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Che fine hanno fatto i siciliani

Che fine hanno  fatto i siciliani
SIcilia, riconosciuta insularità

Che fine ha fatto il popolo siciliano?

Mentre scrivo sto ascoltando un brano bellissimo del duo musicale siciliano “Bellamorea”, mandato in onda da Rai 3 alcune settimane addietro, e giratomi poche ore fa per whatsapp dagli stessi autori.
Il titolo è “Ma di chi stamu parrannu” e affronta problemi che viviamo tutti i giorni, ma che i giovani, soprattutto quelli più fragili, avvertono con maggiore crudezza e con maggiore pericolosità.
Vi invito ad ascoltarlo con attenzione ed a riflettere sul bellissimo testo, perché è davvero drammaticamente attuale e quindi sicuramente meritevole di grande apprezzamento.

Per godermene meglio il significato, l’ho riascoltato anch’io e, mentre provavo ad andare oltre le parole, mi chiedevo che fine abbia fatto il popolo siciliano, quello che, alla corte di Federico II, con Ciullo d’Alcamo e Jacopo da Lentini, diede vita alla lingua italiana, quello che scatenò la rivolta dei Vespri, quello che spianò la strada all’esercito alleato, che ci liberò dal nazifascismo, quello che conquistò l’autonomia.

Mi chiedo come abbiano potuto fare i siciliani a dimenticare il glorioso passato che hanno vissuto e come abbiano potuto scordarsi degli uomini illustri a cui questa terra ha dato i natali.
Mi chiedo come abbiano potuto dimenticare che la Sicilia è stata per tanto tempo il granaio d’Italia, che ha fatto conoscere al mondo gli agrumi a polpa rossa, gli ortaggi primaticci, il pistacchio, il vino e l’olio più buoni del Mediterraneo.

Mi chiedo dove sia finita la borghesia illuminata che, negli anni ‘60 del secolo scorso, caratterizzò la nascita della zona industriale di Catania, facendole conquistare l’appellativo di Milano del Sud.
Mi chiedo dove siano finiti i famosi docenti universitari che hanno fatto epoca in tutta Italia e non solo, i grandi professionisti e gli infaticabili lavoratori, che a suon di sacrifici ci hanno mandato a scuola, “perché noi non patissimo le loro stesse stesse sofferenze”.

La mia sensazione è che noi siciliani, per colpa di chi ha usato la politica per sfruttare le miserie umane, per trasformare il diritto in favore ed il consenso in merce di scambio, siamo diventati un popolo che vive il presente, che ha dimenticato il passato e che, purtroppo, non è più capace di progettare il proprio futuro.

Di fronte a questa non facile, né dignitosa, situazione dobbiamo decidere se continuare a subire passivamente ciò che accade o se tentare di reagire con forza e coraggio.
La risposta mi pare ovvia, ma spetta a noi, e non ad altri, metterla in pratica nel più breve tempo possibile, o potrebbe essere troppo tardi.

I “Bellamorea”, con il loro bellissimo brano, suscitano tanti sentimenti che vanno ben oltre gli aspetti musicali e per questo spero che quanto loro stanno facendo con la musica e con gli strumenti che utilizzano, abbia il successo che merita.

Altri, i non musicisti, gli studenti, gli operai, gli impiegati, i professionisti, gli imprenditori, la borghesia, i pensionati, le casalinghe, gli insegnamenti, ecc., ma soprattutto i politici, lo facciano con strumenti diversi, lo facciano con ciò di cui dispongono, sia pure con una semplice matita o con una chiave inglese, ma lo facciano!
Provino a ricordare ciò che è stata questa terra, provino a comprendere cosa è diventata, ma soprattutto si battano per costruirne domani una migliore.

La Sicilia è uno scrigno pieno di ogni tipo di tesoro, prenderne coscienza significa imparare a comprendere che i tesori che non vengono utilizzati non producono alcuna ricchezza, se non quella che è insita nel loro valore.
I tesori agricoli non producono ricchezza se non vengono coltivati e lavorati. I tesori ambientali non producono nulla se continuano ad essere incendiati, i tesori intellettuali non producono nulla se fuggono dalla nostra terra per non tornare più.

I tesori del sottosuolo non producono nulla se non vengono estratti e la stessa cosa accade per i tesori legarti al nostro patrimonio artistico ed archeologico.
Riuscire a centrare un obiettivo di crescita economica e sociale, dunque di ricchezza e di lavoro non è difficile, ma bisogna partire dalla classe dirigente e dal livello di selezione che solo i cittadini possono stabilire.