando non solo la Cantina di famiglia in una tra le realtà più rispettate e stimate dell’intera Champagne ma contribuendo alla rinascita dell’intera Cote des Bar, per lungo, troppo, tempo considerata marginale rispetto alla Marne di Reims ed Épernay. Un processo con al centro il Pinot Noir che divenne il vitigno dominante nell’Aube, sostituendo progressivamente il Gamay. ‘La nostra storia affonda le sue radici nella terra di Urville, dove il Pinot Noir ci scorre nelle vene’ afferma Michel Drappier, raccontando che fu proprio suo nonno materno, Georges Collot, a reimpiantare, nella perplessità generale, il Pinot Noir nella Cote des Bar tanto che gli venne affibbiato il nomiglolo di ‘Père Pinot’. Oggi questa varietà rappresenta il 70% dei vigneti della Cantina e dell’intera Aube.
Complessivamente il patrimonio viticolo di Maison Drappier si estende per oltre 110 ettari, di cui 62 di proprietà e 50 ha di conferitori storici, parte dei quali condotti in regime biologico. Le colline calcaree del Kimmeridgiano offrono condizioni ideali per il Pinot Noir, affiancato da Meunier (15%, introdotto dopo la terribile gelata del 1957) e Chardonnay (9%). La produzione si aggira tra 1,6 e 1,8 milioni di bottiglie, un volume che rende la Maison tra i produttori indipendenti più rilevanti della Champagne.
Michel Drappier, che ha fatto il suo ingresso in azienda nel 1979, ha da sempre le idee molto chiare su come fare il vino tanto da aver costruito con lungimiranza uno stile moderno basato sulla sobrietà tecnica e l’approccio essenziale. ‘Innovare significa restare fedeli al passato, produciamo vini che esprimono il loro terroir, con il minimo intervento possibile: le vinificazioni non sono filtrate, non si usano prodotti di origine animale e i lieviti impiegati, i ‘Drappier Fermentum Meum’ sono selezionati direttamente nei vigneti’ spiega, precisando che ‘in vigna non ricorriamo ad alcun diserbante o insetticida, pratichiamo il diserbo manuale, l’inerbimento controllato e il terreno viene lavorato a mano o arato con i cavalli che riducono lo schiacciamento e l’erosione dei suoli, e facciamo il maggese’. Michel limita i dosaggi di solfiti tra 30 e 45 milligrammi per litro, meno di un quarto del massimo consentito, ed è arrivato a realizzare nel 2007 una cuvée, ‘Brut Nature Sans Soufre’, che ne è totalmente priva.
Oltre vent’anni fa, il presidente della Maison ha recuperato quattro vitigni storici che erano oramai quasi estinti: Arbanne, Petit Meslier, Blanc Vrai e Fromenteau (che rappresentano circa il 6% delle piante complessive), ‘varietà che sono parte del nostro patrimonio genetico e della memoria della Champagne, conservarle è un atto di gratitudine verso la terra’. Da questa ricerca sono nate cuvée uniche come ‘Quattuor’, realizzata con quattro uve bianche, e ‘Trop m’en Faut!’, 100% Fromenteau. Le storiche cantine in pietra calcarea ospitano i vins de réserve nel ‘Cercle’, dove le grandi annate maturano in botti di rovere della foresta d’Orient. Nel 2012 è stato introdotto ‘Ovum’, una botte a forma di uovo da oltre tremila litri che accoglie le migliori cuvée della celebre ‘Grande Sendrée’ (classe 1975). Le liqueur d’expédition vengono invecchiate fino a 15 anni in botti del Limousin e poi in damigiana. Dal 2016 è la prima tenuta della regione certificata ‘Carbone Neutre’: il 75% dell’energia è autoprodotta da pannelli fotovoltaici, mentre la bottiglia disegnata da Michel è più leggera del 15% rispetto allo standard.
‘La vendemmia quest’anno è stata ottima, la qualità delle uve fantastica, quindi siamo più che sereni, siamo ottimisti. Al cambiamento climatico si fa fronte scegliendo i vitigni, i tempi e le vinificazioni giuste, non ci spaventa. Il problema piuttosto è la politica, l’economia, le guerre, ma noi siamo in Champagne da 300 anni e siamo passati attraverso battaglie e guerre e siamo sempre sopravvissuti. Nella Champagne le vendite sono scese in media dell’1-2% e vista la situazione generale non è male perché i consumatori sono rimasti fedeli e se adesso non possono berlo, lo sognano e quindi lo berranno appena gli sarà di nuovo possibile’ spiega ad askanews Michel Drappier, rimarcando che ‘è vero che la gente berrà sempre meno alcolici ma berrà sempre meglio, diminuiscono i grandi bevitori, ed è un bene perché l’alcolismo è un problema, con il risultato che una bottiglia viene condivisa da più persone’.
‘Noi continuiamo a crescere, in questa contingenza difficile un’impresa famigliare e artigianale ha probabilmente più facilità rispetto alle grandi aziende. Noi siamo indipendenti, resilienti, sostenibili e facciamo quello che vogliamo: non produciamo per l’anno a venire ma per la decade che verrà, e questo è molto diverso’ precisa, evidenziando che ‘in cantina abbiamo tutto quello che serve, riserve e grandi annate, e abbiamo un mercato consolidato, fatto di una clientela fidelizzata che si rinnova nelle nuove generazioni. Ci viene riconosciuto un prodotto di qualità, adatto anche a chi ama i vini naturali e più sani, e che si sposa con piatti e cucine diverse. Questo – conclude Michel – è un territorio unico e abbiamo tutto il necessario per fare dello champagne un successo adesso e domani’.
‘Drappier è uno degli Champagne che hanno un po’ anticipato i tempi, che è stato un precursore di stili che oggi definiremmo moderni, anticipando alcune tendenze nel mondo dello Champagne. È una delle pochissime maison ancora davvero familiari e questo le permette un potere decisionale più diretto’ racconta ad askanews Alessandro Rossi, National Category Manager Wine di Partesa, azienda del gruppo Heineken, ‘che ha in catalogo Drappier (oltre che oggi anche Champagne Diebolt-Vallois, Maison della Cote des Blancs) dalla metà degli anni Novanta, quando eravamo ancora una realtà di grossisti, e fu la prima azienda importata in assoluto, il primo vero approccio con qualcosa di esclusivamente nostro’.
‘A me è sempre piaciuta proprio per questa sua fisionomia particolare, caratteristica dell’Aube, che raccontava un po’ la vendemmia della Borgogna ma con l’acidità e la tensione minerale tipiche dello Chablis. Quel Pinot Noir era diverso da tutti gli altri: non a caso, per molto tempo, è stato una delle basi di approvvigionamento segrete per il mondo dello champagne. Oggi finalmente l’Aube è inserita tra le aree più meritevoli della Champagne, è un brand a tutti gli effetti’ prosegue Rossi, aggiungendo che ‘per noi, che nel portfolio abbiamo l’80% di Cantine italiane, Champagne significa portare cultura nella nostra distribuzione, che vuole essere democratica e popolare. Il fatto di aver sempre puntato su un solo marchio ci ha permesso di contribuire alla costruzione di un brand: credo che la distribuzione sia una parte fondamentale nel percorso di un marchio, è ciò che cementa davvero il lavoro dei produttori’.
‘Bollicine e vini bianchi, perché non li si può scindere, rappresentano oggi oltre il 60% del mercato italiano, e questo vale per tutti, non solo per Partesa. È cambiato l’approccio delle nuove generazioni e oggi il vino bianco e lo spumante sono le porte d’ingresso per molti consumatori’ chiosa il manager, sottolineando che ‘le acidità tipiche di questi vini facilitano l’approccio dei giovani, e poi lo champagne fa tendenza ed è importante esserci. Ma noi crediamo molto anche nelle Denominazioni italiane, Franciacorta, Trento Doc e Alta Langa, che stanno consolidando la loro identità’. (Alessandro Pestalozza)

